ALIENAZIONE (MA NON E’ UNA FICTION)

7.45
La sveglia. Ultimamente non la sente nemmeno. Una mano fuori dal piumone, un tocco sullo snooze e voilà. Altri dieci minuti tra le braccia di Morfeo. Ma come tutte le mattine l’ansia lo attanaglia quasi subito, come una mano fredda alla bocca dello stomaco. Un altro giorno. Un altro fottutissimo giorno sta per cominciare, pensa. E deve scendere dal letto. Non ne può fare a meno.
8.30
Esce di casa. Chiude a chiave, prende l’ascensore. In strada, ricorda improvvisamente di aver lasciato su alcuni documenti di fondamentale importanza. L’agenda del suo cellulare segna per la giornata nove appuntamenti. Anche se lui preferisce definirle incombenze. La sensazione che prova ormai da tempo è quella di non vivere più la sua vita ma di essere condannato a vivere quella di un altro. Quella di un personaggio di un libro di Kafka, per la precisione. Controlla: c’è tutto. Inforca lo scooter e percorre i 3200 metri che lo separano dall’ufficio come fa tutti i giorni. Con lo sguardo vacuo, i riflessi automatici e la mente impegnata a tener testa alla mano fredda che artiglia ogni ora di più.
9.00
In ufficio dovrebbe lavorare. Si sente anche un po’ in colpa, quando capita così. Quando capita di passare quasi tutta la mattina a rincorrere al telefono l’INPS, l’Agenzia delle Entrate e gli uffici comunali. Tutto deve essere in ordine, tutti i documenti devono essere pronti, controllati e ricontrollati. La pausa pranzo servirà ad annullare definitivamente l’ansia.
10.30
Si prende un caffè. Si lascia il tempo di ascoltare i racconti della collega e di guardare con occhio divertito le foto delle sue vacanze a New York. Un po’ gli dispiace di non partecipare come vorrebbe alla discussione, ma dietro la facciata, nella sua mente, si agitano cifre, calcoli, progetti, strategie e piani per stirare e rimettere a nuovo la sua vita stropicciata. Ce la posso fare, pensa. Ce la devo fare.
12.30
E’ il momento. Prende congedo dai colleghi. "Vado in posta, ci vediamo tra un’oretta". Se me la sbrigo, pensa, potrei anche passare alla FNAC a prendere gli ultimi regali di natale e mangiare un panino lì.
12.40
La posta centrale si presenta come una scena apocalittica. Il primo ostacolo è il numero. Il primo ostacolo è sempre un numero. L’impiegata troppo truccata gli consiglia un numero serie "P". Glielo porge. C’è scritto "P278". Stanno servendo il "P196". Poco male, pensa. Intanto compilerò i moduli, e completerò la preparazione delle raccomandate.
12.50
I moduli sono perfettamente compilati. Stanno servendo il numero "P199".
13.00
La testa gli cade. Deve solo fare attenzione a non lasciar cadere le raccomandate, i bollettini ICI e l’F24. Poi, forse, può anche dormire, perché no? In fondo stanno servendo il numero "P202".
13.50
Si risveglia improvvisamente, inspirando di colpo. Cazzo, stanno quasi per cadergli i documenti di mano. Stanno servendo il numero "P231". Un uomo tarchiato, col viso rosso e gli occhi piccoli e neri, un sacco della spazzatura pieno di oggetti indefinibili trascinato dietro di sé, sta urlando contro un impiegato delle Poste. "Ma che cazzo, cinque sportelli dedicati ai numeri della serie "P" e ce n’è solo uno aperto? Ma come cazzo ragionate, ma non è possibile!". La folla esprime il suo assenso con un mormorio diffuso.
14.00
Stanno servendo il numero "P240".
14.15
Ormai non riesce più a dormire. Si sta scazzando. Si sta scazzando parecchio. Non ha mangiato. Mangiare è importante. Stanno servendo il numero "P248". Si vede costretto a telefonare in ufficio ipotizzando un permesso retribuito di mezz’ora.
14.20
Incredibile: i numeri da "P254" a "P277" volano via come un lampo. Evidentemente quelli in coda prima di lui hanno abbandonato il campo. La tensione ormai è alle stelle.
14.30
"P278"! "P278"! L’impiegata ride e scherza con una collega mentre svolge le pratiche, rallentando sensibilmente il processo. Lui la fissa. Lei gli dice "Ha visto che tesori le mie colleghe, e quante coccole mi fanno?" Lui la fissa. Lei dice "Sto per andare in pensione, sa? E quindi tutti mi vogliono salutare". Lui la fissa. Lei alza le sopracciglia più del dovuto vedendo il modello F24. "Sa, questo non lo so fare molto bene, chiamo Cecilia o Rosalba, loro risolvono di sicuro".
14.50
Cecilia o Rosalba digita perplessa qualcosa sulla tastiera. "Ma lei è sicuro di aver compilato correttamente il modulo?". E’ sicuro. "Eppure qui dà errore… Guardi, faccia una cosa torni domani dopo aver parlato con l’INPS". Lui è sicuro. Ha controllato tutto. La fissa. "Torni domani". La fissa. "Abbiamo finito".
15.00
In ufficio con mezz’ora di ritardo. Tre pezzi di pizza ingoiati male e una serie di bestemmie ficcate di traverso in gola.
16.00
Al telefono con l’INPS. Non ci sono errori. "Ma vede, alle Poste sono degli incompetenti, sa?". Lui lo sa. Lo sa bene. Odia le poste. "Provi in banca, lì non le faranno storie". Proverà in banca.
17.00
E’ ora di uscire. Oggi non ha combinato nulla, almeno per quanto riguarda il lavoro. Come sempre è solo, tutti i colleghi sono usciti prima di lui. A lui tocca spegnere le luci e chiudere a chiave, lasciando che la penombra invada pietosamente quelle due stanze cariche di tensioni negative.
17.30
Odia le spese natalizie. Odia la gente. Odia il fottutissimo Santa Claus. Soprattutto, odia Bing Crosby.
19.00
Il calvario natalizio (che per quanto lo riguarda sta durando anche troppo) è finito, almeno per oggi. Ma quella maledetta scatola di cioccolatini non vuole saperne di stare nel bauletto dello scooter. Porca puttana, pensa. Chiuditi, chiuditi bastardo!
19.10
Con un po’ di violenza si ottiene tutto. Due pugni bene assestati e il bauletto si è chiuso. Magari i cioccolatini ne risentiranno. Ma a questo punto me ne fotto, pensa. Voglio solo tornare a casa. Si siede, mette il casco. La chiave è già nel quadro, le luci accese. Da dieci minuti. A motore spento. La batteria è fottuta. Cristo, pensa. Le ho dimenticate accese mentre lottavo col bauletto.
19.30
Riesce a trascinare 200 kg di moto sotto un albero poco lontano. Tenta di chiamare aiuto, ma ottiene pochi risultati. Comincia a piovere. Prima piano, poi sempre più forte. L’amico di sempre non ha i cavi, ma si farà vivo presto per solidarietà. Abita vicino. Lei, invece, sempre pronta a dare una mano… Lei è al momento irraggiungibile. Ma lei ha i cavi. Alla quarta chiamata non risposta, arriva inesorabile il messaggio dell’operatore telefonico: "La informiamo che il suo credito residuo è in esaurimento". Appoggia la fronte sul quadro degli strumenti. Lascia che la pioggia coli sulla sua nuca. Davanti a lui un lampione, qualche passante frettoloso e un balcone con il fottuto Santa Claus che si arrampica sulla corda luminosa.
19.45
Il conforto di un amico. Qualche chiacchiera amara, il primo sorriso della giornata.
20.00
Arriva lei. Con i cavi. Con l’amore. Amore che connette, amore che passa energia per riavviare il motore e forse anche la giornata. Ma la batteria è inaccessibile. Sotto la pioggia lui, lei e l’altro trafficano con pile, brugole, cacciaviti, cavi. Smontata mezza moto, riescono finalmente a scoprire i poli positivi e negativi. Ma, come in una metafora della vita (anche un po’ banale, volendo) i morsetti dei cavi sono troppo grossi per poter pinzare i poli dello scooter. Le bestemmie volano ancora, acide e lievi su di loro, come la pioggia sempre più insistente.
20.15
L’immancabile telefonata della mamma. Di solito porta rogne. E anche stavolta non fa eccezione. La mamma farfuglia qualcosa a proposito di atti notarili, convocazioni del tribunale, problemi relativi alla successione della casa. Lui incassa silenzioso sotto la pioggia, mentre lei e l’altro trafficano coi cavi. Ne parliamo poi, pensa. Ne parliamo poi. Oggi no. Oggi ne ho abbastanza.
20.30
Ce la fanno. La moto riparte. Si rimonta tutto, stanchi ma felici. Un altro problema è risolto. Il decimo problema della giornata, conta mentalmente. Si salutano. Tornano a casa. E la giornata finisce qui. Anzi no. Deve ancora fare un po’ di operazioni di online banking prima che sia notte. Ma prima un piatto caldo. E dopo un po’ di blog. Perché a fine giornata, si sa, scrivere aiuta a sfogarsi.

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5 risposte a “ALIENAZIONE (MA NON E’ UNA FICTION)”

  1. Quando non rapinano le vecchiette per la strada o non aggrediscono gli extracomunitari o non violentano le monache o non molestano i diversamente abili, voglio dire quando non fanno queste cose certo che girano film porno col telefonino:-).

  2. ah già che insegni, mi ero dimenticato! Ma nella tua scuola li girano i video porno coi videofonini? Quello sarà l’oggetto di uno dei miei prossimi post

  3. …Le impiegate delle poste si chiamano sempre Cecilia o Rosalba o anche Carmela, Concetta… Evidentemente le Jessica, le Natasha, le Samantha sono ancora troppo giovani per lavorare alle poste… Ma, eh eh eh, non disperate ve le sto preparando io a scuola, presto, molto presto le vedremo all’azione Jessy Naty e Samy, non disperate.

    Saluti.

    AlbertoB

  4. Passo di qui dopo tanto tempo e ti trovo dopo questa giornataccia, mi dispiace molto… tieni duro mi raccomando, ricorda che c’è sempre qualcuno che fa il tifo per te!

    Ciao un abbraccio,

    Mr Focaccina

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