DOGVILLE, UNA ROBA BRECHTIANA

Siccome qui il tempo non accenna a migliorare – anzi oggi ha pure grandinato – mi è sembrata la giornata ideale per una bella visione privata di Dogville di Lars von Trier. Chi mi conosce sa che io detesto cordialmente von Trier eppure nello stesso tempo lo ammiro. Non sopporto alcuni suoi film troppo pretenziosi e/o gratuitamente provocatori (Gli idioti, L’elemento del crimine, Europa) e amo alla follia altri film che evidentemente toccano corde profonde della mia sensibilità (Le onde del destino, Kingdom I e II, Dancer in the Dark). Mi lasciano indifferenti le sue furberie cinematografiche, extracinematografiche e metacinematografiche (il Dogma, esperimenti tipo Le cinque variazioni, che non guarderò mai per non dargli questa soddisfazione). Eppure, mi sono detto, oggi è la giornata adatta per Dogville. Le polemiche si sono assopite, tutti l’hanno dimenticato e io me lo guardo. Devo dire che pensavo fosse più "provocatorio". Il set teatrale non mi smuove nulla, tutta roba molto brechtiana. Il montaggio convulso nemmeno (molto Godard, comunque). Il tema, ovviamente è "forte", come in tutti i suoi maledettissimi film a tesi. Nonostante tutto, però, lo conto nel numero dei suoi film più riusciti. Compatto, coerente, ricco di sfumature (i "cambiamenti di luce di Dogville"). Sgradevole? Un po’. Neanche tanto, considerato che la visione dell’umanità (e dell’America) che ha von Trier si sposa perfettamente con la mia. Homo homini lupus (hehehe… gli studi classici servono)! Feroce? Molto. Probabilmente quello che serviva. Certamente meno insostenibile di altri suoi film. Nel complesso affascinante.