FUORI FUOCO

Fuori fuocoEcco. La testa cade di lato, il respiro si fa più pesante. Il libro si apre e si poggia sullo stomaco, come una coperta di parole. È l’effetto della poltrona Poang dell’Ikea dopo pranzo. Favorisce naturalmente il sopore della digestione. Ma durante questo tipo di sonno meraviglioso, tutto resta vigile, anche se solo allo 0,01%.

I sensi continuano ad essere stimolati, dolcemente. La mente continua a lavorare, per conto suo, stupita e contenta di non avere nessuna coscienza a farle la guardia a dirle cosa fare, cosa pensare, come reagire. Una lieve brezza sfiora la pelle, arriva dalla finestra con i serramenti quasi del tutto abbassati, per tenere fuori il caldo ma non l’aria. La gatta dorme anche lei, con fusa sommesse e sospiri felini. Da fuori le macchine passano sul cavalcavia, un gruppo di bambini gioca nei giardini poco lontani, qualcuno suona un clacson ma è come se tutto fosse al di là delle nuvole.

Pochi metri più in là, una donna respira, persa in chissà quali sogni, mentre i capelli le si appiccicano al viso e la sua amata e odiata pancia sobbalza di quando in quando sollecitata dagli esercizi di stretching della creatura che ospita, un frutto segreto che vedrà la luce tra poche settimane. Anche per lui, come per me adesso, la realtà arriva filtrata da una bolla di liquido. Persino i consueti beep degli smartphone che tendono a illuminarsi o a vibrare punteggiando la giornata con finestre più o meno gradite, più o meno utili, sulle vite degli altri non hanno alcun effetto sulla mia immersione.

Nuoto in uno stato di incoscienza liquida, osservo la mia mente che – frenetica – continua a lavorare anche mentre dormo: sta scrivendo qualcosa di molto complesso, molto ampolloso. Percepisco i suoi pensieri come fossero parole vergate a mano con calligrafia antica su uno schermo posto dietro i miei occhi chiusi. La lascio fare e mi abbandono a un sorriso interiore. Ogni tanto quasi riaffioro. Quasi. Socchiudo le palpebre, una frazione di secondo fuori fuoco, il tempo di percepire una cifra digitale cambiare sull’orologio a parete. Ma non è ancora ora.

Le braccia formicolano (la mia posizione per addormentarmi prevede i polsi ammanettati, legati o comunque immobilizzati in qualche modo in alto dietro la testa). Le dita si sfiorano tra loro, io continuo a nuotare nelle profondità dei miei pensieri. Montagne di parole non dette, grotte rilucenti di immagini affascinanti, seni, cosce, labbra. Non mi soffermo su nessuno dei sogni che si affacciano dietro le quinte del lavoro della mente, per quanto piacevoli: non sono in uno stato di sonno profondo, e una parte di me lo sa.

Sa che bisogna svegliarsi, ma si abbandona ancora al flusso del sangue, dal cuore agli arti e ritorno. Le braccia si muovono da sole, si stiracchiano, le dita si scrocchiano tra loro. Inspiro profondamente, riporto la testa sul suo asse. Esito ancora ad aprire gli occhi, ma ormai ho ripreso il controllo. Le ciglia sono incatenate tra loro, si separano di malavoglia. La lingua passa sulle labbra secche. Voglia di bere. La realtà è tornata, col suo sapore amaro in fondo alla gola.

Ma per una ventina di minuti l’ho fregata.