TORINO E’ (ANCHE) CASA MIA

Si sorride e a volte si sghignazza con il nuovo libro di Giuseppe Culicchia, Torino è casa mia. Per un non torinese, un arguto compendio di tutto ciò che concerne la "torinesità". Per un torinese uno specchio nemmeno troppo deformante della realtà di ogni giorno. Per me, un libro da leggere seduto nei luoghi da Culicchia descritti, come l’Aiuola Balbo, o i gradoni di Piazzale Fusi, le poltrone di Fiorio, l’atrio di Palazzo Nuovo e via dicendo. A quanto pare Laterza ha chiesto al nostro giovin scrittore (che ormai ha compiuto 40 anni) di scrivere una guida turistica sui generis… Infatti il libro (sotto la metafora della casa – Portapalazzo è la cucina, Piazza San Carlo il salotto, etc.) è un po’ la Lonely Planet della città, con segnalazioni di luoghi, storie, tradizioni. In più, c’è l’occhio antropologico che Culicchia esercita dalle pagine di Torino Sette ormai da anni… Da recente intervista sull’Unità leggo che Culicchia ha appena finito di tradurre Huckleberry Finn (uno dei suoi – e dei miei – libri favoriti di ogni tempo)… Buon per lui! Ricordo sempre con nostalgia il suo esordio letterario… Culicchia è l’unico scrittore pubblicato che alla fin fine scriva di cose in cui mi riconosco.

DELUSIONE FESTIVALIERA

Non che mi piaccia particolarmente denigrare le attività della nostra amministrazione cittadina, ma quel che è successo al Festivalbar è veramente un caso degno di nota. Una premessa innanzitutto: il mio animo intimamente zarro non poteva mancare all’appuntamento. Sono stato un appassionato del Festivalbar per anni, e non posso rinnegare le mie radici. Io e Stefi ci predisponiamo perciò a zumpare vedendo Jovanotti, Natalie Imbruglia, i Backstreet Boys e tutte queste icone del pop giunte proprio nella nostra città a fare gli scemi sul palco di Salvetti. Sappiamo bene che i gggiovani si sono radunati da tutto il nord Italia in Piazza Castello dalla mattina stessa, ma non pensavamo di trovare all’incirca 20.000 persone ammassate in piazza alle 19, e soprattutto non ci aspettavamo lo spettacolo di un palco rincagnato nell’angolo più remoto della piazza, costruito ad arte in modo che nessuno, salvo forse quelli delle prime file, potessero vedere gli artisti anche solo di striscio. Nemmeno un megaschermo. Cioè, uno si accontenterebbe anche di quello. No. Comunque si soffoca, e decidiamo di defilarci per un po’. Il quadrilatero, ad esempio, è quasi deserto. Pizza veloce e poi torniamo. Magari anche se non vediamo nulla ci sentiamo qualche pezzo. Illusi! Le casse del Festivalbar non diffondono la musica più in là di 10 metri dal palco. Chi, come noi, è situato all’angolo con via Roma, al massimo sente i cori delle ragazzine che cantano "lascia che io sia il tuo brivido più grande" in coro con Nek. Ma di Nek nemmeno l’ombra. Peccato. Io adoro Nek. Decidiamo dopo un po’ che è il caso di andare. Facciamo il giro dal lato di via Po, giusto per vedere se c’è qualcosa di interessante, ma c’è solo la frenesia della folla che allunga le mani sulle limousine coi vetri oscurati dei cantanti. Urge una granita… Purtroppo devono averlo pensato in 5.000. Passando sotto i portici per recuperare lo scooter, l’immancabile incontro con Sahid, l’ambulante di fiducia della zona (al quale la Bamboo si è ispirata per uno dei personaggi dell’ultimo corto).
"Dutur! Quanto tempo…! Come va?"
"Ciao Sahid… Guarda, non mi fermo perché non ho nulla…"
"Aspeeeetta dutur! Siamo amici di vecchia data, no? E dai, tieni un braccialetto…"
"Ma no guarda…"
"Ecco, prendine tre, uno per l’amore, uno per l’amicizia e uno per il sesso, che non fa mai male…!"
Stefi ridacchia, Sahid se ne accorge e piazza tre braccialetti anche a lei.
"Adesso ne avete sei, magari avete anche 5 euro…"
"Senti, adesso vediamo, ma più che qualche spicciolo non abbiamo."
"Sai… il 24 aprile scorso sono anche diventato papà!"
"Beh, complimenti!"
"E’ difficile sai con tutta una famiglia adesso… Con 5 euro mi ci faccio una bella pizza…"
"Eh, li stiamo cercando…"
"E poi adesso dò anche la maturità!"
"…Eh no, Sahid… scusa ma la maturità la stavi già dando l’anno scorso, com’è sta storia?"
"Eh eh eh… dutur… Ce li hai allora i 5 euro?"
Alla fine li troviamo e glieli diamo. Sahid è un’istituzione. Non lo puoi evitare. Il Festivalbar (ci dovesse essere una prossima volta), .

SCUSATE SE PARLIAMO DI SESSO

Ieri sera mi sono predisposto ad una tranquilla visione casalinga di Closer. Che tanto tranquilla non è stata. Nel senso che Closer è uno di quei film dove devi stare all’erta, cogliere i dialoghi, leggere tra le righe delle relazioni tra i personaggi. Intendiamoci, un ottimo film. Chiaramente derivato da una pièce teatrale. Non si fa altro che parlare, in Closer. Si parla però soprattutto di sesso, e se ne parla in maniera spinta. Non capita tutti i giorni di sentire Julia Roberts che ammette con Clive Owen di "farsi prendere da dietro" e di "farsi venire in faccia" da Jude Law. Né può mai accadere, nel normale universo filmico, che Natalie Portman scosti un minislip per offrirsi completamente nuda allo sguardo bramoso di Clive Owen. Insomma, di sesso se ne parla ma non lo si fa. O almeno non lo si fa in scena. E perciò ad un certo punto Closer risulta anche un po’ irritante, o magari forzato. Però c’è una sincerità di fondo che colpisce, nella ronda di questi quattro personaggi (o almeno tre di loro) che non sanno fare altro che farsi del male. Mike Nichols forse mirava a realizzare un nuovo Conoscenza carnale, ma mentre lì era spinto dalla rivoluzione sessuale in corso, qui il soggetto è un po’ più ripiegato su sé stesso. Anche se le inquadrature sono sempre tese, geometriche e inquietanti. Anche se dominano i primi piani, come quello bellissimo di Natalie Portman in lacrime.