capitolo 2

In trincea
Traduzione: Pietro Izzo

~Febbraio, quattro mesi prima della fine della guerra ~

“Bill?”

Bill Weasley inciampò nella semi oscurità e i suoi stivali scricchiolarono nella neve. Si era perso, era esausto, e stava andando in panico quando aveva sentito la voce del fratello. “Bill! Cosa stai facendo qui? – no, non importa, abbassa la testa! Vieni dentro, idiota, svelto!”

Bill si abbassò e saltò senza esitazione nella trincea dove Charlie, frenetico, stava gesticolando verso di lui.

“Charlie,” ansimò rauco, il respiro condensato in nuvolette bianche nell’aria gelida. C’erano voluti due terribili giorni di viaggio attraverso gli scudi delle Linee Oscure per raggiungere il fratello. Si aggrappò con entrambe le mani alle spalle del mantello di Charlie.

“Stai da schifo,” lo salutò cordialmente Charlie. “Ma accidenti, se sono contento di vederti.” Charlie aveva il dono di essere cordiale anche nelle peggiori circostanze e Bill odiava fare il guastafeste – odiava essere proprio lui a togliere il sorriso sempre fanciullesco dal viso del fratello. Ma aveva fatto tutta quella strada e doveva riferire le notizie. Charlie era l’unico che non sapeva.

“Charlie, sono venuto per dirti…” ma le parole non uscivano. Bill si sentiva come sott’acqua. Le ginocchia gli si piegavano, gli battevano i denti. Era surreale.

“Bill?” Il sorriso di Charlie era svanito, ora sembrava teso. Aprì la bocca come per chiedere maggiori informazioni ma sembrò cambiare idea di colpo. Scosse il capo “No, vieni dentro” disse freddamente.

“Dentro?” Chiese Bill con espressione assente, guardandosi attorno. Non era ancora buio pesto nei campi, e Bill aveva cercato dappertutto un accampamento mentre si avvicinava. Non aveva visto nulla. In effetti, era tremendamente felice di aver trovato Charlie – pensava di poterlo trovare soltanto seguendo le tracce della presenza di qualche drago. Ma draghi non se ne vedevano da nessuna parte.

Charlie, comunque, indicò il punto dove la trincea proseguiva sotto terra.. “Proseguiamo dentro il pendio della collina. È una caverna simpatica – è grande, c’è posto per un sacco di gente.”

“Ma allora cosa diavolo fate tutti qui fuori?” Chiese rudemente Bill. “Da soli, nel mezzo della notte – non capite che vi mettete nei guai?”

Charlie circondò con un braccio le spalle di Bill. “Tranquillo,” disse, cominciando a guidare Bill lungo la stretta trincea. “Sono uscito un attimo solo per controllare i draghi…” Sogghignò.

Bill lo guardò fisso. “Bugiardo. Come fai a controllare i draghi se lì fuori non ce ne sono?”

Il ghigno di Charlie divenne più grande mentre continuavano a camminare. “Molto intelligente, vero?” sussurrò.

“Cosa?”

“L’incantesimo Diversione. Tu non puoi vedere i draghi, Bill, ma sei fortunato ad essere vivo. Sei passato proprio sotto i loro nasi quando mi sei venuto vicino. Sono ovunque intorno a noi.”

“Grande. Grazie per avermi avvertito.”

“Oh, piantala,” disse Charlie con dolcezza. “L’incantesimo è stato preparato solo ieri – lo stiamo ancora testando per essere sicuri della sua stabilità prima che la strega che l’ha ideato si trasferisca in un altro campo.” Charlie mosse significativamente le sopracciglia. “E aspetta di vedere la strega che l’ha messo a punto. Lei stessa è, in un certo senso, un incantesimo di Diversione.”

Bill fece una risata breve e secca. Dubitava che Charlie si sarebbe interessato più di tanto di stare addosso alle streghe quando avrebbe saputo ciò che era successo. Il cuore di Bill era freddo e pesante – avrebbe voluto che ci fosse un modo per dare la notizia. Ma ormai erano quasi all’ingresso della caverna.

“Benvenuto all’allevamento di draghi in tempo di guerra,” disse Charlie, indicando orgoglioso l’ingresso del crepaccio. “Vai avanti tu.”

Bill entrò, grato di essere di nuovo al chiuso dopo due giorni fuori al freddo. Guardò in alto e intorno a sé, impressionato dalle dimensioni della caverna – era due volte la Sala Grande di Hogwarts, in proporzione. La montagna doveva essere completamente cava. La parete di roccia formava un arco sul soffitto e le torce lanciavano riflessi cangianti sulle mura ampie e umide. Ammucchiati negli angoli e dietro le creste di roccia c’erano sacchi a pelo e indumenti da allevatori di ogni tipo: guanti antidrago, manici di scopa incombustibili e tute ignifughe in pile disordinate.

I guardiani si erano riuniti in piccoli gruppi attorno ai fuochi. Per la maggior parte erano uomini, giovani e forti, come Charlie.

“Come stanno, Charlie?” gridò uno dei più vicini, da dove stava cenando. Accanto a lui, una guardiana dai capelli neri alzò lo sguardo dall’equipaggiamento che stava pulendo e fissò Charlie con aria interrogativa.

“Alla grande, Mick,” gridò Charlie di rimando al giovane, indirizzando un ghigno selvaggio alla ragazza. “Non se ne vede nemmeno una scaglia o un artiglio. Completamente invisibili, direi.”

I giovani guardiani dei draghi annuirono soddisfatti e ripresero le loro attività.

“Fame, Bill?”

“Che?” Bill chiese vagamente, mettendo a fuoco il fratello. La nebbia dell’incredulità che ancora gli restava nel cervello gli rendeva difficile capire la situazione. Ma quando incrociò gli occhi di Charlie, seppe che non poteva posticipare ancora il vero scopo della sua visita, e fu preso da una nausea così forte che credette di stare veramente male. “No,” riuscì a dire. “Senti, portami semplicemente dove dormite. Dobbiamo parlare da soli. Ora.”

Il sorriso di Charlie svanì immediatamente e Bill non lo biasimò. La sua stessa voce era piena di qualcosa di terribile e non detto. Tutti avevano perso qualcuno negli ultimi anni, ma fino a quel momento la loro famiglia era stata fortunata – fino a quel momento non erano stati toccati.

Seguì Charlie in un angolo dove era steso un sacco a pelo aperto, vicino ad un piccolo fuoco. Ancora congelato dal viaggio all’esterno, Bill si avvicinò subito al calore del fuoco passando accanto alla superficie di roccia piatta che Charlie usava come tavolo. Il tavolo era pieno di oggetti impilati, e sparsi qua e là c’erano indumenti di ogni sorta. Da sotto la cintura per la bacchetta di Charlie, spuntava un vecchio ritaglio di giornale.

Bill lo riconobbe, l’afferrò subito e si mise a fissarlo.

Tutti e nove i Weasley lo salutavano dalla foto: lui, i suoi cinque fratelli, sua sorella, suo padre e sua madre – tutti insieme. Si trovavano davanti a una piramide ed erano tutti abbronzati, lentigginosi, e raggianti. E così giovani – Ginny a dodici anni sembrava ancora una bambina, e così pure Ron a tredici. Anche Percy, con quel maledetto, ridicolo fez. Percy, con la sua spilla da Caposcuola che brillava anche sulla foto in bianco e nero. In questa foto Percy aveva solo diciassette anni. Bill sentì qualcosa di secco e terribile strisciargli su, in gola e si voltò verso Charlie, che lo fissava immobile. C’era uno strano, fisso terrore sul viso del fratello.

“Bill,” disse lentamente, “E’ uno di noi. Vero?.”

Non era una domanda.

Bill fissò gli occhi in quelli di Charlie e si costrinse ad annuire.

“Papà,” mormorò Charlie, muovendo appena la bocca. Ma prima che Bill potesse correggere il fratello, una voce risuonò dietro di loro.

“Pardon, non vorrei interrompere, ma Sharlie, hai visto i draghi o non?”

Bill si girò leggermente verso la voce e fece un cenno con la mano senza distogliere gli occhi da quelli del fratello. “Dopo,” mormorò. “Dopo.”

La ragazza gli passò di fianco e si mise fra loro a testa alta. Scostò una frangia di capelli sulla spalla e lo fissò duramente. “Non stavo parlando con te,” disse gelida prima di girarsi verso Charlie con un sorriso smagliante. “Sharlie? Devo sapere se funsiona. Mi hanno chiesto di partire domani per il prossimo campo, ma non prima –”

“Ho detto dopo,” abbaiò Bill, voltandosi completamente verso di lei mentre l’ira cresceva nella sua voce.

La ragazza, senza scomporsi per nulla, lo squadrò dall’alto in basso. “Siamo stati presentati?” chiese con curiosità.

Ma Bill aveva perso la pazienza. “Sei sorda?” gridò. “FUORI!” La scansò per riportarsi di fronte a Charlie, che era rimasto immobile, aspettando ancora le notizie. Bill non l’aveva mai visto così pallido e sapeva che bisognava farlo il più rapidamente possibile, per il bene di entrambi.

“Non è papà,” comunicò con voce bassa e rapida, preparandosi a farla finita. “Papà è vivo. È Percy.”

Charlie strinse i pugni tanto da far sbiancare le nocche.

Era fatta. Ora tutti i Weasley sapevano.

Charlie era ancora rigido come un bastone, i suoi occhi penosamente asciutti. “Come?” chiese infine.

Bill continuo con lo stesso tono – basso, calmo. Meglio farlo velocemente, pensò. Meglio tirar fuori tutto. “Caramell gli ha chiesto di incontrare i Mangiamorte – per quelle trattative di pace che l’idiota stava cercando di preparare. Ma Percy non ha voluto, pensava che potesse compromettere papà e noi – il nostro rifugio. Sapeva bene che lo avrebbero interrogato. Ma Caramell non l’ha voluto ascoltare – ha detto che non che non gli importava del destino dell’Ordine. Ha detto che in ogni caso ci stavamo preparando per una sconfitta sicura. Alla fine Percy se n’è andato dal ministero.”

Charlie era completamente bianco, tranne che per le lentiggini, che erano quasi spettrali in contrasto con il suo pallore. Bill non avrebbe voluto continuare.

“Perce ha lasciato il ministero?” La voce di Charlie era molto meno ferma ora.

“Sì. Ne ha avuto abbastanza, alla fine. Stava tornando da papà – ha mandato un gufo per farci sapere che lasciava il lavoro e tornava a casa.”

“Oddio…”

“Cercava di raggiungere papà – è allora che l’hanno preso. Ha attraversato una Linea Oscura… sai, quegli scudi di maledizione –”

“Non è mai stato bravo con le cose invisibili.” Charlie aveva le labbra tirate in un mezzo sorriso, ma ora i suoi occhi erano vitrei. “Li ha attraversati, vero? Così…”

“Sì.” Bill s’interruppe. Non riusciva a dire il resto. La parte ancora da raccontare era troppo orribile.

“E poi?” la domanda era inevitabile.

Bill scosse la testa implorante e guardò Charlie, la risposta che gli si incollava in gola. “Non posso.”

“Devi.” Il tentativo di Charlie di restare calmo era penoso a vedersi. “Tortura?” Non riusciva nemmeno a pronunciare la parola, la sua voce si era spezzata.

Bill annuì debolmente. “Cruciatus,” sussurrò. “Volevano costringerlo a tradirci. Lui sapeva dove si trovava ognuno di noi, e loro sapevano che sapeva. E quando non ha voluto dire nemmeno una parola, da come ha raccontato Piton, lo hanno costretto a bere il Veritaserum. Ma quello che Piton gli aveva dato non era davvero un siero della verità. Percy si è accorto di essere controllato e ha mentito su dove eravamo. Piton ci ha detto che Minus lo ha ucciso non appena pronunciate le parole.”

“No – ma se Piton era lì, perché non è intervenuto e –”

“Non è stata colpa sua. Era furioso, per non aver potuto farci nulla.”

“È una bugia!” il viso di Charlie era deformato da rabbia e incredulità. Bill capiva la reazione del fratello: anche lui aveva subito condannato Piton.

“Charlie, no, ascoltami – Piton ha compromesso la propria copertura. Non potrà più uscire da Hogwarts fino alla fine della guerra. I Mangiamorte ormai avranno verificato le informazioni di Percy e Voldemort sarà al corrente che erano false. Lo staranno cercando per vendicarsi.”

Charlie ammutolì per un attimo considerando questo aspetto della questione, scuotendo la testa come per liberarsi di un pensiero che non voleva andarsene.

“Ma –” riuscì a dire alla fine, “comunque mi stai dicendo – che Percy –”

Charlie non riuscì più a parlare. Di colpo, inaspettatamente, la sua figura muscolosa si accasciò su sé stessa. Si lasciò cadere sul sacco a pelo, si chinò in avanti ed emise un singhiozzo disperato. “Ci pensavo sempre,” disse con voce soffocata. “Provavo a non farlo, ma ci pensavo sempre – voglio dire, siamo in nove – le probabilità che succedesse qualcosa erano altissime. Ma quando succede sul serio –” Charlie era quasi inintelleggibile adesso. “Bill, è Percy. Ci sei tu, poi io, poi Perce. Merda. Io gli ho insegnato come cavalcare la scopa. Come hanno potuto? Come hanno potuto –”

Bill si lasciò cadere sulle ginocchia e abbracciò il fratello, che stava rapidamente perdendo il controllo. Al secondo singhiozzo di Charlie, Bill sentì due giorni di lacrime trattenute salirgli su dalle viscere e stracciargli il petto, per la furia di uscire.

Quello che gli altri guardiani nella caverna potevano pensare di loro, a Bill non importava. Si strinse a Charlie nel lutto per il fratello perso.

Ore dopo, quando tutti gli altri nella caverna dormivano profondamente, Bill era sveglio. Guardava suo fratello. Charlie respirava a fatica, il volto ancora pallido per lo shock e il dolore. Anche mentre dormiva, la perdita di un fratello era incisa nei suoi lineamenti; sembrava che potesse scoppiare in lacrime da un momento all’altro. Bill lo fissò a lungo, accovacciato accanto a lui, e riattizzò il fuoco con gesti inutilmente violenti.

“Cazzo, Charlie, non ci provare a morire” mormorò. “Non ci –”

“Interrompo qualcosa, di nuovo?”

Bill alzò di colpo la testa. Era quella ragazza, quella contro la quale aveva urlato prima. La strega che lanciava gli Incantesimi di Diversione. Ma sembrava diversa. Prima, tutto quello che aveva notato era un mucchio di capelli biondi e un sorriso smagliante. Adesso, sembrava pallida e sfinita, le mani le tremavano ed aveva gli occhi ancora gonfi di lacrime.

Era, senza alcun dubbio, la ragazza più bella che Bill avesse mai visto.

“Mi dispiasce,” stava dicendo, a mezza voce, “se l’avessi saputo… non avrei dovuto comportarmi così.”

Bill si alzò in piedi. Non era sicuro di come avesse fatto ad alzarsi così velocemente. La ragazza lo guardò, un po’ sorpresa e decisamente contrariata, e fece un passo indietro.

“No,” disse lui velocemente, stendendo una mano per rassicurarla – doveva aver pensato che fosse sul punto di farle nuovamente una scenata. “Sono io che devo chiederti scusa – non avevo nessun diritto di urlarti. Sei solo capitata in un brutto momento.”

La ragazza annuì portò entrambe le mani a coppa davanti a sé, come per offrirgli qualcosa di invisibile. “Mi dispiace,” disse infine, “mi dispiace molto per tuo frotello.”

Bill restò di sasso. Non aveva capito bene a cosa si riferisse. “Il mio cosa?” chiese, istintivamente.

La ragazza aggrottò la fronte, si morse il labbro per l’imbarazzo e riprovò. “Tuo fro – tuo fro-tello.”

Suo fratello. Allora aveva ascoltato tutto. Per qualche ragione, l’errore di pronuncia fece sorridere Bill.

“Grazie,” disse pacato. E poi, senza sapere perché lo diceva, chiese, “Vuoi vedere una sua foto?”

Era una cosa un po’ strana da fare – mostrare il vecchio ritaglio di giornale con la foto della sua famiglia ad una estranea. Ma lo fece comunque, avvicinandosi alla ragazza in modo da poter vedere entrambi. Lei puntò un dito sull’immagine di Percy e scosse la testa.

“Giovane,” sussurrò lei, e guardò Bill. “L’ho incontrato, sai. Era molto intelligente.”

“L’hai conosciuto?”

“Era giudisce al Torneo Tremaghi, e si è presentato al Ballo del Sceppo.”

“Ah, quindi eri a Hogwarts quell’anno?” Bill non ricordava di nessuno studente francese che avesse mai studiato a Hogwarts, ma conoscendo l’apertura verso l’esterno di Silente, non la giudicava una cosa impossibile.

La ragazza sorrise, tristemente. “Non, io ero la campionessa di Beauxbatons.” Tornò a guardare la foto e parlò in tono sommesso. “Ho visto anche te, sai. Sei venuto a vedere ‘Arry. Ecco perché ti ho riconosciuto, prima.”

Bill studio il suo profilo, sorpreso. Era stato a Hogwarts soltanto un pomeriggio per quel torneo, e ormai erano passati tre anni. Ma non fece i suoi conti ad alta voce – la ragazza stava già arrossendo lievemente. Bill non sapeva cosa pensare. Più che altro si chiedeva come avesse potuto non notarla in quell’occasione. Non era da lui trovarsi nello stesso posto di una ragazza come questa, e non notarla.

“E ho conosciuto anche questo qui,” mormorò lei, indicando Fred col dito, “e questo,” toccò George. “E Ron,” disse. Bill notò che la ragazza sorrideva toccando la foto del suo fratello più giovane, prima di spostare il dito su Ginny. “Una ragazza veramente carina,” disse in tono assente.

Bill si gonfiò d’orgoglio. “Sì, è carina, vero?” Aveva un orgoglio quasi paterno nei confronti di Ginny. “Intelligente, anche.”

La ragazza annuì. “Come Gabrielle,” sospirò, persa nel ricordo.

“Gabrielle?”

“Mia sorella.” Tolse il dito dall’immagine di Ginny e lasciò cadere la mano.

“Quanti anni ha?”

“Sarebbe stata al suo primo anno, quest’autunno.”

“Sarebbe stata…” disse Bill, mentre il gelo della comprensione strisciava su di lui.

La frangia di capelli argentati coprì il volto della ragazza, mentre lei annuiva. “Avrai letto della scittà di Mont Ste. Mireille,” disse piano, in tono molto pratico.

“Sì, certo,” replicò Bill, inorridito. Tutti ne avevano sentito parlare. Era stato uno dei primi attacchi organizzati dei Mangiamorte contro popolazioni magiche fuori dalla Gran Bretagna – ed era stato uno dei più terribili. Tutti i bambini di quella zona erano stati rapiti, e nessuno era tornato indietro. Peggio ancora, l’attacco non aveva nessuna particolare importanza strategica: il suo scopo era semplicemente quello di terrorizzare il continente, e di mostrare a tutti con quale potenza l’Armata Oscura stava avanzando. Terrore e intimidazione. Il genere di cose che sembravano deliziare Voldemort.

La ragazza fissò la foto dei Weasley ancora un momento, prima di prenderla dalla mano di Bill e di guardarlo in faccia. “Tuo frotello è morto da coraggioso,” disse piano. “Questo aiuta.” Posò la foto sulla strana scrivania di roccia di Charlie, alzò il mento e fissò testardamente l’ingresso della caverna.

Bill la abbracciò prima ancora di capire cosa stava accadendo. Tutto ciò che sapeva era che voleva starle vicino, confortarla – sapeva bene che incubo poteva essere subire una perdita del genere ed essere comunque costretti ad andare avanti, a combattere.

La ragazza si irrigidì tra le sue braccia, all’inizio, ma dopo un attimo lui sentì le sue mani sul petto. Lei posò la testa a metà tra le mani, poco sotto il mento di Bill, e di colpo il suo corpo si rilassò fino quasi a sembrare senza vita. Prendendolo come un segno di fiducia, Bill la strinse più forte, e poggiò la sua guancia sui lunghi capelli biondi. Nessuno dei due si mosse per un tempo indefinito, e Bill provò la sensazione di essere momentaneamente ancorato alla vita, in salvo, mentre fuori infuriava la tempesta.

Quando la ragazza si mosse, infine, fu solo per alzare la testa. “Devo andare fuori,” disse, con voce instabile. “Devo controllare gli Incantesimi di Diversione prima di domani.”

“Allora vengo con te.”

E così fece, seguendola fuori dalla caverna nell’ampia trincea poco illuminata. Non sembrava più così freddo, ora, e Bill si appoggiò comodamente sul muro lurido. Attese silenziosamente che lei testasse la potenza dell’Incanto che aveva prodotto puntando la bacchetta in qualche punto al di là del terrapieno. La ragazza imprecava in francese ogni volta che un punto debole nell’Incantesimo rivelava un lampo di scaglie di drago, e recitava diverse formule magiche che Bill non aveva mai udito per sigillare la Diversione nel miglior modo possibile.

Bill la osservava lavorare, scoprendosi affascinato da lei. Aveva visto fare lavori come questo migliaia di volte, prima, eppure in qualche modo la vista di questa donna che costruiva Incantesimi nell’aria notturna era impressionante. Si chiese cosa avrebbe detto lei se avesse saputo che il suo lavoro consisteva proprio nell’infrangere Incantesimi come questi. L’idea lo fece sorridere. Alzò la bacchetta quando lei si allontanò di qualche passo e non poteva vedere, e sussurrò pianissimo un incantesimo. Vide la Diversione tendersi e brillare, e ritornare poco dopo completamente invisibile, allo stato iniziale. Era brava. L’incantesimo era solido e forte.

Le ci volle un’ora per concludere. Una volta finito il lavoro, ritornò in silenzio da Bill e poggiò la testa sulla sua spalla. Il gesto fu spontaneo, e sembrò ad entrambi in un certo senso giusto.

Era strano, pensò lui, passare così naturalmente la mano su quei capelli, strano che potesse accadere. Suo fratello era morto. Sua sorella era dispersa. L’indomani lui avrebbe dovuto tornare indietro, oltre gli scudi che aveva attraversato, per raggiungere l’Ordine e vedere Sirius per ulteriori incarichi. Il mondo intero stava crollando. Era l’ultimo dei momenti in cui si sarebbe aspettato di provare questa connessione meravigliosa, senza parole, con una donna. Eppure, eccola. Lo tirava dall’interno, e lui non riusciva a disobbedirle.

“Non so nemmeno il tuo nome,” disse improvvisamente, sapendo nel momento stesso in cui lo diceva che in realtà non aveva nessuna importanza.

La ragazza non si spostò da dov’era. Si era rilassata appoggiandosi a lui, e respirava piano, come se dormisse. “Fleur,” mormorò alla sua spalla.

“Fleur,” ripetè lui dolcemente, come per provarne il suono. Sentendo pronunciare il suo nome, la ragazza alzò il viso e lo guardò negli occhi. L’effetto su Bill fu sconcertante. I suoi occhi erano inequivocabilmente blu, e solo a pochi centimetri da lui.

“Beh, piacere di conoscerti,” articolò lui con difficoltà, chinando la testa mentre parlava, “Fleur.”

Le loro labbra si incontrarono. Di colpo Bill non fu più sicuro di cosa fosse reale: la guerra al di là della trincea o la ragazza tra le sue braccia. Perse il contatto con la realtà. Non capì mai come fece a tornare nella caverna, e quando si svegliò il mattino dopo si meravigliò di trovarsi in un sacco a pelo accanto a quello di Charlie. Gli pareva di avere un vuoto di memoria.

E la ragazza, scoprì a colazione, se ne era già andata.

“È andata a ricoprire il suo nuovo incarico, e di certo ci mancherà,” scherzò debolmente Charlie. Bill osservò il fratello forzare le labbra in un sorriso, fallire, guardare il pavimento. Sembrava veramente annullato.

Bill prese tempo. Sapeva che non era proprio il momento adatto, ma doveva chiederlo. Doveva sapere.

“Sai per caso in quale accampamento si è spostata?”

Adesso Charlie sorrideva apertamente – un sorriso debole, a dire il vero. Ma era sempre il sorriso di Charlie. “Amore in trincea, eh?” disse cambiando nettamente tono. “Vuoi seguirla, William?”

Bill non rispose. Perché la verità era, che ci stava pensando. E Charlie doveva averglielo letto in faccia, perché la sua espressione si fece nuovamente seria.

“Non lo fare, Bill, ti prego. È troppo pericoloso, date le attuali circostanze. Non puoi rischiare la pelle.” Scosse la testa con disappunto. “Maledette veela – ci godono a vedere gli uomini rischiare la vita per loro.”

“Cosa?” chiese Bill seccamente, mentre il cuore gli balzava dolorosamente sulle costole. “Veela? Fleur è una veela?”

“In parte,” rispose Charlie. “Non sono sicuro di quanto, ma di certo è in parte vela. Mick, qui, è uno specialista in specie non umane. Me lo ha detto appena è arrivata. Perché?” Charlie diede di gomito a Bill. “Ti ha incastrato, eh?”

Bill fece una smorfia, ripensando al suo comportamento della notte scorsa. Di certo sembrava che lei lo avesse stregato.

“Fammi un favore, Charlie, vuoi?” chiese bruscamente, spingendo via la sua colazione e guardando in faccia il fratello.

“Quello che vuoi.”

“Fammi un repellente per Incantesimi d’Amore.”

“Un controincantesimo? Ma come – adesso? Stai scherzando.”

“Adesso, sì. E fallo permanente, se sai come fare.”

“Ma dài, Bill, ti sembra il caso, veramen–”

“Sì. Lo sai fare o hai bisogno che ti spieghi io come farlo?”

Charlie sospirò e lo zittì. “No, lo so fare, stai tranquillo. Siediti e stai fermo.”

Estrasse la bacchetta e la alzò. Bill sedeva teso, sentendosi in qualche modo tradito. Poteva esserci cascato una volta, ma non sarebbe successo di nuovo. Non c’era tempo per queste debolezze. La gente stava morendo, e Bill si sentì disgustato da sé stesso per aver indugiato in cose simili. C’erano troppe cose importanti da fare, per lui – non poteva essere distratto. Ecco cosa gli era successo, si ripeteva testardamente. Era stato distratto.

Chiuse gli occhi e lasciò che la magia lavorasse su di lui.

***

“Bill? … Bill. … BILL!”

Bill si stava agitando nel sonno. Sentì una mano stringergli il polso e iniziare ad agitarlo senza troppe cerimonie. Mugugnò, e all’inizio tentò di contrastare il movimento imposto da quella mano, sentendosi assonnato e vagamente in preda al panico. Tentò di aprire gli occhi. Chi gli aveva preso il polso? E perché lo stava scuotendo?

“Eddài, cazzone – SVEGLIATI! E va bene, l’hai voluto tu, ti darò in pasto allo Spinato.”

A queste parole, il mondo ritornò più o meno a posto, e Bill si sentì sollevato. Lo Spinato. Draghi. Era la voce di Charlie. Era Charlie che gli agitava il braccio come fosse quello di una marionetta. Era in Romania col fratello, e tutto era a posto. La guerra era finita ormai da una settimana. Aveva soltanto avuto nuovamente quell’incubo.

Una volta messo a fuoco l’ambiente circostante, Bill sospirò, decidendo di tornare a dormire almeno un altro po’. Un lavoro difficile, visto che il suo braccio veniva spinto ripetutamente sulla sua faccia. Era anche decisamente difficile ignorare la voce di Charlie, che continuava a strillare sopra di lui.

“WILLIAM ARTHUR WEASLEY. Luce della mia vita. Alza il culo dal mio divano, bastardo d’un pigro, hai un gufo che ti aspetta e Papà è nel fuoco.”

Bill aprì appena gli occhi. Li strizzò guardando il fratello. “Pazzesco – stavo proprio sognando di te,” gracchiò.

“Beh, certo, e chi non sogna di me?” Charlie sorrise, liberando un gufo attraverso la finestra, e ritornò di corsa al divano. “Ecco.” Lasciò cadere il rotolo di pergamena direttamente sulla faccia di Bill, costringendolo a prenderla di riflesso.

Che Bill lo volesse o no, lo scatto per prendere la posta lo svegliò del tutto. Si lamentò un poco, buttò le lunghe gambe sul pavimento e si alzò in piedi, scacciando gli ultimi brandelli di sogno dalla sua mente per l’ennesima volta, e chiedendosi se i dettagli di ciò che di peggio aveva vissuto in guerra sarebbero mai sbiaditi nel ricordo. L’incubo di sicuro non era per niente sbiadito. Lo forzava a rivivere quasi tutte le notti, con bizzarra precisione, il momento della notizia della morte di Percy – il dolore era acuto come era stato dal principio.

Tutta quella notte era stampata nella sua memoria fin dal principio.

Determinato a dimenticare il sogno in tutti i suoi aspetti, Bill sbattè gli occhi assonnato verso la lettera, notando che era sigillata con il marchio della Gringott. Srotolò la pergamena e la scorse velocemente.

Egregio Sig. Weasley,

Noto ora che Lei sarebbe dovuto rientrare al Suo abituale posto di lavoro alla filiale egiziana della Banca Gringott. Ci giunge voce, tuttavia, che le sue abilità sono maggiormente necessarie altrove, al momento attuale.

Come Lei certamente sa, la Gringott di Londra ha subito un serio danno nelle sue strutture sia fisiche che magiche, e deve essere ricostruita. Comunque, a causa delle interferenze dei Mangiamorte con gli scudi magici della banca, molti impiegati sono riluttanti a ritornare. È però impossibile iniziare la ricostruzione della stessa banca finché ogni traccia di magia nera e di possibili maledizioni siano state analizzate e distrutte.

Per questo le chiediamo di considerare la possibilità di un temporaneo trasferimento alla sede di Londra della Gringott, con effetto immediato. La preghiamo di comunicarci la sua decisione rimandandoci la civetta il prima possibile per poter portare avanti le pratiche necessarie.

Sinceramente,

Graf Hogboon,

Capo della Divisione Infrangifattura della Gringott, Ginevra

Bill fissò la lettera, incerto sulla reazione da avere. Speranza e resistenza sorsero in lui allo stesso tempo.

Era con Charlie da una settimana, ormai – una pausa con gli allevatori di draghi in Romania, un meritato riposo con il fratello prima di tornare al lavoro. Ma in una sola settimana aveva realizzato che l’idea di tornare al lavoro gli procurava una lieve nausea. Non era pronto a tornare in Egitto.

Di solito, Bill adorava l’Egitto. Amava il caldo, la sabbia, la sfida e l’isolamento che spesso il suo lavoro comportavano, amava stare al mondo da solo e farcela con le proprie forze. Ma le attuali circostanze lo spingevano a desiderare di restarsene a casa. Il suo corpo era provato dalla guerra, e anche la sua mente – l’idea di tornarsene da solo in quell’appartamento, di lavorare nel suo ufficio come se tutto fosse tornato alla normalità… non gli quadrava per nulla.

Ma questo trasferimento temporaneo a Londra avrebbe solo posticipato il suo ritorno in Egitto, e lo avrebbe reso più difficile, alla lunga. Bill non era il tipo da prendere scorciatoie per evitare percorsi troppo duri. Arrotolò la lettera e cominciò a giocherellarci. Se non avesse accettato il trasferimento, avrebbe dovuto tornare alla filiale egiziana della Gringott quel mattino stesso.

“Dài, Bill, papà ti vuole parlare.” urlò Charlie dall’altra stanza.

Bill annuì. Avrebbe potuto parlarne con suo padre proprio adesso. Si trascinò nella sala del bungalow di Charlie e restò in piedi di fronte al padre, sbadigliando, il rotolo di pergamena in una mano. Con l’altra si grattava la testa. “Ciao, papà.”

“Bill.” Suo padre lo guardava. Sul suo volto stanco un misto di divertimento e di orgoglio. “È bello vederti.”

“Anche per me – che succede a Londra?”

A questa semplice domanda, il viso di suo padre divenne teso. Arthur inghiottì rumorosamente e Bill si irrigidì leggermente. Suo padre sembrava quasi… spaventato.

“L’avete vista tutti e due la Gazzetta del Profeta di ieri?”

Bill sospiro e annuì guardando Charlie. “Certo. Era tutto vero? Sul serio i Dissennatori non vogliono più lavorare come guardie?”

Arthur scosse gravemente la testa. “No, non vogliono.”

“Senti, ci dev’essere un modo per distruggere quelle cose.” Bill guardò Charlie. “Che ne pensi?”

Charlie alzò le spalle. “Non so. Io ho un Patronus molto potente, ma è tutto.”

“Ragazzi…”

Bill e Charlie si voltarono verso il loro padre. La sua voce era calma e segnata dalla sconfitta.

“La situazione è peggiorata.”

A Bill si rizzarono i capelli sulla nuca. “Che vuoi dire? Che è successo, Papà?”

“Io…” Arthur fece una pausa, e presi un respiro. “Uscirà sul giornale di oggi, e su RSN tra pochi minuti, ma io volevo…”

“Diccelo.” Charlie era seduto sul pavimento di fronte al fuoco.

Bill si accucciò vicino a lui. “Vai avanti.”

Arthur stava cercando di controllarsi – solo la sua testa era visibile nel fuoco, ma Bill conosceva il viso di suo padre così bene che poteva quasi anticiparlo. Qualsiasi cosa avesse detto, non sarebbero state buone notizie.

“Vi dice qualcosa il nome Ida Dunnes?”

Bill annuì immediatamente. “Auror nei giorni di gloria di Silente, giusto? Al tempo della sconfitta di Grindelwald.”

Charlie si girò verso il fratello, un’espressione incredula sul viso. “Ma tu ti ricordi tutto quello che hai letto?” borbottò.

Bill alzò le spalle. Arthur continuò. “È in pensione adesso, vive a Lewis Island in una città chiamata Stornaway, circa quaranta miglia a sud di Azkaban. E una città mista – un’alta concentrazione di maghi e streghe in un’area piena di Babbani. Anche se ovviamente i Babbani non lo sanno, perlopiù. Ci sono un sacco di matrimoni misti in quella zona, il che è… interessante…”

Arthur perse il filo del discorso. La sua voce era piatta e per la prima volta, Bill realizzò che gli occhi di suo padre erano arrossati. Scambiò un breve sguardo preoccupato con Charlie. Era molto facile per il loro padre imbarcarsi in discorsi sui punti di incontro tra la cultura babbana e la società dei maghi, ma oggi questo argomento non sembrava dargli nessuna gioia.

“Dài, papà, continua. Cosa è successo a Ida Dunnes?”

“Niente.” Arthur sospirò e strinse gli occhi. “Ida è viva e vegeta. Era al pub, la notte scorsa. Un gruppo di Babbani è entrato lamentandosi del freddo improvviso… dicevano che era un po’ troppo per luglio. Ida non ci ha fatto caso, finché il suo nipotino non è arrivato correndo da fuori, indicando dietro di sé con aria frenetica e balbettando di un Dissennatore giù in strada.”

Bill trattenne il respiro. “No,” mormorò velocemente. “No.”

“Beh, Ida si è precipitata nella direzione in cui indicava il nipote, e se l’è trovato proprio davanti. Si stava chinando su un bambino che giocava nel giardino di casa.”

“E l’ha -” Bill non riusciva a finire di formulare la domanda.

“Il bambino sta bene. Ma la madre è devastata. È rimasta senz’anima. Era distesa ai piedi del figlio quando Ida è arrivata… Ida ci ha detto che il bambino stava piangendo. Troppo giovane per fare qualsiasi altra cosa. Ha visto la madre Baciata proprio lì di fronte a lui.” Il viso di Arthur era sempre più grigio.

Bill si sentì gelare nelle ossa all’idea di una simile vista. Rimase accucciato vicino Charlie, ma non riusciva a pensare a nulla da dire.

“Pensavo che i Dissennatori… pensavo che non avessero lo stesso effetto sui Babbani?” balbettò Charlie debolmente.

“I Babbani non li vedono, ma penso che possano comunque essere baciati se si trovano nel posto sbagliato il momento sbagliato. Non lo sappiamo con certezza. Non lo voglio sapere. In ogni caso, quella donna era una strega. È stata chiaramente colta di sorpresa. Stava solo giocando con suo figlio, non si aspettava…”

La testa di Arthur si mosse lentamente, come per scacciare una visione disperata.

“Ida ha spinto quella cosa attraverso il lago fino a Moody, che adesso ha istituito una sorta di registro in modo da sapere quanti Dissennatori ci sono. Dobbiamo saperlo subito, se uno di loro si allontana. È maledettamente difficile contarli – pensiamo di averli tutti, ma come facciamo ad esserne sicuri? Anche se ci mettiamo a contarli, non riusciremo ad avere una stima precisa se continuano a nascondersi nell’ombra. E non solo, ma dobbiamo anche tirar fuori da lì tutti quei prigionieri. Sapevo che erano messi male, ma questo è peggio di quel che mi aspettavo. Sono tutti in pericolo mortale, se restano ad Azkaban.”

“E dove li vuoi mettere?” chiese subito Charlie.

“Maledizione, non lo so. Dovunque non possano scappare. E non conosco nessun posto così.”

“E il bambino?” domandò Bill.

“Con suo padre. Il padre era dentro. È un Babbano. Si dà la colpa di non essere uscito per fare qualcosa – come se avesse potuto fare qualsiasi cosa.” Arthur sospirò. “Non è stata colpa sua. Per quel che vale, voglio che sappiate che il danno che ha subito la moglie verrà imputato a me in tutti i notiziari. Volevo solo che voi ragazzi lo sentiste da me, prima. Ora avrò bisogno di parlare con -”

“Imputato a te!” Bill trovò di colpo la voce e scattò in piedi in preda all’ira. “Vorrei sapere perché!”

Arthur emise una risata breve e innaturale. “Perché io sono qui. Perché è mia responsabilità tenere quelle creature chiuse sull’isola. Se avessimo saputo il giorno prima – solo il giorno prima – che non sarebbero più rimasti con i prigionieri, avremmo potuto aumentare la sorveglianza. Ma per come sono andate le cose, non hanno cominciato ad agitarsi fino a venerdì, e Moody non ha organizzato un turno di guardia fino a venerdì notte – uno di loro doveva già essere scappato. Siamo già stati fortunati che ha dovuto viaggiare sull’acqua per arrivare a Lewis. Viaggiano più lenti sull’acqua. Se non fosse stato così avrebbe potuto fare molti più danni, in una comunità di maghi di quelle dimensioni.”

“Ma non è colpa tua,” ringhiò Bill a denti stretti. “Non lo sapevi, e hai fatto quello che potuto. Io vengo lì.”

“Bill, ti prego, non è questo che -”

“Vengo anche io.” Charlie si era alzato in piedi. “E porto anche la mia squadra, papà. Muoiono dalla voglia di dare una mano.”

Bill fissò il fratello. “Cosa? Lasci l’allevamento di draghi? Stai scherzando.”

“Non è più scioccante di te che lasci il dipartimento Infrangifattura, no? E comunque pensi che mi lascerei sfuggire l’occasione di lavorare per il Ministro della Magia?” Charlie fece un finto inchino al padre. “Non esiste.”

Arthur si affrettò a scuotere la testa. “No. Non fatevi strane idee, ragazzi. Qualcuno doveva succedere a Caramell, e non c’è stato il tempo per una normale elezione dopo l’attacco a Diagon Alley dell’anno scorso. Ricopro questa carica in un momento in cui nessuno vuole farlo, questo è tutto.” Fissò Bill con sguardo severo. “E non voglio che vi sentiate costretti a spostarvi. Avete entrambi il nostro lavoro e dobbiamo tutti continuare con le nostre vite.”

“Lo so.” Bill giocherellò con il rotolo di pergamena per un momento. “Ma, papà, se nessuno ti aiuterà, tutti quanti continueranno con le loro vite eccetto te.” Mostrò la pergamena. “Questa viene dalla Gringott. Vogliono che accetti un trasferimento temporaneo a Londra. Con effetto immediato.”

“Ma è geniale!” esclamò Charlie, dandogli una pacca sulla schiena così forte che quasi lo mandò nel fuoco. “Sul serio? Oh, papà, veniamo di sicuro. Possiamo prendere un monolocale a Diagon Alley in due. E magari vorrà venire anche Mick – e un paio di ragazzi del mio staff sarebbero di grande aiuto, ne sono certo. Gli apprendisti devono stare qua per imparare con i draghi, ma scommetto che potrei convincere il mio assistente a tornare in Inghilterra almeno per un po’ -”

“Fai pure venire chi vuoi, ma sul divano ci dormi tu,” scherzò Bill, massaggiandosi il fondo schiena, un po’ malandato per aver passato tutta la settimana sul sofà di Charlie. “Papà, se hai bisogno di noi, accetterò questo trasferimento oggi stesso. Possiamo essere lì appena avrò l’assegnazione.”

Era chiaro che il padre li voleva; sorrideva, ed era la prima volta che Bill vedeva un vero sorriso sulla faccia del padre da diverso tempo.

“Sei sicuro che vuoi accettare, Bill?” chiese Arthur, senza troppo riuscire a nascondere la speranza nella sua voce.

Bill soppesò brevemente le opzioni. Avrebbe potuto tornare in Egitto e continuare a vivere la sua vita così com’era prima che la guerra la interrompesse. Oppure poteva tornare in Inghilterra e dare una mano a ricostruire Diagon Alley, e magari nello stesso tempo aiutare il padre e stargli vicino.

Guardò negli occhi il padre e sentì che la decisione era presa.

“Assolutamente,” replicò Bill sorridendo. “Sto arrivando, papà.”

Il volto di Arthur si riempì di un’espressione di sollievo. Si volse verso Charlie. “E tu sei -”

“Papà, sono sicuro,” lo interruppe Charlie sorridendo.

“Bene,” disse piano Arthur, “dal momento che avete preso la vostra decisione, non c’è bisogno che vi dica che sono felice che veniate qua. Tutti e due.” La sua voce era un po’ roca. “E vostra madre – beh, sarà contenta di sapere che siete entrambi più vicini a casa, almeno per un po’. Impazzirà quando glielo dirò, sarà difficile tenerla calma.”

“Beh, allora non glielo dire!” Disse improvvisamente Charlie. “Veniamo a casa con te alla Tana il giorno che arriviamo a Londra, e le facciamo una sorpresa!”

Bill colse subito la palla al balzo. “Dille solo che porti a casa un paio di colleghi. Così si preparerà, e non starà tutto il tempo ai fornelli quando invece vorrà coccolarci e dire a me di tagliarmi i capelli.”

Arthur guardò i figli con gli occhi un po’ lucidi. “Siete due bravi ragazzi,” disse, con la stessa voce rotta. “Ci vediamo quando arrivate qua. Devo raggiungere Ron e Ginny da Remus prima che lo sentano alla radio. E devo raggiungere i gemelli. E poi -”

Ci fu una brusca pausa. Bill sapeva che suo padre stava per pronunciare il nome di Percy. Dopotutto, era naturale. Erano sempre stati in sette.

“L’ho già detto a Penelope,” concluse piano Arthur. “C’era anche lei quando ho parlato con vostra madre.”

Bill annuì. “Ci vediamo domani, allora, papà.”

“Bene.” Il viso del padre si rilassò un poco. “Quando arrivate, venite direttamente al Ministero.”

“All’ufficio del Ministro?” chiese Bill maliziosamente, alzando le sopracciglia in direzione di Charlie, che sorrideva in attesa di risposta.

Il padre ridacchiò. “Ok. Si, lì è dove sto io. Pensate pure quello che volete. Basta che veniate qua.”

Con un ‘pop’ Arthur sparì.

“Da non credersi, eh?” Chiese Charlie, che sorrideva ancora verso il fuoco. “Nostro padre.”

Bill rise. Anche lui non si era abituato al fatto che suo padre fosse una posizione di così grande autorità. Ma anche se Arthur aveva spiegato loro la situazione, Bill sapeva che il padre era il Ministro della Magia. Sapeva anche che era normale che i funzionari del Ministero che rimanevano obbedissero al padre. Tutti si fidavano di lui dopo quello che aveva fatto durante la guerra. Aveva organizzato il Ministero dall’interno per Silente, e in seguito per Sirius, ed aveva spianato la strada all’Ordine della Fenice, in modo che operasse senza interruzione il più a lungo possibile.

Certo, non sempre questo tipo di iniziativa aveva l’approvazione di tutti; molte persone, durante la guerra, erano contro l’Ordine. Molti stavano dalla parte di Cornelius Caramell. Ma ora che la guerra finita e che l’Ordine aveva messo fine a tre anni di disperazione, i suoi oppositori erano pochi e poco influenti. Inoltre, tutti sapevano che Arthur Weasley era presente al momento della sconfitta di Voldemort. Tutti sapevano quello che era successo a Lucius Malfoy. Il fatto che la gente si rivolgesse a suo padre per un consiglio, riflettè Bill, era naturale. Suo padre era proprio il tipo che faceva i lavori che nessuno voleva fare, e questo era evidente specialmente adesso che guidava un Ministero in rovina.

“Papà era la scelta giusta fin dall’inizio,” disse Bill tra sé e sé, “solo, non era ambizioso come Caramell e tutti gli altri. Mamma aveva ragione a pensare che Caramell avesse dei pregiudizi verso papà per via della sua preoccupazione per i Babbani…” Bill esitò prima di continuare. “Sai, magari è sbagliato dirlo, ma è molto meglio che non ci sia Caramell, ora che tutto deve essere ricostruito. Non è stato un vantaggio per i Mangiamorte liberarsi di lui.”

Charlie annuì lentamente. “Eppure, quello che gli è accaduto non è giusto.”

“No. Non ho mai detto che lo fosse.”

Lo stomaco di Bill si stringeva ancora al ricordo della notizia dell’attacco a Diagon Alley. Fingendo di concordare con Caramell che era necessario un piano di pace, i Mangiamorte erano stati ammessi al ministero. La maggior parte degli edifici ministeriali ora era distrutta. Caramell era stato ucciso senza troppe cerimonie, e i suoi uffici perquisiti in cerca di informazioni. L’ufficio postale di Diagon Alley era stato fatto esplodere allo scopo di rallentare le comunicazioni tra i maghi, e molti gufi e molte persone erano morte. In quel caos terribile, i Mangiamorte erano penetrati nella Gringott, massacrando la maggior parte dei goblin. Avevano fatto esplodere le celle con le loro arti oscure, distruggendo un sistema di protezione magico che sarebbe stato complicatissimo ripristinare.

Bill sospirò al solo pensiero di come doveva essere adesso alla Gringott di Londra. Conoscendo i goblin, sapeva che suo nuovo lavoro sarebbe stato duro. I goblin non erano creature molto fiduciose, e adesso che erano stati attaccati personalmente, Bill immaginava che sarebbero stati decisamente feroci con qualunque persona nuova. Il fatto che lui avesse lavorato per anni nella filiale egiziana della Gringott non avrebbe significato nulla per i goblin di Londra. A Londra sarebbe stato trattato con uno straniero e visto con sospetto e disprezzo.

Comunque, sarebbe andato. Non c’era alcun dubbio. Avrebbe dato tutto l’aiuto che poteva alla Gringott – e a suo padre.

“Ehi, Charlie,” chiese improvvisamente, ricordando quello che il padre aveva detto a proposito del notiziario, “dov’è la radio? Voglio sentire cosa dicono di papà.”

Con il piede, Charlie spostò un’enorme pila di vestiti sporchi e scovò una radiolina che aveva visto tempi migliori. La accese con un colpo di bacchetta, e una vocina femminile molto disturbata uscì dal piccolo altoparlante.

… che Arthur Weasley, il Ministro non eletto e apparentemente incompetente, ha dichiarato ieri di avere sotto controllo il problema dei Dissennatori. Sappiate che non è per niente così. Ieri sera, l’Auror in pensione Ida Dunnes –

“Idioti,” mormorò Charlie, spegnendo la radio a metà della frase con un violento colpo di bacchetta. “Non voglio sentire più nulla. Scrivi ai tuoi goblin, Bill, e fatti arrivare i documenti. Dobbiamo arrivare a Londra il più presto possibile.”

“Giusto.” Bill richiamò pergamena e penna, cercando di ignorare la rabbia che stava provando per un momento, per essere più produttivo. “Raduna la tua squadra, e vedi chi può venire con noi.”

Mentre Charlie si vestiva, Bill scrisse velocemente la sua risposta alla sede di Ginevra. Se avesse mandato il gufo prima di mezzogiorno, avrebbe avuto i suoi documenti il mattino dopo. Avrebbero potuto partire per Londra l’indomani pomeriggio.

Anche se, adesso, nemmeno domani sembrava più così presto.

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