hannibal

Welcome aboard !!! I am the renowned (some say notorious) Italian technical writer Annibale Izzo. Ma hai intenzione di andare avanti così? – diranno i miei ventisette (milioni di) lettori. No, no, fermi. Va bene che la madre di tutte le reti parla un ibrido di inglese e americano. Ma proprio in questo sito l’italiano risulta indispensabile. E sì, perché mai come qui “il medium è il messaggio”.

Parleremo infatti di scrittura e di leggibilità del testo. Porteremo esempi e fustigheremo vizi. Accetteremo critiche (voi, soprattutto) e forniremo aiuto. Il tutto gratis (provatevi a dire “a gratis” e riceverete una bastonata virtuale sul muso). A meno che non abbiate scritto un libro, nel qual caso sarete rimandati al vostro editore. Se ne avete uno.

Io ho faticato molto, come capita a tutti, del resto, per trovarne uno. Anzi, due, per i due libri che ho scritto. Se vi interessano, fate “clic” su “libri“: potrete leggere un intero capitolo (quello sulla leggibilità) del mio lavoro più recente. Già che ci siete, leggétevene anche la recensione.

Se siete sopravvissuti allo shock della mia immagine fotografica, vi dò qualche notizia personale. Sono nato a Napoli nel 1939, ho “fatto il liceo classico” (la prima al “Francesco Stabili”, di Ascoli Piceno; la seconda al “Tito Livio”, di Padova; la terza al “Lagrangia”, di Vercelli). Mi sono laureato in Ingegneria Meccanica al Politecnico di Milano. Nel ’68 ho impalmato Milena, una professoressa di pianoforte che nel ’70 mi ha reso padre di un “bad element” – Pietro (scherzo: è buonissimo da mangiare: si è perfino laureato in Lettere cum laude). Ho lavorato per 17 anni alla Fiat (Teksid) e per 10 anni alla Olivetti.

Anima biforcuta, direte. Ebbene, sì. Proprio per questo ho voluto sviluppare due diversi siti. Uno tecnologico, di cui qui non parleremo. E uno letterario, che è quello in cui vi trovate. All’animaccia letteraria si deve la produzione negli anni di un certo numero di lezioni universitarie, di tantissimi documenti promozionali e di ciò che potrete leggere in queste pagine.

Il 3 gennaio 1882 Oscar Wilde sbarcava a New York. Un addetto alla dogana gli pose la domanda di rito: “Qualcosa da dichiarare?”. “Nothing but my genius”, rispose OW. Anch’io non ho nulla da dichiarare. Se avete voi qualcosa da dichiarare, scrivetemi a questo indirizzo: hannibal@eponet.it

WYSINWYG

What You See Is Not What You Get. Quello che vedete sembra un normale biglietto da visita. In realtà si tratta di una brochure di otto pagine che di Annibale Izzo contiene vita, miracoli e una raccolta di testi. “The real thing” ha una classica base A4 (297 mm) e un’ancor più classica altezza, calcolata come 297 x 0.618034. Mistero? No: è la famosa “sezione aurea” su cui venne progettata la facciata del Partenone.

Dunque. La brochure comprende tre pagine (copertina inclusa) di autoincensamenti, più cinque pagine di testi.
Queste ultime sono così suddivise:

– Caro Direttore (1 pagina)
– Incipit (1 pagina)
– Un tocco accademico (2 pagine)
– Monografie (1 pagina)

Tralasciamo le pagine celebrative e vediamo quelle… dimostrative.

Caro Direttore

Lei è una persona simpatica, per cui vorrei aggiungere al testo che le ho scritto alcuni commenti – relativi al testo stesso e, più in generale, all’immagine della sua azienda. Mark Twain diceva: “Non consigliatemi, so sbagliare da solo”. Però, in un lavoro come quello che fa lei, uno sbaglio potrebbe far prendere una commessa a qualcun altro.
Una prima nota, importante, è questa: i commenti che sta leggendo sono esclusi dal conteggio dei caratteri, su cui viene calcolato il mio onorario. Per cui, sono libero di… dilungarmi a piacere. Cercando, naturalmente, di non farle perdere troppo tempo.

Allora. Mi metto nei panni di un dirigente della sua azienda.

Siamo una impresa industriale con una esperienza decennale nel nostro settore. La nostra è un’impresa attenta agli sviluppi tecnologici e aperta al mercato nazionale, ed oltre. Siamo bravi tecnologicamente e sappiamo come ci si muove a tutti i livelli. Vediamo di tirare le conseguenze.
Anzitutto, presentiamoci correttamente. A voce, ma soprattutto per iscritto. Non scriviamo mai il cognome prima del nome. Non diremo mai:

“Tesoriere: Izzo Annibale”

Il presidente della Fiat non dice: “Piacere, Agnelli Gianni”.
Il patron della Fininvest non dice: “Sono Berlusconi Silvio”.
L’Amministratore Delegato Olivetti non dice: “De Benedetti Carlo”.

Usiamo la forma internazionale – nome, secondo nome (se c’è), cognome.

Altro argomento – fondamentale in testi scritti. Massima attenzione alle unità di misura. Siamo un’azienda che conta, in un importante settore tecnologico. Non possiamo permetterci sviste o errori. Quindi, seguiamo le regole. Che sono poche ma buone.

a) L’unità di misura va scritta con il simbolo giusto: non si può scrivere mt per metri, e tanto meno per m²; né m/m per mm.

b) L’unità di misura va scritta dopo il numero, interponendo uno spazio: m 400 è sbagliato, come pure 400m; si scrive 400 m.

c) L’unità di misura non va mai scritta col punto (se non in fine di frase, come nei due paragrafi precedenti): 20 kg. è sbagliato; 20 kg è giusto.

d) L’unità di misura va sempre minuscola (20 kg, mai 20 Kg); a meno che non sia l’iniziale del nome di uno scienziato, nel qual caso va maiuscola: si scrive 10 V per 10 volt (notare la minuscola nel nome per esteso); 100 W per 100 watt; 20 Hz per 20 hertz.

Mi dirà che sono un ingegnere meccanico pignolo e rompipalle. Ma lei sa bene che i documenti da lei scritti finiranno nelle mani di altri ingegneri…

(Lettera di accompagnamento, 1993)

Incipit

L’importante è… agganciare. A questo servono gli “incipit”, le prime righe di un pezzo – un articolo, un saggio o un romanzo. Eccovene uno fulminante: “Call me Ishmael.” (Herman Melville, Moby Dick). Dopodiché, qualcuno più modesto, opera del vostro umilissimo.

Ce ne sono di simili a salamandre; altri ricordano uccelli strani con la cresta dritta: sono i profilati speciali che servono a costruire i cingoli dei bulldozer. Gli americani le chiamano “scarpe”, noi “suole cingolo”. Quello che è certo è che dal calzolaio non ci vanno quasi mai, perché sono fatti di acciaio speciale al boro e al manganese.
(Il treno che prepara le scarpe ai trattori – illustratoteksid n. 4, Apr. 1981)

Scrivere da giornalista o da ingegnere? È stata la prima decisione che ho dovuto affrontare nel mettere sul foglio queste note. Ho scelto la prima opzione: c’è già in giro troppa roba da leggere, scritta da ingegneri; e sono letture, di solito, tutt’altro che piacevoli. D’altronde, i mestieri citati li ho praticati e li pratico entrambi, e sempre con soddisfazione: mia, certamente; dei miei datori di lavoro, sperabilmente.
(Cosa scegliere? Decide il PC – Ingegneria Meccanica n. 4, Apr. 1984)

Vi ricordate come era bello quando si discuteva sulle “due culture” e su come conciliarle? Io c’ero riuscito benissimo, in quegli ultimi anni cinquanta, al liceo classico “Lagrangia” di Vercelli. Mi ero contemporaneamente innamorato di Omero e della professoressa di matematica.
(Tanti baci da Aristotele – Ingegneria Meccanica n. 10, Ott. 1984)

Un’ora da Santa Rosa al Golden Gate. In qualche tratto abbiamo anche rischiato grosso, sulla nostra Harley Davidson. La polizia stradale, in California, non perdona. Da qualche parte, tra Minneapolis e il North Dakota, 1500 miglia est-nord-est, Robert Pirsig è in viaggio anche lui, con il figlio. Scriverà “Lo Zen e l’arte della manutenzione della motocicletta”.
(Highway 101 revisited – Olivetti Index n. 2, PC Review, 1986)

Con un balzo che nulla aveva di felino, Antonio, un metro e ottanta per novanta chili, si gettò nella buca più vicina.
(Avventura tra i popoli del mare – Olivetti Index n. 2, PC Review, 1986)

“Forty-niners” li chiamarono: quelli che, appunto nel ’49, parteciparono al “gold rush”, la corsa all’oro che rimase leggendaria nella storia del West americano. Era dalle parti di Sacramento.
(Presentarsi fortissimi a Venezia – Olivetti Index n. 2, PC Review, 1986)

Guerra e Pace no, Anna Karènina forse, Sonata a Kreutzer e Resurrezione sicuramente furono scritti con la Remington a caratteri cirillici. Quella che Lev Nicolàevic aveva accarezzato per l’ultima volta dieci giorni prima, lasciando di nascosto la sua casa di Jàsnaja Poljàna.
(Da soli con la propria workstation casalinga – Promozione n. 7/8, 1986)

Un tocco accademico

Nell’anno accademico 1991-92 fui chiamato, indegnamente, a tenere un ciclo di dieci lezioni sulle tecniche di documentazione nell’industria elettronica. Facoltà di Lettere Moderne. Indirizzo Tecniche della Comunicazione. Eccovene qualche assaggio.

Chi fur li maggior tui?
Philippus Aureolus Theophrastus Bombastus von Hohenheim. Chi lo conosce, o ne ha sentito parlare, alzi la mano… Molto bene. Non lo conosce nessuno. Paracelso, uno svizzero. La voce nuova nella medicina alle porte del Rinascimento, grande studioso di farmaceutica chimica e precursore della medicina psicosomatica.
(Lezione I)

La logica
La documentazione, qualcuno la scrive. Delle caratteristiche del “Technical Writer” parleremo tra poco. La principale, senza dubbio, è quella di avere una cultura “doppia” – una doppia base, letteraria e scientifica. Vale la pena di vedere come questi due aspetti della cultura umana risalgano a una radice comune. “Autòs èfe”, come si diceva nell’antichità; o “Ipse dixit”, come si diceva nel medioevo. Stiamo parlando, ovviamente, di Aristotele. Fu lui il primo a teorizzare la logica nel suo “Organon”, pur senza mai nominarla. La “loghiké tèchne” compendiava in sé parola e pensiero, derivando da quel termine terribile e potentissimo che per i greci era “lògos”. Non dimentichiamo l’inizio del Vangelo di San Giovanni, dove il termine si riferiva addirittura al Dio vivente: “En archè èn o Lògos, kai o Lògos èn pros ton Theòn, kai Theòs èn o Lògos” (*).
(Lezione II)

La pagina efficace
Non è colpa mia se i testi riguardanti la tecnica dello scrivere contengono termini da far accapponare la pelle. Tipo “ripresa anafòrica”, “catàfora”, “funzione pragmatica e metatestuale dei connettivi”.
Prendete due bicchieri – uno pieno d’acqua e l’altro pieno di mercurio. Indice sinistro nel primo, indice destro nel secondo. Il dito sinistro lo tirate fuori bagnato, il destro no. Bene. Una pagina efficace è come l’acqua: facile da penetrare e portata a restarvi addosso. Le espressioni che abbiamo appena virgolettate sono invece mercurio: 13 volte più pesante dell’acqua, e 13 volte più difficile da penetrare.
(Lezione IV)

La tipografia
Abbiamo parlato di carattere tipografico. Ma quanto ne sappiamo della tipografia? Di questa vera e propria forma di arte, che permette di comunicare sensazioni o stati d’animo soltanto attraverso la forma dei caratteri che si susseguono lungo le righe di una pagina? Poco, eh? Vediamo di approfondire un tantino l’argomento. Anzitutto, siamo abituati male. Siamo abituati a prescindere da come apparirà il nostro testo una volta stampato. Ci basta vederlo dattiloscritto. Ed è un errore.
Pensate a due canzoni piuttosto note: “Born in the U.S.A.”, cantata da Bruce Springsteen e “My way”, portata al successo da Frank Sinatra. Ognuna con una sua tipicissima connotazione emotiva. E adesso pensate allo sconquasso che verrebbe fuori dall’invertire i ruoli, affidando a Sinatra “Born in the U.S.A.”, e viceversa. Lo stesso sconquasso che può capitare sbagliando l’abbinamento di un testo a un carattere tipografico.
(Lezione VI)

La metrica
Ho sempre invidiato le persone che leggono la musica. Mia moglie è una di quelle (che la sanno leggere). Senza bisogno di pianoforte, riescono a cantarsi dentro le varie note. A pensarci bene, però, la cosa non è particolarmente eccezionale. Conoscono bene un codice, quelle persone, e lo interpretano in maniera corrente.
Anche noi conosciamo un codice, quello alfabetico. Mentre leggiamo, ed interpretiamo, lo facciamo risuonare dentro di noi. Nostalgia dei vecchi cantori, quelli del tempo di Omero, che tramandavano a voce leggende? Fatto sta che vi sono espressioni che “suonano” bene e migliorano la leggibilità. Questo vale particolarmente per le frasi corte, poste nei punti chiave del paragrafo, cioè all’inizio e alla fine. E vale soprattutto per i titoli.
Quello che sto dicendo è che, oltre a una “numerologia”, esiste anche una “sintassi” della leggibilità. Un modo di mettere insieme le parole che rende più o meno piacevole la lettura di un testo.
Questa speciale sintassi forse non l’ho inventata io: si chiama metrica, e le sue prime applicazioni si perdono nella notte dei tempi. È la base della poesia: ma chi la insegna più, oggi? Eppure è uno strumento prezioso, come ben sanno i copywriter pubblicitari, che ogni tanto se ne servono.
(Lezione VII)

I linguaggi
Brevissima storia. Al tempo di ENIAC non c’era ancora il concetto di “programma memorizzato”, introdotto negli anni subito successivi da John von Neumann. Il programmatore, con santa pazienza e una caterva di errori, “scriveva” le sue sequenze di bit (zero e uno) mettendosi fisicamente ad aprire e chiudere circuiti e a collegare e scollegare fili. L’introduzione delle schede o dei nastri perforati eliminò il lavoro fisico; ma lo scrivere bit per bit andò avanti ancora per qualche tempo.
Poi, ci fu chi pensò di “assemblare” più bit in gruppi di codici “mnemonici”, ciascuno dei quali rappresentava un’istruzione: era nato il linguaggio “Assembler”, con cui dovettero lottare tutti i programmatori degli anni cinquanta.
Infine, qualcuno si arrabbiò, dicendo che, insomma, è il sabato che è per l’uomo e non l’uomo per il sabato. Ovvero: se la macchina è così potente, ci faccia il piacere di adeguarsi alle nostre esigenze. E le nostre esigenze sono di parlare in un linguaggio il più vicino possibile a quello che ci ha insegnato la mamma. Nacquero così i “linguaggi evoluti”.
(Lezione VIII)

Nota (*) “In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio”.

Monografie

Come la vedo io, una monografia aziendale deve avere tre caratteristiche. Deve essere manageriale, educativa, avvincente: pochi dettagli, concetti che restano, interesse costante. Volete saperlo? Delle tre, la più dura è la terza.

Teoria delle code
Oggi la coda si fa dappertutto: a far la spesa; a far benzina; a tagliarsi i capelli; a chiedere un certificato. Cos’hanno in comune tutte queste situazioni? La pazienza di cui bisogna munirsi – direte. Sì. Ma anche altro. Vediamo. In tutte, c’è sempre un certo numero di clienti, che arrivano a intervalli non regolari. C’è poi un cosiddetto “canale”, che fornisce il servizio: e ci mette un certo tempo – anche questo non prevedibile – per completarlo. Per le situazioni indicate, esso è, rispettivamente: la cassa; il distributore; il barbiere; lo sportello. Di canali ce ne possono essere anche diversi, funzionanti in parallelo: per esempio, le 12 casse di un supermercato. Infine, c’è una “disciplina” della coda. In tutti i casi che abbiamo visto, vige il principio del “primo arrivato, primo servito” (FIFO, si dice in inglese: First In First Out). Ma veniamo ai casi nostri. In due parole: per noi, i clienti sono le macchine che si mettono in coda per essere riparate; i canali sono i tecnici dell’assistenza. Ma come, direte: clienti fissi e canali mobili? Un po’ di fantasia, diamine. Se la montagna non va a Maometto…
(Monografie Olivetti – Il Service, 1985)

Dattilografia
Che vita avranno avuto quelle otto ragazze di New York che nel lontano 1881 parteciparono al primo corso di dattilografia che si ricordi? Lo aveva organizzato la YWCA (Young Women’s Christian Association): le credenziali erano buone, e le ragazze avranno di certo trovato un buon impiego. Saranno andate a ingentilire con la loro presenza gli uffici di qualche grande avvocato, forse i palazzi dei Morgan e dei Rockefeller. Qualcuna, secondo la migliore tradizione americana, avrà sposato il capufficio. Avranno accompagnato i figli in partenza per i fronti infuocati dell’Europa e saranno invecchiate tra le due guerre, fra torte e nipotini, nelle loro casette con giardino. Ma una cosa è certa: quella prima macchina per scrivere, in quello stanzone freddo e male illuminato di New York, non l’avranno mai dimenticata.
(Monografie Olivetti – Perché la videoscrittura, 1986)

Investimenti
Ma usciamo dalla banca, e andiamo negli investimenti industriali. Io oggi tiro fuori cinque miliardi per mettere su una piccola industria, aspettandomi di ricavarne due miliardi l’anno per i prossimi cinque anni. Qual è la redditività di questo investimento? Adesso siamo nei pasticci. Ci sono due metodi per tirarsene fuori: quello del valore attuale netto e quello del tasso di redditività interno (TRI). Vedremo solo quest’ultimo, per non dilungarci troppo. Per fissare le idee: il TRI è il massimo tasso di interesse a cui posso prendere in prestito, senza perderci, il capitale necessario all’investimento considerato: se la banca mi dà i soldi a un tasso minore del TRI, bene; altrimenti, cerco altre soluzioni.
(Monografie Olivetti – Il Leasing, 1987)

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