GLADIATOR II, LA FINE DELL’IMPERO

Ci tenevo a finire l’anno vedendo una trashata fatta bene. Gladiator II è ruffiano fin dall’inizio, con i titoli di testa animati in uno stile vagamente reminiscente della famigerata sequenza animata di Caligola di Tinto Brass (recentemente restaurata in un “ultimate cut”). Dai credits abbiamo dunque un breve riassunto di Gladiator, per chi ne avesse bisogno (ad esempio: io).

Poi inizia la storia di Hano (Paul Mescal), sposo guerrigliero in terra di Numidia che affronta la flotta romana capitanata dal generalissimo Acacius (Pedro Pascal) che in una lunga scena di assedio gli uccide la moglie e lo fa prigioniero. Classico Gladiator. E niente, poi da lì siamo nel più classico dei sandaloni con Ridley Scott che evidentemente si diverte tantissimo, anche se chi si diverte più di tutti è evidentemente Denzel Washington nel ruolo del lanista sponsor di gladiatori slash complottista slash eminenza grigia che vuole detronizzare gli imperatori gemelli Geta e Caracalla (Geta è Joseph Quinn di Stranger Things, Caracalla è Fred Hechinger di Thelma).

Ci sono alcuni attori che tornano, principalmente Connie Nielsen nel ruolo di Lucilla che farà la grande rivelazione che tutti più o meno sanno dall’inizio (ma se non la sai non la dirò qui) e che casualmente è anche la moglie di Acacius e insieme a lui sta tramando per riportare il senato detronizzando i due imperatori: poveri imperatori, tutti li vogliono detronizzare per un motivo o per l’altro.

E niente, ci sono delle belle scene d’azione, c’è tutta la CGI più orribile che ti puoi aspettare (i babbuini santiddio) e ci sono le ovvie inesattezze storiche che è lecito aspettarsi da un sandalone di Ridley Scott, compreso il senatore che legge il giornale al bar. 

Come sequel non è male, anzi è abbastanza nelle corde “pop” del primo film: è divertente, non fa male a nessuno, forse è un po’ fuori tempo massimo, ecco.

IL MALE NON ESISTE… O NO?

Evil Does Not Exist, Il male non esiste di Ryusuke Hamaguchi è precisamente il film giusto da guardare il giorno di Natale: lento, contemplativo, con la sua carrellata da un punto di vista impossibile sulle cime degli alberi nel bosco che accompagna i primi dieci minuti di film.

Poi vediamo Takumi, il protagonista, spaccare la legna e raccogliere l’acqua della sorgente per un po’, oppure lo vediamo vagare con la figlia Hana e spiegarle le differenze tra gli alberi.

Poi capiamo che c’è una società che per prendere i fonti per le imprese legati al Covid ha deciso di costruire un Glamping nel villaggio di Takumi, ma la popolazione locale si oppone per una serie di problematiche legate alle fosse settiche e al flusso delle acque. Tutta la parte centrale del film è come una interminabile riunione di condominio, alternata con le call pacate ma decisamente turboliberiste del management della società appaltatrice.

La svolta: la società tenta di accaparrarsi Takumi come consulente. Il che potrebbe anche funzionare, dato che Keisuke e Yuuko, i rappresentanti della società, nel frattempo hanno imparato ad amare e rispettare il villaggio di Takumi. Uno dei problemi potrebbe essere quello dei cervi, che in quel territorio sono tanti e oltretutto quando i cacciatori gli sparano diventano anche pericolosi.

Improvvisamente tutti si rendono conto che Hana è sparita (c’è da dire che la bambina è spesso lasciata a sé stessa). E niente, in un finale a metà tra il reale e l’onirico che ha lasciato basito più di uno spettatore si scopre che… il male non esiste, e che la storia dei cervi feriti che sclerano per difendere i cerbiatti era solo una mossa preparatoria per quello che succede alla fine e che non posso dire se non avete ancora visto il film.

Segue per qualche minuto la stessa carrellata dell’inizio ma di notte invece che di giorno e con Takumi che ansima invece che nel silenzio. Hamaguchi è così, prendere o lasciare.

DEAR SANTA: UNA VIGILIA DIABOLICA

Il “film della vigilia” serve sempre, per raccogliere la famiglia davanti a uno schermo in attesa della notte di Natale. Il ritorno dei fratelli Farrelly, in accoppiata con un imbolsito ma sempre molleggiato Jack Black, garantisce il divertimento zuccheroso.

La premessa è divertente, c’è questo undicenne di nome Liam (Robert Timothy Smith, sicuramente un attore di cui sentiremo ancora parlare) che è affetto da dislessia, vive in una famiglia disfunzionale dove a seguito di una tragedia i genitori sono sull’orlo del divorzio e deve affrontare una nuova scuola perché si sono trasferiti da poco ad Atlanta in seguito alla tragedia di cui sopra.

Liam è innamorato della sua compagna Emma e si confida col suo unico amico Gibby. Anche se non ci crede più scrive una lettera a Babbo Natale, indirizzandola però per sbaglio a SATAN invece che a SANTA. E oplà, arriva Jack Black con corna e zolfo: non porta regali ma tre desideri, dopo di che l’anima del bambino sarà sua.

Liam si fa convincere a desiderare un’occasione per stare con Emma e Satana va sopra le righe invitando tutti a un concerto di Post Malone e rendendo Liam il ragazzo più popolare della scuola. Intanto i genitori chiamano in causa uno psicologo (il divertente Keegan Michael-Key) perché il bambino parla troppo di cose strane.

Il secondo desiderio di Liam è tutto per Gibby: gli mette a posto i denti troppo sporgenti che lo fanno soffrire. E il terzo desiderio… sarebbe per i genitori, che si amassero sempre e stessero insieme per sempre. Quando Satana torna all’inferno capiamo che non è per nulla Satana, e che è solo un semidemone di infima categoria al quale devono ancora “spuntare le corna” (ovvio riferimento a La vita è meravigliosa).

L’anima di un bambino “buono” come Liam fa abbastanza schifo a Satana, e il contratto viene annullato. Jack Black però decide di tornare esaudendo il desiderio originale che Liam aveva scritto all’inizio nella sua lettera a Babbo Natale e… purtroppo è qui che il film diventa inverosimile e mieloso rovinando un po’ tutto quanto costruito prima. Però insomma, è una commedia di Natale e glielo perdoniamo, ci sono parecchie scene molto divertenti e la chimica tra il bambino impacciato e Jack Black vale tutto.