UN’OVERDOSE DI ADAM DRIVER

L’ultima raccolta del 2019 con le #recensioniflash di dicembre, come sempre tiene nascoste un paio di chicche – in particolare la chicca inedita e divisiva che questo mese è nientepopodimeno che Star Wars: Rise of Skywalker (diciamo subito nella intro che il vero nuovo Star Wars è The Mandalorian così tagliamo la testa al Sarlacc e bona lè). C’è molto Adam Driver, questo mese: Adam Driver che canta, Adam Driver che piange, Adam Driver che si incazza, Adam Driver sotto la pioggia, Adam Driver che fuma. Adam Driver esce dalle fottute pareti. Auguri.

FRANCES HA (Noah Baumbach, 2012)
Esce Marriage Story di Noah Baumbach e questo mi offre il fianco per parlarvi di un film di Baumbach che non avevo ancora visto e che mi ha colpito molto, Frances Ha. Dovrei fare la premessa doverosa che io apprezzo molto Baumbach e nulla di quanto potrei scrivere deve essere inteso come attacco personale o simili. Comunque. Frances Ha è un distillato di temi baumbachiani (fremo solo nell’aver scritto questa parola), dalla irritante approssimazione nel “lasciarsi vivere” della protagonista e dei suoi amici all’arguto e frenetico citazionismo nei confronti della nouvelle vague francese che lui evidentemente adora. Il conflitto generazionale (oggi va di moda dire tra genxers e millennial) solitamente evidente in altri suoi film come Greenberg o While We’re Young dove il genxer di turno era l’attore feticcio Ben Stiller, qui è meno evidente, anche perché in scena ci sono quasi solo i millennial (con gli attori feticcio Greta Gerwig e Adam Driver, tra gli altri). La Gerwig è Frances, aspirante ballerina che non riesce a realizzare i suoi sogni, alle prese con BFF, fidanzato, coinquilini e una strisciante depressione e senso di inconcludenza, che alla fine riuscirà in qualche modo a trovare una sua dimensione. Non conta tanto la storia quanto una serie di sequenze che citano direttamente Léos Carax (Frances corre scompostamente sulle note di Modern Love di Bowie come in Mauvais Sang) o Truffaut (Frances corre scompostamente sulle note della colonna sonora di Les 400 Coups di Jean Constantin). Corre parecchio, Frances. Quando non corre si scioglie nel cazzeggio sulle note degli Hot Chocolate o dei T.Rex. Serpeggia una certa impressione di perdita di tempo vedendo il film, ma alla fine non è così, in un certo senso (non saprei dire quale) è soddisfacente. L’inquadratura finale giustifica il titolo. #recensioniflash

THE BANANA SPLIT MOVIE (Danishka Esterhazy, 2019)
C’è un antidoto perfetto all’odioso spirito natalizio che informa di sé tutto il mese di dicembre. Questo antidoto è l’horror nella sua variante più slasher, più splatter, più cattiva e demenziale. Ora, seguitemi. Cosa c’è di più perverso di prendere i Banana Split (quei Banana Split, quelli di na na na nannanannà nannannà na na na na na) e trasformarli in killer assetati di sangue pronti a decapitare, smembrare, investire, schiacciare e martellare gli (antipaticissimi, va detto) spettatori del loro live show? Poco, infatti. Il film è rated R in USA, il che lo rende la prima e unica produzione Hanna-Barbera per soli adulti. Il tasso di sangue è ben oltre il livello di guardia, ma si ride parecchio nonostante il disagio. Come dite? Prevale il disagio? Beh, questione di punti di vista… #recensioniflash

UN GIORNO DI PIOGGIA A NEW YORK (Woody Allen, 2019)
L’ultimo Woody Allen è così leggero, così impalpabile, così effervescente, così confortevole… che mi sono appisolato per il 90% del minutaggio. #recensioniflash

MARRIAGE STORY (Noah Baumbach, 2019)
Marriage Story. Bello. Cioè. Bellino? Soddisfacente nel suo genere? Il trio lui/lei/il regista sulla carta per me è ottimale. Il trascinamento per due ore e passa di un remake anticlimatico di Kramer vs. Kramer un po’ meno. Comunque ci sono diversi bei momenti, si piangiucchia e si ridacchia, Adam Driver è un meme vivente, tutto è sostanzialmente portato avanti come un vecchio film di Woody Allen ma senza le battute. In pratica è un film a tesi sulla decisione se sia meglio NY o LA come città in cui vivere. Comunque se arrivate alla fine c’è Adam Driver che CANTA. E niente, quella scena vale tutto il film. #recensioniflash

THE LIGHTHOUSE (Robert Eggers, 2019)
Inizia e finisce in una nebbia che riempie lo schermo, The Lighthouse. Il secondo film di Robert Eggers va in direzione ancora più estrema rispetto a The Witch e propone un incubo soffocante, alcolico e salmastro, girato in bianco e nero e 4:3 su pellicola vintage. La storia, minimale, è quella di due guardiani di un faro nel Maine della seconda metà dell’800. Uno è più anziano (Willem Dafoe), l’altro più giovane (Robert Pattinson). In scena ci sono sempre solo loro due, con l’eccezione di un gabbiano malvagio e una sirena che non è chiaro se sia vera o un’allucinazione. Entrambi i guardiani nascondono un oscuro segreto, ma anche il faro stesso nasconde sicuramente un oscuro segreto, così come anche la scogliera nasconde un oscuro segreto e probabilmente anche il capanno degli attrezzi. A un certo punto del film i due, a causa di una tempesta senza precedenti, rimangono senza viveri ma con una generosa scorta di alcolici. Da lì in poi tutto risulta governato dalle logiche del delirio. C’è molto Poe, molto Lovecraft e molto Melville in questo horror “antico”. Ci sono tentacoli, branchie, disturbanti vagine squamate e inquietanti scene di masturbazione (di Pattinson: lui è bravissimo in queste cose, ricordiamoci per esempio l’esame prostatico in macchina in Cosmopolis). Verso la fine l’orrore tracima quasi fuori dallo schermo, lo spettatore resta ammaliato ma sinceramente non ha capito un cazzo. Comunque bellissimo, eh, non vorrei portarvi fuori strada. #recensioniflash

FROZEN 2 – IL SEGRETO DI ARENDELLE (J. Lee / C. Buck, 2019)
Si poteva sfuggire a Frozen 2? No, non si poteva. Sono sei anni che Elsa e Anna ci frantum… ehm, popolano il nostro immaginario, e mi sembrava persino strano che non avessero optato per un sequel già qualche anno fa. Comunque, Frozen 2. In supersintesi, bella storia, musiche deludenti, un filo schizofrenico. Mi spiego meglio. Trovo apprezzabile l’espansione del “mondo di Frozen” al di là del borgo di Arendelle e ad una mitologia magari non originalissima ma efficace, grande occasione peraltro per far risaltare sequenze di animazione molto valide (il passaggio del mare nero verso il ghiacciaio di Ahtohallan su tutte). Anche la scelta di evitare storie d’amore per Elsa e concentrarla sulla ricerca di sé stessa è significativa (il lato sentimentale qui è limitato alla gag ricorrente di Kristoff che vorrebbe proporsi ad Anna). Eppure nel suo svilupparsi, il film è incostante per via della (legittima) intenzione di dare un colpo al cerchio e uno alla botte, ossia piacere ai grandi e ai piccini. Tutte le parti con Olaf, sebbene eccezionali prese in sé – i riassuntoni di Olaf, compreso quello nella scena dopo i titoli di coda sono le parti più memorabili di Frozen 2 – spezzano il ritmo del film integrandosi poco con la storia principale. E poi diciamolo, le canzoni non sono assolutamente memorabili, né orecchiabili. Può darsi forse in VO, ma l’ottimo lavoro che Ermavilo da 50 anni continua a fare sui film Disney qui ha perso un po’ di colpi a livello di metrica e comprensibilità del testo. Imbarazzante il momento musicale di Kristoff con la ballata eighties che si risolve in un videoclippone animato in stile A-Ha (per un attimo ho captato una svolta gay in Kristoff, ma alla fine non è stato così). Detto ciò, ottimo lavoro sui simboli, il design dei fondali e soprattutto i costumi di Anna ed Elsa. Meno gradevole almeno per me il character design, sempre troppo leccato (c’è una tonnellata di acqua nel film e né Elsa né Anna sembrano mai troppo fradice o ferite o stanche). #recensioniflash

STAR WARS THE RISE OF SKYWALKER (JJ Abrams, 2019)
La premessa è doverosa, sono un moderato fan di Star Wars. Nel senso che non ci perdo il sonno, ma li guardo volentieri. C’è anche un’altra premessa da fare: sono una di quelle persone che non capiscono le parentele. Se in una conversazione mi dite “hai presente la cognata di mio cugino, quello dalla parte di nonno paterno, sai quella che aveva il padre azzoppato”… Ecco, io ho smesso di seguirvi a “cognata”. Perciò, va da sé, io degli Skywalker e dei Palpatine (LOL “Palpatine” mi ha sempre suscitato grandissima ilarità) non capisco una mezza fava. Ciò detto, i 142 minuti di questo nono film scorrono via veloci, pure troppo. Il sospetto è che JJ abbia inanellato combattimenti fighissimi, inseguimenti fighissimi, esplosioni fighissime, onde anomale fighissime, templi oscuri fighissimi e flotte da guerra fighissime al solo scopo di non farci pensare a cose tipo “Ma Snoke non era il supremo essere malvagio?” o “Ma come diamine ha fatto Palpatine a sopravvivere?” o “Ma quindi ‘sti genitori di Rey?” o “Ma come fa l’X-Wing di Luke a funzionare dopo anni sott’acqua?” o “Ma quindi Finn ama Rey e lei ama Ren?” o – soprattutto – “Cosa cazzo è la diade della forza?”. Sospetto più che legittimo, capisco bene i detrattori del film (che peraltro erano già incazzati con The Last Jedi perché troppo poco canonico, con The Force Awakens perché troppo uguale alla trilogia originale, con la trilogia prequel perché troppo banale e improntata esclusivamente allo sfruttamento commerciale e ai pupazzi di Jar Jar Binks, con Return of the Jedi perché c’erano gli Ewoks e via discorrendo). Però dai, questo nono film, a più di 40 anni di distanza dal momento “X” in cui siamo entrati nella galassia lontana lontana si fa guardare, ci trasporta nel regno della meraviglia, a patto di mettersi le mani sulle orecchie e urlare LALALALALA NON TI SENTO a ogni WTF che appare lampeggiando sullo schermo. Poi, oh. Adam Driver bagnato per quasi metà film, il naso di Adam Driver bagnato in primissimo piano, luci psichedeliche da Rob Zombie per tutte le scene con Palpatine, Carrie Fisher che rivive e poi rimuore, la rivincita di Chewbacca, i Porg che fanno capolino, mancherebbe giusto Baby Yoda per dare un maggior senso di compiutezza al tutto. S’è già detto, se vogliamo una storia secca, tirata e plausibile, abbiamo The Mandalorian. Con Rise of Skywalker siamo nel territorio del mito. E il mito non sempre è così intelligibile. #recensioniflash