Se Kill Bill Vol. 1 era un omaggio ad alcune ossessioni di Tarantino (e del suo pubblico) come la blaxploitation, il cinema di Bruce Lee, la serie B giapponese e gli anime, Kill Bill Vol. 2 scopre definitivamente le carte ed erge a numi tutelari Sergio Leone, Sam Peckinpah, Lucio Fulci, ma anche (insospettabilmente) John Ford e tutto il noir degli anni ’40. Oltre che, sul finale, virare sul Tarantino puro, originale al 100% (lo showdown in prefinale con dialogo sul test di gravidanza!!!). Dove il Vol. 1 era eccessivo, adrenalinico, coreografico, ironico e ammiccante, il Vol. 2 è tragico, epico, più cupo e violento pur essendo meno splatter (ehm… a parte qualche piccolo dettaglio). L’ironia c’è sempre, sia nella storia che nel modo di raccontarla (non sarebbe un film di Tarantino): le situazioni però si fanno più inquietanti man mano che la Sposa alias Black Mamba, alias B***** (ma il nome vero viene rivelato a metà film) si avvicina alla sua nemesi. Alcune impressioni: l’intermezzo assolutamente geniale con il maestro Pai Mei, girato come un prodotto di serie Z cinese (da morire); diversi colpi di scena non da poco (Tarantino è ancora capace di rendersi imprevedibile); una commistione di stili che può confondere e non piacere ma che secondo me rende Kill Bill un capolavoro o comunque la summa di 50 anni di (un certo tipo di) cinema. Elle Driver, alias California Mountain Snake è in assoluto il personaggio più bastardo del film, e non a caso (anche se, è proprio il caso di dirlo, la Sposa attua la legge dell’occhio per occhio) non si è sicuri della sua effettiva morte. Fremo al pensiero di un prossimo film di Tarantino con lei come protagonista… Michael Madsen (Budd) si è sformato dai tempi di Mr. Blonde ed è diventato forse un po’ autocaricaturale, ma il suo personaggio è l’unico che dà alla Sposa quel che è della Sposa (la legittimazione della sua vendetta). Disseminate nel film, alcune inquadrature sorprendenti, come la Sposa sulla porta della chiesa che guarda il panorama di El Paso come Vera Miles in Sentieri selvaggi. Botte da orbi per tutti, sangue, ossa rotte, veleno, spade, pistole e una chicca di backstage assolutamente imperdibile alla fine dei lunghissimi titoli di coda. Lo si ama o lo si odia. Io, ovviamente, lo amo.
NON TRADIRAI LA TUA PARRUCCHIERA
Il rapporto che c’è tra una donna e la sua parrucchiera è forse più imperscrutabile di quello che c’è tra una donna e il suo uomo, tra una madre e suo figlio, tra una figlia e suo padre, tra una sorella e suo fratello (mi sembra di aver finito le possibilità). Il marito si può tradire, la parrucchiera mai. Tradire la parrucchiera è qualcosa di cui ci si può pentire amaramente. A meno di non trasferirsi in un’altra regione, la parrucchiera è per la vita. La parrucchiera di Stefi è Olga, da almeno dodici anni. Il fatto che la parrucchiera non si tradisca, non vuol dire che il rapporto è sempre roseo. Anzi, la donna per principio non è mai soddisfatta del lavoro di forbici e casco che le viene proposto. Questa volta Stefi deve aver borbottato qualcosa sulla monotonia del suo taglio e/o del suo colore. Sta di fatto che la sento al telefono un tantino più tesa del solito. Decido di andarla a prendere per portarle un ombrello (manco a dirlo, a Torino piove anche oggi). Ed ecco, la mia donna è cambiata! Più luminosa, più colorata, più vispa – più appariscente, certo – ma in sostanza più bella e più splendente che pria! Ma lei non sente da quell’orecchio. Per la donna, l’opinione del proprio uomo sul lavoro della parrucchiera è meno influente del riflesso deformato di una vetrina in un giorno di pioggia. Il rosso è troppo rosso, il biondo è troppo biondo, il colore è troppo colore… Badate, non sono uno di quegli uomini che non notano nulla: io stesso, da buon vanitoso, so che l’unico metodo di beccare che ho è far ondeggiare la mia folta chioma, che sembra essere l’unica cosa che le femmine notano. Ma per Stefi ogni mio "sei bellissima" non è degno di altro che un "bah!" amareggiato. Per chi non è abituato ad apparire, probabilmente, una singola nuance diversa dal solito sembra dover attirare gli sguardi di tutti. E come sempre, un altro piccolo mistero femminile resta irrisolto.
NECROPOLIS
Il numero 212 di Dylan Dog attualmente in edicola, Necropolis, è finalmente degno della migliore stagione del fumetto bonelliano che ormai colleziono un po’ per inerzia un po’ per tenerezza… Consiglio vivamente di leggerlo perché, al di là del finale un po’ di maniera (c’è la tipica retorica dylandoghiana in agguato) è veramente una storia che spacca. Tanto per gradire, poi, è previsto un radiodramma in quattro puntate su RadioDue tratto proprio da questo albo…!