IL PARASSITA FACOLTATIVO

Oggi esco a pranzo tardi, per riuscire a ritirare un documento ad uno sportello che apre al pubblico alle 14. Fortunatamente è vicino all’ufficio. Si tratta dello sportello GTT dove rilasciano i permessi annuali di parcheggio in zona blu per i residenti. Arrivo alle 13.50 e mi predispongo a cazzeggiare un po (leggi: inondare di moccio una mezza dozzina di fazzoletti) prima di entrare. Poco dopo, dietro di me c’è già una discreta coda di 7-8 persone. Alle 13.59, il tizio subito dietro di me (un clone del fu avvocato Agnelli con la stazza di Calderoli) comincia a borbottare…

– Eh già…! Le due meno un minuto, e mica aprono! Han mica bisogno di lavorare, ‘sta razza qua! Fan quello che gli pare…. e noi li paghiamo!
Pausa per guardarsi intorno e cercare l’approvazione dell’uditorio, poi continua.
– Tanto lo stipendio se lo intascano lo stesso, chi glielo fa fare. Parassiti di merda…!

Passano i secondi e io sono già abbastanza infastidito. Arriva un signore e interloquisce, in dialetto, subito imbeccato dal primo tizio.

Basta, a l’an pa ancora duvert?
– Ma lei scusi, parla arabo?
Com dise?
– Quel dialetto lì, che usa lei, lo sa che ormai lo parlano solo gli arabi, i marocchini?

Il tizio piemontese fa una risatina nervosa. Una delle dipendenti GTT viene ad aprire la porta, che necessita di un paio di mandate di chiavistello.

– Aaaah… il rito, deve fare… il rito! Con calma, signorina, eh?

Quando entro sono già incazzato. O forse è il catarro che ha preso possesso del mio corpo, non so. Vero è che l’impiegata non è gentilissima e mi fa notare con grandissimo gelo che il numero da me ritirato “non è della serie giusta” per ritirare i documenti. Non sto a spiegarle che il numerino me lo ha messo in mano l’avvocato Calderoli che – evidentemente irritato dal mio rallentamento influenzale – preme il pulsante e mi infila un pezzo di carta in mano dicendo “Su, su… prenda il suo biglietto che non abbiamo mica tempo da perdere qua“.

E io, mentre sbrigo la pratica, ripenso a uno dei tanti diversi fronti di guerra civile sociale e culturale che si aprono nel nostro paese.

Io lavoro in una pubblica amministrazione. A volte lavoro anche allo sportello, non sempre. La mia vita lavorativa è stata finora equamente divisa tra periodi di libera professione, periodi di lavoro dipendente in aziende private e adesso un periodo da “statale”. La libera professione non la ritenterei, c’è un grande senso di indipendenza e libertà ma poi non ci sto dentro con i conti e la burocrazia. E non ho così tanta voglia di sbattermi. Tra le aziende private in cui ho lavorato e l’ente dove presto servizio adesso posso dire che c’è un’abissale differenza: nel privato ti scavavi la tua nicchia e riuscivi anche a farti i cazzi tuoi prendendo il tuo stipendio. Nel pubblico lo stipendio è tendenzialmente più basso (non il mio, che sono uno di quei pochi che hanno il culo di prendere nel pubblico almeno 200 euro al mese in più di quanto guadagnavo nel privato, anche se tutti in buoni pasto) e – esperienza mia – ci si fa il culo ogni singolo giorno senza troppo tempo per respirare.

Eppure la percezione è quella dei fannulloni, dei parassiti. Perché Brunetta ha dato la spallata definitiva per far crollare la fiducia della gente nella cosa pubblica. Assistiamo al paradosso che più la pubblica amministrazione si sforza di far meglio, più i cittadini ci sputano su.

Posso dirvi la mia sulle motivazioni oscure di questo paradosso. La gente non è stupida. Ci sputa su perché capisce che il grosso dello sforzo della Pubblica Amministrazione nell’era del re nano è tutto basato sull’immagine. Negli enti pubblici si lavora moltissimo. Siamo tutti molto impegnati. Il problema è che siamo impegnati su temi di facciata. Oppure siamo alla perenne rincorsa dell’innovazione. Il grande equivoco dell’innovazione nella PA. Diciamo che va di moda attuare progetti innovativi. Diventano subito un fiore all’occhiello (espressione che – insieme a “valore aggiunto” è usatissima dai manager pubblici).

E l’innovazione serve, non dico di no. Non si può rimanere indietro. Non potrei essere io a negarlo, io che lavoro proprio su questo tipo di progetti, nei quali – fino a un paio d’anni fa, diciamo – addirittura credevo! Ma attenzione: applicazioni on line, pratiche telematiche… Questo non è quello che realmente il cittadino si aspetta. Quello che il cittadino si aspetta è che funzionino a dovere i servizi essenziali, gli sportelli, cose che i manager pubblici non vedono perché troppo “di base” e poco “di immagine”.

Il cittadino si aspetta di non vedere dieci sportelli con solo due addetti e altre 45 persone in un back office con la testa bassa sulla tastiera a lavorare su progetti di innovazione. Suppongo che preferirebbe meno investimenti sull’innovazione e più persone allo sportello. Poi c’è innovazione e innovazione. Se è un mezzo per raggiungere lo scopo della semplificazione amministrativa, l’innovazione è una cosa buona. Salvo poi solitamente rivelarsi un metodo perfetto per complicare ulteriormente la vita all’utente e all’amministrazione, invece di semplificare.

Senza contare il fatto che – quando non ci buttiamo sull’innovazione – dobbiamo “star dietro alle leggi“. E vi assicuro che in un paese dove ci sono oltre 150.000 leggi (contro le 6.000 della Francia, per dire) non è cosa da poco. Diciamo pure che siamo frustrati come e più del cittadino medio.

Per questo, quando mi alzo per uscire e incrocio di nuovo lo sterminatore di parassiti che mi borbotta con un ghigno qualcosa tipo “Lavoriamo solo per pagar lo stipendio a loro, sono la rovina dell’Italia”, lo guardo negli occhi e gli rispondo “Eeeeeh… eeeeeeeeh… TCHUM!!!” inondandolo di miliardi di piccoli parassiti dai nomi fantasiosi come Mycoplasma pneumoniae, Bordetella pertussis e Chlamydia pneumoniae.

Almeno, anche lui, potrà prendersi una pausa dal suo superlavoro.

10 risposte a “IL PARASSITA FACOLTATIVO”

  1. Pur amando io il mondo informatico, siccome mi spaventa alquanto la burocrazia, il “salto al telematico” della Pubblica Amministrazione non fa che lasciarmi molto perplesso.
    Per l’utente lasciato a sé davanti ad un monitor, il rischio d’errore è sempre dietro l’angolo, la confusione e la disinformazione finiscono per imperare sovrane, il rapporto con una persona alla quale chiedere che cosa fare o a chi rivolgersi si fa sempre più difficile.
    Sì, anche da utente ritengo che i soldini pubblici siano meglio investiti in progetti magari di respiro più ampio ma di ispirazione più “user-frienly”. Uno sportellista in più in qualsiasi ufficio sarebbe sempre salutato come la manna dal cielo… e se, grazie anche ad infrastrutture più adeguate, lo sportellista fosse contento e lavorasse bene, ancora meglio: un essere umano sempre val bene una (quanto più possibile piccola) coda.

  2. Penso sia solo una questione di senso di responsabilità nello svolgere il proprio lavoro, nel privato o nel pubblico. Non difendo nè un settore nè l'altro trovo inutile la contrapposizione.

  3. e bravo Pietro…! Fortuna che non sono tutti come Agnelli-Calderoli e ogni tanto qualcuno si accorge di chi si guadagna onoratamente il pane e ti dice: "ma come siete gentili!" e quando gli spieghi che è dovere d'ufficio, quasi non ci crede. Sui manager pubblici (forse anche privati) ci sarebbe da dire… ma per fortuna c'è qualcuno tra di loro che la carriera se l'è guadagnata e da ancora il buon esempio…

  4. beh io prendo 1200 CON i buoni pasto 🙂 siamo lì… preferirei averli in busta, ma va benissimo così altrimenti prenderei 1000 🙂
    per il resto io capisco, ma volevo porre l’accento sul fatto che è solo l’ennesima guerra tra poveri, il fatto che ci sia il “dagli allo statale” senza vedere più in là dello sportello vuoto. E poi ancora, non dico di non capire in larga misura questo scazzo degli sportelli vuoti. Mi interessava però evidenziare il fatto che se trovi gli sportelli vuoti è perché qualcuno più in alto degli sportellisti ha deciso così (troppo comodo attribuirlo al fatto che gli sportellisti han scarsa voglia)

  5. Ciao sono un calvinista,
    e come potrai intuire questa mia condizione mi fà essere contro l’homo statale.
    Sarebbe facile cadere nel luogo comune: non fate un cazzo, timbrate e andate a fare la spesa ecc ecc. Non credo sia così, o almeno non credo sia così per tutti. Ma penso che, in un mondo del lavoro sempre più votato al precariato, ai contratti di un giorno (giuro esistono), voi siate ancora una casta. Buoni pasto in alcuni casi imbarazzanti (io non ho buoni pasto e prendo 1290 euro al mese), 36 ore settimanali, possibilità di mutui agevolati, la sicurezza del posto di lavoro (di questi tempi non è poco).
    Però c’è un però. Secondo me avete dalla vostra, voi dall’altra parte della barricata, quello di aver sudato mesi, a volte anni per vincere un concorso. Insomma è come se aveste giocato a WINforLIFE e aveste beccato la combinazione vincente.
    Insomma bravi! Questo ve lo riconosco.

    Un calvinista invidioso
    🙂

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