IO ADORO IL TRASH, IO ADORO SANREMO

Lo so, certa gente da me non se lo aspetterebbe mai. Altri invece mi attendono al varco di Sanremo perché sanno che il mio animo trash alla fine non può fare a meno – neppure volendo – di sbirciare la diabolica kermesse canora. Quindi ieri, armato di videoregistratore, ho catturato quella che prometteva essere la serata più spettacolare e l’ho guardata eliminando pubblicità, televendite, esibizioni imbarazzanti e tempi morti (anche se devo dire che i tempi morti grazie a Bonolis a volte diventano la cosa migliore del programma). Bonolis lo ammiro con riluttanza, perché ha la professionalità adatta a girare sempre la frittata a suo favore e dire sempre la cosa giusta al momento giusto… Ma veniamo alle canzoni ascoltate. Il signore ci ha scampato dal duetto tra Califano e i Flaminio Maphia (brrrrrr), ma sono giunti sul palco, in ordine sparso: Gigi d’Alessio e i ragazzi di Amici (ma perché? Perché? Forse per sancire una sottintesa identità di target?); Paolo Meneguzzi e Luca di Risio (quantomeno abbastanza fresh, così i giovani guardano Sanremo anche loro); i Matia Bazar con Sergio Muniz (senza parole… comunque la nuova cantante dei MB sembra uscita da un incubo di Andy Warhol ed è un intreccio tra Mina e Diamanda Galas, e perciò è geniale e la ammiro – anche la canzone non è male); Le Vibrazioni con Elio al flauto traverso (che dire… comunque ho gradito); Antonella Ruggiero con i due chitarristi classici (sempre grande lei, ancora di più con questo tipo di arrangiamenti). Il resto abbastanza trascurabile. Ah, no: dimenticavo il momento trash di Antonella Clerici che fa la serenata a Hugh Grant mentre Bonolis si ingozza di fette di limone (degno di Zelig, evidentemente volevano contrastare l’attacco da Canale 5) e l’esibizione di Gwen Stefani che si avvia a diventare la nuova Madonna, tra gli applausi di grandi e piccini (non lo dico in modo negativo, anzi… gran gnocca la Stefani)! Visto quanto dovuto, adesso urge disintossicazione. Il mio pronostico comunque è che vincano i Matia Bazar oppure Masini oppure Gigi d’Alessio. Però dubito che alla giuria popolare piaccia quello strano tipo della nuova cantante dei Matia…!

RAPINATORI IN CASAIZZO?

Sono un po’ preoccupato. Ieri, per la prima volta nella mia vita, mi è capitato di chiamare il 113. Mi sono sentito uno di quei vecchietti petulanti dei film per la TV americani che disturba sempre i poveri poliziotti che hanno ben altro a cui lavorare. Comunque sia, ecco la storia.
Mercoledì 2 Marzo, h 19.00
Appena giunto a casa dall’ufficio mi diletto ad ascoltare i racconti di vessazione e mobbing provenienti dall’ambiente lavorativo della mia dolce metà. Io interloquisco dispensando consigli di guerriglia aziendale (a proposito, non c’entra un cazzo ma comprate questo libro… fatelo… fatelo…!).
19.15
Suona il campanello di casa. Non aspettiamo nessuno. Stefi si avvicina silenziosamente allo spioncino e vede due coppie di giovani vestiti più o meno elegantemente. Suppone che siano testimoni di geova e non apre. I ragazzi non demordono, e si attaccano al campanello. Maya miagola. Voci sul pianerottolo.
– Ma hanno un gatto, sti qua?
– Beh, se senti miagolare vuol dire che hanno un gatto, no?
– Qui non c’è nessuno…
– Ma come non c’è nessuno, mi hanno assicurato che c’erano!
Primo scambio di sguardi perplessi tra me e Stefi. Le voci hanno un pesante accento dell’est, ma l’italiano è corretto. Una delle due donne è bionda. Tre di loro hanno pensato bene di sedersi sui gradini mentre il quarto continua a suonare il campanello. Maya miagola.
– Allora, non è possibile. Uno prende un appuntamento per vedere un alloggio, e poi? Questi se ne devono andare a fine marzo, questo appartamento dobbiamo pur vederlo se vogliamo decidere!
– Ma sei sicura che il piano è questo?
– Ma certo!
– Adesso mi incazzo, telefono all’agenzia e mi sentono… Prova un po’ di nuovo a suonare!
Inspiegabilmente, le nonnine che abitano sul nostro stesso pianerottolo, che solitamente mettono il naso fuori dalla porta di casa per ogni minimo rumore, oggi stanno ben tappate in casa.
– Facciamo così, andiamocene, prendiamo un altro appuntamento, al massimo torniamo domani sera.
– Sì, però non si fa così, eh?
Scalpiccìo di piedi che scendono le scale. I ragazzi spariscono dalla visuale dello spioncino. Sono le 19.30. Dopo qualche secondo, squilla il telefono di casa. Due squilli, tre. Poi si interrompe.
19.35
Stefi è in paranoia. Secondo lei erano loro, che hanno anche il nostro numero di casa. La mia soluzione: chiamare l’amministratore del condominio. Secondo lui abbiamo fatto benissimo a non aprire. Pare che a Torino stia girando una banda di rapinatori che usa proprio questo metodo per farsi aprire dagli inquilini. Un’altra possibilità plausibile è che i tizi siano a loro volta stati truffati da qualcuno che gli ha indicato casa nostra (perché poi proprio casa nostra?) come disponibile e che magari gli abbia anche chiesto una caparra. In ogni caso ci assicura che l’appartamento non è in affitto e che noi non dobbiamo andarcene entro il 31 marzo. Suggerisce anche di chiamare il 113 per segnalare la cosa. Chiamo dunque la Polizia. Che mi rimbalza subito ai Carabinieri. Il carabiniere però è gentile, mi rispiega le stesse cose che mi ha già detto l’amministratore e mi consiglia di chiuderci bene in casa, non aprire assolutamente e se dovessero tornare di chiamare subito il 112 che loro mandano una pattuglia a vedere qual è il problema. Si tratta di terrorismo psicologico stile film di Michael Moore o mi devo veramente preoccupare? Inquietante.

LUCI NOTTURNE PER UN CONTRACT KILLER

Due parole su Collateral. Me lo ero scandalosamente perso al cinema (sapete quando si comincia a dire "Oh, raga… Dobbiamo andare assieme a vedere Collateral, non ce lo perdiamo" e poi la cosa finisce nel dimenticatoio). L’ho prontamente recuperato in DVD, complice anche una richiesta ufficiale di recensione per DVD Magazine. Io sono un grande ammiratore di Michael Mann, e anche se a questo potrei dire che preferisco sempre Manhunter (il più grande thriller degli ’80 assieme a Vivere e morire a Los Angeles di Friedkin – due film che tra l’altro sono accomunati dal mitico William Petersen che non a caso adesso è la star di uno dei serial più di successo del momento – ma basta, sto divagando ancora una volta, fermatemi) è fuor di dubbio che anche stavolta ha sfornato un piccolo capolavoro. Piccolo perché si basa su due attori, un taxi e una città di nottte. Piccolo perché completamente in digitale. Piccolo perché low concept (si dice così delle storie più basate sulla psicologia dei personaggi che non sull’azione pura e semplice). Non che Mann non sia un maestro nelle scene d’azione. Anzi, è forse l’unico regista contemporaneo che è capace di girare una scena d’azione tesissima senza cavi e senza kung-fu! Ma non sono le sparatorie ad essere al centro di Collateral. Il killer e il taxista passano la notte assieme, e qualcosa di ognuno passa nell’altro. Anzi, più che altro qualcosa del killer passa nel taxista, che è il personaggio che sperimenta un cambiamento. Il killer è ormai finito, è un personaggio per cui il cambiamento non è più possibile, è già un fantasma prima che il film cominci (e in questo Tom Cruise è stato perfetto, nonostante l’innaturale e imbarazzante tinta grigia dei capelli). Scade un po’ nel finale, Collateral, adottando un paio di luoghi comuni tipici del genere. Ma nel complesso è un film che affascina, per le luci livide e l’ambientazione alienante. Diciamo pure che una Los Angeles così non si è mai vista prima.