BAGMAN, COME NON FARE PAURA

Sono molto in imbarazzo. Già questo 2025 è iniziato con una sfilza di film con alte aspettative e risultati quantomeno problematici. A un certo punto mi dico vabbè ora guardo un bell’horror onesto che ha un poster con un burattino supercreepy e mi intrattengo un po’.

E invece. Bagman ha l’ambizione di creare una nuova maschera horror, l’uomo nero che “mette i bambini nel sacco”, quindi procede con un cold open che dovrebbe presentare la creatura, poi con dei titoli di testa illustrati che dovrebbero suggerirne la lore, e poi si passa a un… dramma familiare di genitori con figlio piccolo che non riescono a fare nulla che non sia stare dietro al figlio piccolo (relatable) con una confusa storia di flashback e traumi infantili da parte del padre, che è poi il protagonista.

Bagman procede un po’ per svelamento di backstory (Bagman sembrerebbe un’invenzione del padre del protagonista al puro scopo di fargli venire gli incubi e impedirgli di avvicinarsi alla vecchia miniera di rame), un po’ per spiegoni inevitabili (c’è la psicologa apposta), un po’ come un insulso thriller sottogenere home invasion senza particolari spaventi.

Bagman (la creatura, dico) non si vede quasi mai ed è certamente voluto, ma è anche un peccato perché potrebbe rubarsi la scena come niente. Alla fine è tutto molto meccanico e prevedibile e (salvo burattino supercreepy che poi è un automa programmato per dire “DADDY! DADDY!” e attirare il protagonista nella tana del lupo) per nulla inquietante. Il che, per un horror è un po’ il peccato originale.

Boh, io mi domando che li fai a fare i film di mostri se non fai vedere il mostro.

BABYGIRL: NICOLE KIDMAN E IL BDSM

Nicole Kidman è un’attrice molto versatile, ed è abituata a “portare sulle sue spalle” diversi film anche controversi come Eyes Wide Shut o Birth. D’altra parte è anche abituata a interpretare dei ruoli in thrilleroni un po’ telefonati che vengono nobilitati il giusto dalla sua presenza.

Potreste pensare che Babygirl entri nel solco dei film problematici e controversi che Kidman alterna ai polpettoni commerciali. Ni. Perché il film dell’olandese Halina Reijin (già responsabile del bizzarro horror Bodies Bodies Bodies) si muove sul sottile confine tra il thriller erotico anni ’80, il trash involontario e la riflessione (fuorviante) sulla sessualità kinky.

Intendiamoci, Nicole Kidman fa un lavoro ottimo, a livello di Demi Moore in The Substance per quanto riguarda il mettersi in mostra “senza filtro”. Tutti sanno che il film comincia con un orgasmo in primo piano (simulato) con il partner Antonio Banderas e che subito dopo la protagonista corre a masturbarsi su un porno BDSM venendo in modo molto più animalesco e “sincero” (?).

La storia (esile e prevedibile) è quella di una CEO insoddisfatta sessualmente che incontra uno stagista che a sua volta intuisce il suo bisogno di essere sottomessa in una relazione di tipo D/s e che quindi porta avanti una serie di incontri con lei in sordide stanze d’albergo, arrivando poi a diventare una presenza minacciosa per la di lei tranquillità economica e familiare.

I due termini di paragone che mi vengono in mente sono 50 sfumature di grigio (se vogliamo più di intrattenimento e più nazionalpopolare) e Secretary (più sottile e con una migliore caratterizzazione dei personaggi). Babygirl appare un po’ tagliato con l’accetta soprattutto nella misura in cui sembra suggerire che una sessualità kinky sia il frutto di traumi infantili.

Però Nicole Kidman è sicuramente sempre molto brava, e non guarderete più bicchieri e piattini di latte allo stesso modo.

ALMODÒVAR E LA MORTE

Fino a che punto può spingersi un favore che chiedi a un’amica? The room next door, il più recente film di Almodòvar (il primo in lingua inglese e – scopro ora stupendomi – il primo a ricevere un premio a Venezia) risponde in modo coloratissimo ma anche gelido e dark a questa domanda, mettendo in capo due pesi massimi: Tilda Swinton e Julianne Moore.

Ingrid (Julianne Moore) è una scrittrice di successo con la fobia della morte. Martha (Tilda Swinton) è una reporter di guerra stilosissima che – manco a dirlo – ha un tumore allo stadio terminale. Le due amiche si ritrovano, Ingrid supporta Martha nel suo percorso di cure finché Martha le fa “la proposta”. Vuole auto-eutanasizzarsi con una pillola misteriosa ma vuole che ci sia qualcuno nella stanza accanto: Ingrid, per l’appunto.

Le due si trasferiscono in una sbalorditiva residenza di campagna e passano una sorta di vacanza pensando ossessivamente al finale di The Dead di James Joyce o guardando vecchi film di Buster Keaton. Il patto è che quando Ingrid troverà la porta della stanza di Martha chiusa, vorrà dire che lei sarà morta.

Inutile dire che non è il migliore Almodòvar in assoluto, ma è un buonissimo Almodòvar, che non ha perso il meraviglioso vizio di mescolare Hitchcock e Sirk, che intreccia alla storia principale numerosi flashback sulla vita di Martha e un finale dove l’intrigo “poliziesco” perde decisamente di interesse di fronte ad un nuovo personaggio che entra in scena.

Abiti e arredamento a base di vivaci chiazze di colori primari sono ovviamente assicurati.