Potrei cominciare col sangue. Se ne vede molto di più che in Kill Bill. Sangue rosso, sangue bianchissimo, sangue giallo – putrido e ammorbante. Ma non è solo questo. Potrei dire del blue screen. Altro che quella palla smisurata di Sky Captain. Il digitale assume il suo senso compiuto di mondo disegnato, di sintesi. Sin City magari non è un capolavoro, ma arriva diretto come un pugno in faccia. Due ore di amore e morte, tratte dalle storie più belle di Frank Miller. La struttura è un po’ tarantiniana senza però osare troppo (Tarantino stesso ha diretto la sequenza di dialogo tra Clive Owen e Benicio del Toro in auto – non una delle migliori). Se in Tarantino possiamo guardare alla struttura, qui è più che altro doveroso restare a bocca aperta per lo stile visivo del film. Per Rodriguez non è una trasposizione, ma una traduzione. Non ci sono crediti per la sceneggiatura, solo l’ingombrante nome di Frank Miller ovunque, anche come co-regista. Le tavole del fumetto sono state usate come storyboard, e si vede. Il film è un’esperienza stranissima per chi conosce i fumetti e probabilmente un po’ disturbante per chi non li conosce (cannibalismo, ultraviolenza, stupri di undicenni, genitali strappati, pistole e katane a volontà). Il mondo di Sin City è fatto solo di puttane, killer, preti corrotti, maniaci, politici corrotti, giustizieri, poliziotti corrotti e via dicendo. Soprattutto, non c’è nessuna speranza nelle storie di Miller e alla fine la morte è sempre più forte dell’amore. Rari sprazzi di ironia non illuminano la città che rimane oscura e… come dire… corrotta! La voce fuori campo la odio. In tutti i film che non siano Viale del tramonto. Eppure in Sin City dopo un po’ ti ci abitui. Perché sono in effetti le didascalie del fumetto. E allora, non resta che lasciar cadere la mascella ed aspettare un DVD lungo magari un’ora in più. E pensare ancora una volta che Rodriguez è un cazzone geniale, e che è riuscito a realizzare qualcosa che rimarrà come una pietra miliare, uno dei primi film totalmente digitali e probabilmente il primo vero film-fumetto della storia del cinema.
TORINO E’ (ANCHE) CASA MIA
Si sorride e a volte si sghignazza con il nuovo libro di Giuseppe Culicchia, Torino è casa mia. Per un non torinese, un arguto compendio di tutto ciò che concerne la "torinesità". Per un torinese uno specchio nemmeno troppo deformante della realtà di ogni giorno. Per me, un libro da leggere seduto nei luoghi da Culicchia descritti, come l’Aiuola Balbo, o i gradoni di Piazzale Fusi, le poltrone di Fiorio, l’atrio di Palazzo Nuovo e via dicendo. A quanto pare Laterza ha chiesto al nostro giovin scrittore (che ormai ha compiuto 40 anni) di scrivere una guida turistica sui generis… Infatti il libro (sotto la metafora della casa – Portapalazzo è la cucina, Piazza San Carlo il salotto, etc.) è un po’ la Lonely Planet della città, con segnalazioni di luoghi, storie, tradizioni. In più, c’è l’occhio antropologico che Culicchia esercita dalle pagine di Torino Sette ormai da anni… Da recente intervista sull’Unità leggo che Culicchia ha appena finito di tradurre Huckleberry Finn (uno dei suoi – e dei miei – libri favoriti di ogni tempo)… Buon per lui! Ricordo sempre con nostalgia il suo esordio letterario… Culicchia è l’unico scrittore pubblicato che alla fin fine scriva di cose in cui mi riconosco.
DELUSIONE FESTIVALIERA
Non che mi piaccia particolarmente denigrare le attività della nostra amministrazione cittadina, ma quel che è successo al Festivalbar è veramente un caso degno di nota. Una premessa innanzitutto: il mio animo intimamente zarro non poteva mancare all’appuntamento. Sono stato un appassionato del Festivalbar per anni, e non posso rinnegare le mie radici. Io e Stefi ci predisponiamo perciò a zumpare vedendo Jovanotti, Natalie Imbruglia, i Backstreet Boys e tutte queste icone del pop giunte proprio nella nostra città a fare gli scemi sul palco di Salvetti. Sappiamo bene che i gggiovani si sono radunati da tutto il nord Italia in Piazza Castello dalla mattina stessa, ma non pensavamo di trovare all’incirca 20.000 persone ammassate in piazza alle 19, e soprattutto non ci aspettavamo lo spettacolo di un palco rincagnato nell’angolo più remoto della piazza, costruito ad arte in modo che nessuno, salvo forse quelli delle prime file, potessero vedere gli artisti anche solo di striscio. Nemmeno un megaschermo. Cioè, uno si accontenterebbe anche di quello. No. Comunque si soffoca, e decidiamo di defilarci per un po’. Il quadrilatero, ad esempio, è quasi deserto. Pizza veloce e poi torniamo. Magari anche se non vediamo nulla ci sentiamo qualche pezzo. Illusi! Le casse del Festivalbar non diffondono la musica più in là di 10 metri dal palco. Chi, come noi, è situato all’angolo con via Roma, al massimo sente i cori delle ragazzine che cantano "lascia che io sia il tuo brivido più grande" in coro con Nek. Ma di Nek nemmeno l’ombra. Peccato. Io adoro Nek. Decidiamo dopo un po’ che è il caso di andare. Facciamo il giro dal lato di via Po, giusto per vedere se c’è qualcosa di interessante, ma c’è solo la frenesia della folla che allunga le mani sulle limousine coi vetri oscurati dei cantanti. Urge una granita… Purtroppo devono averlo pensato in 5.000. Passando sotto i portici per recuperare lo scooter, l’immancabile incontro con Sahid, l’ambulante di fiducia della zona (al quale la Bamboo si è ispirata per uno dei personaggi dell’ultimo corto).
"Dutur! Quanto tempo…! Come va?"
"Ciao Sahid… Guarda, non mi fermo perché non ho nulla…"
"Aspeeeetta dutur! Siamo amici di vecchia data, no? E dai, tieni un braccialetto…"
"Ma no guarda…"
"Ecco, prendine tre, uno per l’amore, uno per l’amicizia e uno per il sesso, che non fa mai male…!"
Stefi ridacchia, Sahid se ne accorge e piazza tre braccialetti anche a lei.
"Adesso ne avete sei, magari avete anche 5 euro…"
"Senti, adesso vediamo, ma più che qualche spicciolo non abbiamo."
"Sai… il 24 aprile scorso sono anche diventato papà!"
"Beh, complimenti!"
"E’ difficile sai con tutta una famiglia adesso… Con 5 euro mi ci faccio una bella pizza…"
"Eh, li stiamo cercando…"
"E poi adesso dò anche la maturità!"
"…Eh no, Sahid… scusa ma la maturità la stavi già dando l’anno scorso, com’è sta storia?"
"Eh eh eh… dutur… Ce li hai allora i 5 euro?"
Alla fine li troviamo e glieli diamo. Sahid è un’istituzione. Non lo puoi evitare. Il Festivalbar (ci dovesse essere una prossima volta), sì.
