HANNIBAL E’ SEMPRE LUI

Mio padre è un grande. Partendo da questa semplice verità, potrei azzardarmi a pensare a quello che mi ha trasmesso e mi trasmette in termini di atteggiamento verso la vita. Probabilmente non è sempre vero che un genitore è una scuola di vita. Nel mio caso posso dire con certezza che lo è stata. Lo è tuttora. Cosa ho di lui dentro di me? La razionalità un po’ svagata nell’affrontare i problemi, sicuro. La capacità di uscirsene sempre e comunque con la frase più imbarazzante nel momento sbagliato? Forse. L’apertura mentale tipica di chi si dedica allo studio dell’uomo, certo. Homo sum. Nihil humanum a me alienum puto. Questa frase mi gira in testa da un po’, ultimamente. Lui, dal grande classicista che è, ne sarebbe certamente orgoglioso. Anche se questa venerazione per i greci e i latini un po’ ci divide (sostanzialmente lui ci sguazza e io me ne frego relativamente, del resto un po’ di ribellione verso i padri ci vuole sempre). Da piccolo il papà è dio. Indistruttibile, onnipotente, la sua volontà è legge. Poi capisci che non è così, che l’idolo è comunque umano, che siamo tutti della stessa pasta, e allora magari ti incazzi, più spesso ridimensioni, o se non altro avvii un rapporto diverso. Ma, a trentacinque anni, torno a capire che il più grande è sempre lui. Che non c’è eroe ideale che tenga di fronte alla figura del padre. E’ sempre il più forte di tutti, un eroe positivo anche quando le cose non gli vanno bene. Faticoso capirlo giorno per giorno. Ma ci si prova.

ED ORA… UN PO’ DI SANA DEVASTAZIONE

L’ultima volta che ne sono uscito così male è stato nel 1992, quando per la prima volta ho ascoltato Metal Machine Music di Lou Reed fino alla fine, in cuffia. Il concerto di Aphex Twin è stato ancora più devastante. Io lo considero un pazzo geniale, per quel che mi riguarda. O il "Mozart della techno", come dicono i giornali. Sta di fatto che spesso si dedica anche alla composizione di pezzi un po’ più – come dire – ambient. Ieri sera invece ha letteralmente rovesciato addosso al pubblico torinese miliardi di decibel impazziti e cattivissimi. Preceduto da un DJ Set Warp tanto per scaldare il pubblico, Aphex è arrivato, si è posizionato dietro il bancone (al buio), ha violentato le nostre orecchie per un’ora e mezza senza mai far vedere più di un pugno alzato ogni tanto, poi alla fine si è messo lo zainetto in spalla e se n’è andato. I video: l’amico Chris Cunningham è stato dovutamente omaggiato con proiezione di corti deliranti (feti malformati, visi demoniaci, gente che si spaccava di mazzate e violenze varie) e dei suoi impareggiabili videoclip per il compare Aphex (Come to daddy su tutti, con la mitica vecchina investita dall’urlo del demone "I-ii-iiiiiii want your soooooooOOOOOOooooulllllllll…."). Chris rimane sul palco a giocare con i megaschermi che circondano Aphex e a proporre campionamenti video delle Cocorosie, un duo di ballerine-poupée che si agita scompostamente sul palco mentre Aphex gira furiosamente le manopole del mixer. La musica: uno tsunami di fragore cosmico, pulsante e stridente, che colpisce la folla allo stomaco. Nessuna concessione, solo devastazione. Risultati fisici: il cervello sembrava colare giù dal naso, le orecchie si appiattivano contro il cranio per tentare di sfuggire alla violenza, lo stomaco sembrava uscire dalla schiena e la spina dorsale vibrava all’unisono con le ballerine. Le strobo completavano il quadro. Un concerto inadatto ad epilettici, deboli di cuore e di stomaco, amanti del pop. Aphex va avanti senza nessuna pausa tra un pezzo e l’altro e senza soluzione di continuità propone anche un corrosivo bis a base di Tiziano Ferro, Las Ketchup e Avril Lavigne (ovviamente "trattati" con suoni acidi e urticanti). Prima del delirio finale, la vocina distorta in italiano annuncia "Ed ora… un po’ di sana devastazione". Per un attimo mi è sembrato di essere ad un concerto di MGZ (l’Aphex Twin italiano). Il cervello vibra ancora.