Sono basito da tutte le polemiche recenti su bullismo scolastico e relativi video su YouTube. Pare sia uno degli argomenti di moda adesso sui quotidiani e sui settimanali. Sono d’accordo solo sul fatto che la diffusione dei video può spingere al desiderio di emulazione e di "fare meglio", registicamente parlando, rispetto ai video già visti on line. Peraltro, l’unica differenza tra questa generazione e le precedenti è la presenza discreta e pervasiva del videofonino. Perché la caccia al primino la facevamo anche noi, è chiaro. Solo che non c’erano i mezzi per documentarla. Ovvio che le ultime generazioni, forti di programmi scolastici da idioti (una ex compagna di classe ora professoressa di latino mi ha mostrato una versione di oggi: 5 righe contro le 25 di allora, rigorosamente tratte dai testi più facili altrimenti i genitori si incazzano) e di una sfrontatezza sempre più pronunciata (se ne combinano di ogni anche per essere citati sul tragicomico sito di 7 in condotta) fanno più notizia di quelle precedenti. Negli ultimi giorni, una mamma mi ha riportato un episodio rappresentativo, avvenuto in una scuola elementare di un paese della cintura torinese (uno di quei paesi notoriamente considerati "su"). Alcune bambine di quarta sono state segnalate per il fatto di andare spesso in bagno insieme. Nel bagno dei maschi, però. Incuriositi da questa pratica, i dirigenti scolastici hanno pensato di mettere delle telecamere (la qual cosa già mi pare strana) e hanno scoperto che le bambine si facevano pagare 3 euro a botta per praticare servizietti orali ai compagni più grandicelli. Da qui gran bailamme di genitori, accuse alla scuola, accuse alle famiglie, etc. Ora, io ho alcune considerazioni da fare in merito. La prima: se le bambole con cui giocano alle elementari sono le Bratz, direi che non ci si può aspettare di meglio. La seconda: non mi torna il fatto che abbiano ripreso dei video. Cosa pensano di farci, distribuirli nel circuito dei pedofili? La cosa non mi stupirebbe. La terza: tutti noi, fin dall’età prescolare, vogliamo farci in tutta tranquillità le nostre esperienze sessuali. Quello che scandalizza me è il fatto di farsi pagare. Vuol dire che quello che conta, fin da bambini, è il denaro. Purtroppo andrà sicuramente a finire che queste bambine, crescendo, aumenteranno le "tariffe" e strumentalizzeranno sempre il sesso al denaro. La quarta: almeno qualcosa di positivo ci sarà per i nostri bambini, in questo mondo sempre più pazzo… Ai miei tempi era già molto se le compagne di classe ti davano una fugace carezza! La quinta: almeno questi non si sono ripresi col videofonino! Perché a quel punto, se le bambine chiedevano soldi, i bambini ne avrebbero potuti chiedere altrettanti, se non molti di più, con la minaccia di diffondere via etere le loro imprese erotiche. E sono cose che succedono, in qualunque scuola di qualunque città. Invece di scandalizzarci chiediamoci da dove possono venire in mente ai bambini delle elementari comportamenti da puttane e ricattatori…
ALIENAZIONE (MA NON E’ UNA FICTION)
7.45
La sveglia. Ultimamente non la sente nemmeno. Una mano fuori dal piumone, un tocco sullo snooze e voilà. Altri dieci minuti tra le braccia di Morfeo. Ma come tutte le mattine l’ansia lo attanaglia quasi subito, come una mano fredda alla bocca dello stomaco. Un altro giorno. Un altro fottutissimo giorno sta per cominciare, pensa. E deve scendere dal letto. Non ne può fare a meno.
8.30
Esce di casa. Chiude a chiave, prende l’ascensore. In strada, ricorda improvvisamente di aver lasciato su alcuni documenti di fondamentale importanza. L’agenda del suo cellulare segna per la giornata nove appuntamenti. Anche se lui preferisce definirle incombenze. La sensazione che prova ormai da tempo è quella di non vivere più la sua vita ma di essere condannato a vivere quella di un altro. Quella di un personaggio di un libro di Kafka, per la precisione. Controlla: c’è tutto. Inforca lo scooter e percorre i 3200 metri che lo separano dall’ufficio come fa tutti i giorni. Con lo sguardo vacuo, i riflessi automatici e la mente impegnata a tener testa alla mano fredda che artiglia ogni ora di più.
9.00
In ufficio dovrebbe lavorare. Si sente anche un po’ in colpa, quando capita così. Quando capita di passare quasi tutta la mattina a rincorrere al telefono l’INPS, l’Agenzia delle Entrate e gli uffici comunali. Tutto deve essere in ordine, tutti i documenti devono essere pronti, controllati e ricontrollati. La pausa pranzo servirà ad annullare definitivamente l’ansia.
10.30
Si prende un caffè. Si lascia il tempo di ascoltare i racconti della collega e di guardare con occhio divertito le foto delle sue vacanze a New York. Un po’ gli dispiace di non partecipare come vorrebbe alla discussione, ma dietro la facciata, nella sua mente, si agitano cifre, calcoli, progetti, strategie e piani per stirare e rimettere a nuovo la sua vita stropicciata. Ce la posso fare, pensa. Ce la devo fare.
12.30
E’ il momento. Prende congedo dai colleghi. "Vado in posta, ci vediamo tra un’oretta". Se me la sbrigo, pensa, potrei anche passare alla FNAC a prendere gli ultimi regali di natale e mangiare un panino lì.
12.40
La posta centrale si presenta come una scena apocalittica. Il primo ostacolo è il numero. Il primo ostacolo è sempre un numero. L’impiegata troppo truccata gli consiglia un numero serie "P". Glielo porge. C’è scritto "P278". Stanno servendo il "P196". Poco male, pensa. Intanto compilerò i moduli, e completerò la preparazione delle raccomandate.
12.50
I moduli sono perfettamente compilati. Stanno servendo il numero "P199".
13.00
La testa gli cade. Deve solo fare attenzione a non lasciar cadere le raccomandate, i bollettini ICI e l’F24. Poi, forse, può anche dormire, perché no? In fondo stanno servendo il numero "P202".
13.50
Si risveglia improvvisamente, inspirando di colpo. Cazzo, stanno quasi per cadergli i documenti di mano. Stanno servendo il numero "P231". Un uomo tarchiato, col viso rosso e gli occhi piccoli e neri, un sacco della spazzatura pieno di oggetti indefinibili trascinato dietro di sé, sta urlando contro un impiegato delle Poste. "Ma che cazzo, cinque sportelli dedicati ai numeri della serie "P" e ce n’è solo uno aperto? Ma come cazzo ragionate, ma non è possibile!". La folla esprime il suo assenso con un mormorio diffuso.
14.00
Stanno servendo il numero "P240".
14.15
Ormai non riesce più a dormire. Si sta scazzando. Si sta scazzando parecchio. Non ha mangiato. Mangiare è importante. Stanno servendo il numero "P248". Si vede costretto a telefonare in ufficio ipotizzando un permesso retribuito di mezz’ora.
14.20
Incredibile: i numeri da "P254" a "P277" volano via come un lampo. Evidentemente quelli in coda prima di lui hanno abbandonato il campo. La tensione ormai è alle stelle.
14.30
"P278"! "P278"! L’impiegata ride e scherza con una collega mentre svolge le pratiche, rallentando sensibilmente il processo. Lui la fissa. Lei gli dice "Ha visto che tesori le mie colleghe, e quante coccole mi fanno?" Lui la fissa. Lei dice "Sto per andare in pensione, sa? E quindi tutti mi vogliono salutare". Lui la fissa. Lei alza le sopracciglia più del dovuto vedendo il modello F24. "Sa, questo non lo so fare molto bene, chiamo Cecilia o Rosalba, loro risolvono di sicuro".
14.50
Cecilia o Rosalba digita perplessa qualcosa sulla tastiera. "Ma lei è sicuro di aver compilato correttamente il modulo?". E’ sicuro. "Eppure qui dà errore… Guardi, faccia una cosa torni domani dopo aver parlato con l’INPS". Lui è sicuro. Ha controllato tutto. La fissa. "Torni domani". La fissa. "Abbiamo finito".
15.00
In ufficio con mezz’ora di ritardo. Tre pezzi di pizza ingoiati male e una serie di bestemmie ficcate di traverso in gola.
16.00
Al telefono con l’INPS. Non ci sono errori. "Ma vede, alle Poste sono degli incompetenti, sa?". Lui lo sa. Lo sa bene. Odia le poste. "Provi in banca, lì non le faranno storie". Proverà in banca.
17.00
E’ ora di uscire. Oggi non ha combinato nulla, almeno per quanto riguarda il lavoro. Come sempre è solo, tutti i colleghi sono usciti prima di lui. A lui tocca spegnere le luci e chiudere a chiave, lasciando che la penombra invada pietosamente quelle due stanze cariche di tensioni negative.
17.30
Odia le spese natalizie. Odia la gente. Odia il fottutissimo Santa Claus. Soprattutto, odia Bing Crosby.
19.00
Il calvario natalizio (che per quanto lo riguarda sta durando anche troppo) è finito, almeno per oggi. Ma quella maledetta scatola di cioccolatini non vuole saperne di stare nel bauletto dello scooter. Porca puttana, pensa. Chiuditi, chiuditi bastardo!
19.10
Con un po’ di violenza si ottiene tutto. Due pugni bene assestati e il bauletto si è chiuso. Magari i cioccolatini ne risentiranno. Ma a questo punto me ne fotto, pensa. Voglio solo tornare a casa. Si siede, mette il casco. La chiave è già nel quadro, le luci accese. Da dieci minuti. A motore spento. La batteria è fottuta. Cristo, pensa. Le ho dimenticate accese mentre lottavo col bauletto.
19.30
Riesce a trascinare 200 kg di moto sotto un albero poco lontano. Tenta di chiamare aiuto, ma ottiene pochi risultati. Comincia a piovere. Prima piano, poi sempre più forte. L’amico di sempre non ha i cavi, ma si farà vivo presto per solidarietà. Abita vicino. Lei, invece, sempre pronta a dare una mano… Lei è al momento irraggiungibile. Ma lei ha i cavi. Alla quarta chiamata non risposta, arriva inesorabile il messaggio dell’operatore telefonico: "La informiamo che il suo credito residuo è in esaurimento". Appoggia la fronte sul quadro degli strumenti. Lascia che la pioggia coli sulla sua nuca. Davanti a lui un lampione, qualche passante frettoloso e un balcone con il fottuto Santa Claus che si arrampica sulla corda luminosa.
19.45
Il conforto di un amico. Qualche chiacchiera amara, il primo sorriso della giornata.
20.00
Arriva lei. Con i cavi. Con l’amore. Amore che connette, amore che passa energia per riavviare il motore e forse anche la giornata. Ma la batteria è inaccessibile. Sotto la pioggia lui, lei e l’altro trafficano con pile, brugole, cacciaviti, cavi. Smontata mezza moto, riescono finalmente a scoprire i poli positivi e negativi. Ma, come in una metafora della vita (anche un po’ banale, volendo) i morsetti dei cavi sono troppo grossi per poter pinzare i poli dello scooter. Le bestemmie volano ancora, acide e lievi su di loro, come la pioggia sempre più insistente.
20.15
L’immancabile telefonata della mamma. Di solito porta rogne. E anche stavolta non fa eccezione. La mamma farfuglia qualcosa a proposito di atti notarili, convocazioni del tribunale, problemi relativi alla successione della casa. Lui incassa silenzioso sotto la pioggia, mentre lei e l’altro trafficano coi cavi. Ne parliamo poi, pensa. Ne parliamo poi. Oggi no. Oggi ne ho abbastanza.
20.30
Ce la fanno. La moto riparte. Si rimonta tutto, stanchi ma felici. Un altro problema è risolto. Il decimo problema della giornata, conta mentalmente. Si salutano. Tornano a casa. E la giornata finisce qui. Anzi no. Deve ancora fare un po’ di operazioni di online banking prima che sia notte. Ma prima un piatto caldo. E dopo un po’ di blog. Perché a fine giornata, si sa, scrivere aiuta a sfogarsi.
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SE FRANK CAPRA LAVORASSE ALLA PIXAR…
Recentemente ho avuto modo di vedere Cars, l’ultimo successo Disney/Pixar in DVD. In realtà l’ho visto già da qualche giorno, ma l’impressione è sedimentata dentro di me fino a sbocciare in un pensiero ardito stanotte. Al di là della solita maestria tecnica (anche se – devo dire – le macchine come personaggi mi lasciano totalmente indifferente) e delle gag sempre divertenti tipo quella del carburante biologico del camioncino Volkswagen hippy, mi chiedevo: cosa c’è sempre nei film Pixar? Una bella storia. Infatti c’è una storia decisamente esemplare, con l’eroe sbruffone che, messo a contatto con una realtà provinciale impara ad amare la semplicità e diventa più maturo. Poi ho associato questo pensiero ad un altro pensiero, che ogni tanto mi ronza in testa: dov’è oggi il cinema classico, quello della grande Hollywood che fu? E alla fine la risposta è semplice. Sta nel cinema di animazione (se è fatto con la testa e col cuore). Infatti Cars non è altro che un film di Frank Capra con un po’ di pixel addosso. Se ci pensate nessuno farebbe un film in stile Capra oggi. Chi ci ha provato è rimasto scottato, sia che si trattasse di un remake (Adam Sandler) sia che si trattasse di una rilettura ironica (i Coen in tempi non sospetti). Ma se lo fai in un cartoon, allora va bene. E Cars trasuda buonismo e buonsenso americano da ogni inquadratura. Folgorato da questa idea, consiglio a tutti una bella immersione nel cinema di Capra prima, durante e dopo il Natale. Non mi riferisco a quel film estremamente sopravvalutato che tutti gli anni a Natale viene programmato a rotazione, ma ad altri veri capolavori che vi risulterà un po’ più difficile trovare ma che vi allargheranno il cuore senza intasarvi le arterie, come Accadde una notte, Orizzonte perduto e Arriva John Doe. Tre film classici diversi tra loro che hanno ancora la capacità di dirci qualcosa. Poi Capra si è perso nella propaganda bellica e quando ne è uscito ha prodotto La vita è meravigliosa: la sua ricetta è diventata subito ad alto tasso di colesterolo.
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