NAZI-ZOMBIE, LESBISMO A CORTE E SHA-LA-LA-LOW

Tra recuperi storici, film nuovi di pacca, serie A, B e C, ecco qui una raccolta delle #recensioniflash di febbraio 2019 (come sempre, i film che mi hanno fatto venir voglia di dire qualcosa, perché su quelli che non mi lasciano nulla difficilmente spendo parole).

CREED II (Steven Caple Jr., 2018)
C’è questa cosa che chi mi conosce non sospetta, che ho un debole per i film di boxe. Cioè, io non guardo sport (non li capisco). Capisco solo le mazzate, la boxe, le arti marziali, il sumo, eventualmente le mazzate più metaforiche, la scherma, il tennis. In ogni caso l’uno contro uno. Solo nello scontro frontale capisco il valore dell’eroe. Ed è fuor di dubbio che Stallone è da sempre riuscito a rendere bene questa epica. Tanto quanto i film di Rocky sembrano fuori dal tempo oggi, questo Creed (e il precedente, che comunque era stata una piccola rivelazione) sorprendono per aggancio al presente, solidità narrativa, certo anche prevedibilità. Questo sequel è come da manuale più grosso, più pompato, più ansiogeno del precedente. Ma in un modo classico, sorprendente proprio perché senza troppe sorprese forzate e voglia di stupire a tutti i costi. Le mazzate ci sono, la saliva, il sangue, il sudore pure. Le sequenze di allenamento che fomentano, la sconfitta clamorosa esattamente alla fine del secondo atto, la rimonta con i 10 round in tempo reale del terzo atto, le costole rotte, l’asciugamano per terra. E quando parte il tema di Rocky, anche se non vuoi hai la pelle d’oca. Piccola annotazione: bisogna essere dei gran signori per lasciare a terra in sala di montaggio una scena in cui Rocky Balboa e Ivan Drago si menano duro in un corridoio (vista su YouTube). E Stallone, modestamente, lo è. #recensioniflash

NEXT GEN (Kevin R. Adams e Joe Ksander, 2018)
Ieri per caso stavo guardando Next Gen su Netflix: bella sorpresa. Un mix cinese di suggestioni da Terminator a Transformers passando per il riferimento più evidente a Big Hero 6, con annessi Keynote finto Apple, colonna sonora pop punk e protagonista problematica. Molto godibile anche perché la visione degli animatori cinesi della metropoli cyberpunk ha qualcosa di particolare e di diverso dagli approcci occidentali. In alcuni punti (il campetto da gioco preservato in mezzo ai grattacieli futuribili) mi ha ricordato certe visioni del futuro di Doraemon. La voce originale del robot è di John Krasinski, il che dà al tutto quella patina di malinconia. #recensioniflash

A STAR IS BORN (Bradley Cooper, 2018)
Nella mia famiglia “È nata una stella” è un po’ una staffetta. Mia madre stravedeva per Judy Garland e James Mason, io sono cresciuto con Barbra Streisand e Kris Kristofersson, nessuno ha visto l’originale del ’37 (e comunque non era un musical quindi non vale). Il recuperone era dovuto. Che posso dire. A confronto per esempio con La La Land ne esce un prodotto hollywoodiano “classico” nel senso migliore del termine, laddove il film di Chazelle era più costruito, postmoderno, citazionistico. Cooper canta suona dirige recita fa il figo come riesce bene solo a lui e spinge avanti Lady Gaga (che beninteso io adoro sempre) per spaccare meglio con le canzoni. Un film di personaggi – di archetipi direi – risaputi ma “risonanti”. Sam Elliott si becca una delle inquadrature che da sole valgono un mélo intero. Si fa guardare e ascoltare, non sfigura affatto. Lo trovo un risultato straordinario. #recensioniflash

THE FAVOURITE (Yorgos Lanthimos, 2018)
Spiace che l’irresistibile sgradevolezza di Lanthimos si sia un po’ ammorbidita, ma forse è il suo normale percorso verso il mainstream. Intendiamoci, è comunque una storia di prevaricazioni e violenza psicologica reiterata, pur mascherata da “commedia” in misura maggiore rispetto ad altri suoi film (laddove quello più “divertente” era The Lobster, dal quale piomba come un rapace la presenza di Rachel Weisz). Gli intrighi di corte – un classico del film in costume – sono qui affidati a un trio di donne eccezionali, che rappresentano alla perfezione un discorso universale sul potere e sul sesso come mezzo per ottenerlo e mantenerlo. Non ci si può distrarre, il potere va e viene, un po’ come i conigli, protagonisti dell’ultima, assurda inquadratura. Stile di regia provocatorio e in contrasto con gli ambienti e il contesto (che richiamano subito Kubrick e Greenaway), largo uso di fish eye, grandangoli, steadicam a effetto straniante. Il disagio qui è soprattutto affidato a primissimi piani tenuti ben al di là del necessario, uno scavo quasi bergmaniano sui personaggi. Degna di nota la colonna sonora: Bach, Handel, Purcell e Vivaldi, ovviamente, ma anche un paio di momenti romantici totalmente fuori contesto e un pezzo di Elton John alla spinetta che un po’ manda tutto in vacca. Una curiosità per grafici e designer, tutti i titoli di testa e di coda sono il trionfo del kerning. I miei occhi hanno festeggiato. #recensioniflash

OVERLORD (Julius Avery, 2018)
Per prima cosa voglio dire: ci sono film dove vengono spaccati crani a suon di mazzate, e questo è uno di quelli. Se amate i crani sfondati e avete apprezzato Irreversible, Brawl in Cell Block 99 o Drive, Overlord è un film che fa per voi. Se non amate i crani sfondati, il gore estremo alla Tom Savini anni ’80 (tipo Day of the Dead per intenderci) e l’assurdità di zombie movie come Il ritorno dei morti viventi, ecco allora anche no. Fatta questa doverosa premessa, Overlord parte con 10 minuti di adrenalina pura e totale con i soldati americani che la notte prima dello sbarco in Normandia si devono paracadutare in un villaggio dell’entroterra. Obiettivo: far crollare un campanile dove i nazi hanno un centro di comunicazione. Solo che ovviamente i nazi fanno gli esperimenti con i sieri zombificanti e usano i contadini francesi come cavie per ottenere il supersoldato immortale. Ok, stronzata, ma la resa è spettacolare. Da metà in poi il film diventa praticamente Wolfenstein 3D, quindi anche lì, se subite il fascino dell’effetto nostalgia per i vecchi videogame, Overlord fa per voi, altrimenti anche no. Di sicuro il tizio che fa Euron Greyjoy in GoT con la mascella aperta che sghignazza sputazzando sangue e denti e menando colpi devastanti stile Hulk vale la visione. In quota citazionismo estremo abbiamo: donna francese che neutralizza nazi zombie con lanciafiamme (Aliens, ma anche un po’ Inglorious Basterds), supernazizombie che viene impalato da un tubo di metallo (Commando), soldato buono che viene appeso a gancione da macellaio (Non aprite quella porta). Come avrete capito, per me è un sì. #recensioniflash

CAN YOU EVER FORGIVE ME? (Marielle Heller , 2018)
Ebbene. Aspettavo al varco questo film perché c’è Melissa McCarthy, per me la migliore attrice comica degli ultimi vent’anni. Che poi uno pensa, è il suo primo ruolo drammatico e tutti ooooh che bella interpretazione perché si sa che il comico che improvvisamente fa il dramma è come se fosse “promosso” ad attore vero. In realtà, dopo anni di gavetta, per me McCarthy rappresenta pienamente al femminile il mondo di Judd Apatow e Paul Feig, fautori di una commedia obliqua e molto realistica, a metà tra lo sboccato e il mumblecore, e insomma come sempre alla fine non sto parlando del film. Il film è “tratto da una storia vera”, non sto a dirvi quale perché sarebbe tutto un gran spoiler. Basti dire che è essenzialmente un film per gattare un po’ alcolizzate, che c’è Richard E. Grant ed è subito Shakespeare a colazione 30 anni dopo, che contiene un pezzo da urlo di Lou Reed prima coverizzato e poi in versione originale sui titoli di coda, che il feticismo per le macchine da scrivere e i word processor d’epoca dilaga, che i cardigan della protagonista sono qualcosa che fa venir voglia di strapparsi gli occhi. Ah, Melissa McCarthy non solo fa il ruolo drammatico ma sta imbruttita e senza trucco (perché se fai la donna brutta si sa che ti nominano agli Oscar). Altro merito incredibile del film è quello di far conoscere Dorothy Parker all’ignaro pubblico non americano. Ora voglio leggere tutti i suoi libri. #recensioniflash