LUCI NOTTURNE PER UN CONTRACT KILLER

Due parole su Collateral. Me lo ero scandalosamente perso al cinema (sapete quando si comincia a dire "Oh, raga… Dobbiamo andare assieme a vedere Collateral, non ce lo perdiamo" e poi la cosa finisce nel dimenticatoio). L’ho prontamente recuperato in DVD, complice anche una richiesta ufficiale di recensione per DVD Magazine. Io sono un grande ammiratore di Michael Mann, e anche se a questo potrei dire che preferisco sempre Manhunter (il più grande thriller degli ’80 assieme a Vivere e morire a Los Angeles di Friedkin – due film che tra l’altro sono accomunati dal mitico William Petersen che non a caso adesso è la star di uno dei serial più di successo del momento – ma basta, sto divagando ancora una volta, fermatemi) è fuor di dubbio che anche stavolta ha sfornato un piccolo capolavoro. Piccolo perché si basa su due attori, un taxi e una città di nottte. Piccolo perché completamente in digitale. Piccolo perché low concept (si dice così delle storie più basate sulla psicologia dei personaggi che non sull’azione pura e semplice). Non che Mann non sia un maestro nelle scene d’azione. Anzi, è forse l’unico regista contemporaneo che è capace di girare una scena d’azione tesissima senza cavi e senza kung-fu! Ma non sono le sparatorie ad essere al centro di Collateral. Il killer e il taxista passano la notte assieme, e qualcosa di ognuno passa nell’altro. Anzi, più che altro qualcosa del killer passa nel taxista, che è il personaggio che sperimenta un cambiamento. Il killer è ormai finito, è un personaggio per cui il cambiamento non è più possibile, è già un fantasma prima che il film cominci (e in questo Tom Cruise è stato perfetto, nonostante l’innaturale e imbarazzante tinta grigia dei capelli). Scade un po’ nel finale, Collateral, adottando un paio di luoghi comuni tipici del genere. Ma nel complesso è un film che affascina, per le luci livide e l’ambientazione alienante. Diciamo pure che una Los Angeles così non si è mai vista prima.

PERCHE’ NON AMO GUIDARE

Veniamo oggi ad un topos di CasaIzzo: l’automobile. Va infatti evidenziato come io non sia un assiduo guidatore d’automobile. Chi si occupa della macchina è Stefi. Lei guida, va dal meccanico, cambia le gomme, si occupa del motore, etc. Io non so nemmeno come faccia la macchina ad andare avanti, per me è abbastanza magico (e in effetti sono anche stato bocciato una volta all’esame di teoria). Intendiamoci, non è che non so guidare – la patente ce l’ho. E’ che non mi va di farlo, per una serie di motivi. Specialmente in città. I motivi per cui non guido sono tutti sostanzialmente legati a Stefi. Il primo motivo è che lei – indubbiamente – guida meglio di me. Io ho una guida istintiva, lei ha una guida scientifica. Io mi distraggo facilmente se vedo passare una gnocca, se vedo un palazzo che mi piace, se c’è una migrazione di uccelli nel cielo. Il secondo motivo è che lei, quando io guido, assume quell’atteggiamento tipico di chi sa vivere la sua vita al volante e mi frantuma i maroni con petulanti avvertimenti del tipo "E’ rosso", "E’ verde", "E’ giallo" (manco fossi daltonico) o "Attento!" (la cosa peggiore da dirmi quando guido, dato che l’effetto immediato è un’improvvisa inchiodata – e lei lo sa benissimo). Poi ci sono anche tutte le variazioni del caso, come "Stai più a destra", "Stai più a sinistra" e "Non stare in centro", "Cambia", "Scala", "Non andare troppo veloce" e "Non andare troppo lento" seguite immancabilmente dall’amara constatazione "Guidi di merda!". Questo motivo, da solo, fa sì che io mi rifiuti completamente di guidare se in macchina c’è anche Stefi (cioè il 98% delle volte). Guido solo di notte o in lunghi percorsi autostradali, occasioni in cui Stefi dorme e non può dirmi nulla. Il terzo motivo è che io non sono un uomo portato a svolgere più di due compiti contemporaneamente. Quando guido, ne svolgo già due: coordinare volante e pedali da un lato, fare attenzione a cosa fanno gli altri guidatori dall’altro. Non si può pretendere che io riesca anche a parlare o ad ascoltare quello che mia moglie ha da dirmi. E siccome l’automobile è il luogo deputato in CasaIzzo per le discussioni familiari o per scambiarsi le idee sulla vita, la religione, la sfiga, il sesso, la morte, il cinema e la politica, è giocoforza che guidi la mia patatina, che invece ha il cervello così ben allenato da riuscire a guidare e imbastire interminabili discussioni infarcite di insulti (a volte rivolti a me, ma più spesso agli altri guidatori) nello stesso tempo. La simbiosi tra Stefi è la Clio è affascinante. Passo ore ad osservarle, rilassato sul sedile del passeggero, postazione dalla quale posso guardare tutte le gnocche che passano, i palazzi, il cielo e gli uccelli, e nello stesso tempo parlare d’amore con la mia donna al volante!

UN MELODRAMMA STILIZZATO E BRUCIANTE

Finalmente ho visto La foresta dei pugnali volanti, sul quale ho ricevuto negli ultimi giorni pareri fortemente discordanti…! Premetto che, come sempre, ti deve piacere il genere wu xia pian, altrimenti i combattimenti volanti, le coreografie impossibili e la stilizzazione estrema di tutta l’azione possono far venire la nausea. A me comunque era già piaciuto molto Hero. Questa seconda prova di Zhang Yimou mi è piaciuta ancora di più, per un semplice motivo. Dove Hero tradiva un fondo ideologico e/o intellettualistico (ad esempio nella costruzione pirandelliana un po’ forzata e nell’assoluta predominanza del racconto sulla storia), La foresta dei pugnali volanti fa sì che il regista pieghi le sue ossessioni visive e formaliste al servizio di una storia. Di quelle storie, come dire… "universali". Il film infatti è un mèlo stilizzato e bruciante, a mio parere anche parecchio erotico (vedere la sempre gnocca Zhang Ziyi e il nuovo, sorprendente, Takeshi Kaneshiro per credere). Insomma, i combattimenti ci sono e sono esaltanti (si comincia a delirare fin dalla prima danza nel Padiglione delle Peonie, che fa innamorare uno dei due pretendenti), i colpi di scena non mancano (siamo in pratica in una spy-story) e l’ossessione amorosa regna sovrana. Le lacrime e il sangue, i due liquidi presenti nel film di Yimou, non scorrono né schizzano, ma si manifestano come gocce che sgorgano, lente e inesorabili, dagli occhi e dai cuori. Ci si aspetta che muoiano shakespearianamente tutti e tre i protagonisti, ma il finale è ancora più cattivo e devastante. Fiabesco, potente e colorato. Da evitare per chi non crede che due uomini possano duellare a colpi di spadone per due intere stagioni senza mai fermarsi…! 🙂