10 FILM PER FUTURE MAMME

Il grande evento si avvicina, ma sapete che può anche ritardare qualche giorno. Se, come futuri padri, siete stanchi di aspettare e volete anticipare in qualche modo l’arrivo dell’erede, avete un ventaglio ristretto di possibilità: sintetizzate ossitocina in casa e fate inalare l’ormone alla gestante; la portate in moto su strada sterrata; la spingete a camminare e fare scale ogni volta che è possibile; la portate sugli autoscontri… Oppure, le fate vedere uno di questi dieci film. Garantito che le contrazioni cominceranno già dopo qualche minuto. A meno che la vostra compagna non sia un amante dell’horror, nel qual caso non vi resta che lo sterrato.

ROSEMARY’S BABY
Il grande classico del filone demoniaco, con tanto di culla inquietante rimasta nell’immaginario popolare (nera con le ruotone, in pratica un modello di Inglesina anni ’70, motivo per cui non mi fido di quella marca, capacissima di portarti Belzebù in casa). In realtà è tutta la gravidanza di Rosemary ad essere un incubo, forse per via del fatto che il marito “vende” il suo pancione ad una congrega di streghe. E comunque alla fine basta uno sguardo del piccolo mostro per intenerire comunque la sbacalita neomamma che attacca con la classica ninna nanna horror

IL PRESAGIO
Quando vedi il piccolo Damien (ma basterebbe anche solo il bimbo odioso del film L’innocenza del diavolo, se è per quello) non puoi non pensare “e se poi mi esce così… così… Anticristo?”. Damien è il bimbo perfetto che tutte le madri vorrebbero, se non fosse per quell’invisibile coro di monaci salmodianti  che sembrano seguirlo dappertutto (quel simpatico ritornello “Sanguis bibimus, corpus edimus, tolle corpus Satani”, etc). Damien, diciamolo, porta anche un po’ sfiga, e provoca decise e persistenti contrazioni nell’utero della donna al termine della gravidanza. Per non parlare del fatto che attira un genere di tata decisamente poco raccomandabile.

BABY KILLER
It’s alive!  È vivo! Questo è il problema del bimbo deforme del mitico film di Larry Cohen (affettuosamente ritratto nell’illustrazione). La scena di parto all’inizio stabilisce il mood un po’ sanguinoso del resto del film: il piccolo zannuto e angiocraniuto è già capace di gattonare e di staccarsi il cordone da solo, dopodiché fa strage di ostetriche, ginecologi e un po’ di tutto il personale sanitario. Per quanto è possibile che questo sia il sogno segreto di molte puerpere, il mostro – ormai nascosto nelle fogne come un qualsiasi alligatore albino – deve morire. Aggiungiamo che la deformità del pupo sarebbe dovuta ad una sperimentazione sulle pillole contraccettive (il buon vecchio conservatorismo sessuale dell’horror americano) e che anche qui abbiamo l’Inglesina nel manifesto

IL VILLAGGIO DEI DANNATI
Qui i bambini sono un po’ grandicelli, ma sono tutti biondi, con gli occhi azzurri e un po’ cagacazzo. In una parola, sono ariani. Che poi è l’incubo del genitore medio italiano scuro di pelle e di capelli, avere un bambino ariano e precisetto. Cosa fanno i bambini del villaggio dei dannati? Beh, ma è semplice, controllano la mente degli adulti e li spingono al suicidio con un solo sguardo di quegli occhietti azzurrissimi! (Lo fanno anche i bambini di Grano rosso sangue, solo che loro all’istigazione al suicidio preferiscono le roncole e le accette). L’elemento più inquietante è che tutte le donne del villaggio restano misteriosamente incinte degli ariani senza aver avuto rapporti con nessuno.

CIMITERO VIVENTE
Stephen King gioca sull’incubo di ogni neo genitore: il camion tipo autoarticolato che ti prende sotto il bimbo che appena appena cammina e ovviamente già scorrazza sulla superstrada (Cimitero vivente è indubbiamente anche un film educativo da far vedere ai vostri pargoli: “Vedi che succede se non dai la mano alla mamma? Diventi zombie!“).  Il piccolo Gage (nome che a noi italiani suona inevitabilmente come “gaggio”) muore male, ma viene seppellito peggio, e infatti torna. E quando torna è peggio di Chucky la bambola assassina, ruba bisturi, ammazza il parentado e può essere fermato solo con un incendio purificatore. Elemento curioso: il film è l’unico girato da una donna.

LA BAMBOLA ASSASSINA
A volte vai in questi negozi di giocattoli e trovi dei pupazzetti un po’ inquietanti, tipo mucche con le mani a forma di stella, orsetti squartabili che si rivelano essere tutta pelle e niente imbottitura, carillon con faccine sorridenti che nella penombra hanno un che di minaccioso. Chucky fa parte di questo genere di giocattoli anche se non è un clown (io ho una paura fottuta dei clown, infatti non posso vedere Pennywise di It o il pupazzo di Poltergeist). Chucky è caruccio, sembra tanto il bambolotto che avevo io da piccolo, ma ovviamente dentro di lui c’è l’anima di un serial killer che ha fatto un rito voodoo nel negozio di giocattoli sotto casa dell’ignara famiglia di protagonisti. Quindi, oltre alla tossicità e alla sicurezza generale del giocattolo, vedete anche se ci sono fori di spilloni o roba simile…

ANTROPOPHAGUS
Cosa c’entra questo classico del trash-splatter-italiano di serie Z con i film a tema bambini? In fondo si tratta soltanto di un pescatore greco dentro l’isoletta greca che ha sviluppato un certo gusto per la carne dei suoi simili… Ah, ma certo! C’è la scena in cui l’Antropophagus del titolo afferra la giovanissima Serena Grandi incinta e le strappa il feto dall’utero per poi mangiarselo, in una delle scene più “simpa” del glorioso cinema de paura nostrano! Ovviamente si trattava di un coniglio spellato con un budellino applicato per sembrare il cordone, ma questa scena (e peraltro anche quella dove il protagonista si mangia le sue stesse viscere prima di schiattare) ha valso al film la censura totale in molti paesi. Per la cronaca, c’è anche la giovane Margaret Mazzantini che si fa squarciare il collo dal mostro. Alla faccia di “Venuto al mondo”.

TRAINSPOTTING
Breve la vita felice del nostro gruppo di tossici preferito: Renton, Sick Boy, Spud e Begbie (Tommy no, perché Tommy è triste e infatti muore male). Nell’allegra comitiva dei consumatori di eroina c’è anche Allison che sperimenta sulla sua pelle quell’incubo che prende un po’ tutti i genitori, e cioè quello di dimenticarsi talmente di avere un neonato in casa da accorgersi solo dopo ore o giorni che il pupo è morto. D’accordo, Allison ha l’attenuante del caso, dato che è perennemente fatta, ma dopo la visione del film (e in particolare della scena dell’incubo con la bambina morta che gattona sul soffitto) è garantito che andrete a controllare nella culla più volte o ritornerete alla macchina ripetutamente per controllare di non aver lasciato la progenie chiusa dentro!

SINISTER
Qui siamo di nuovo dalle parti dei bambini cattivi che sterminano tutti i membri della famiglia, solo che stavolta è un demone babilonese con la faccia di Gene Simmons (Bughuul, il “mangiatore di bambini”) a suggerirgli i metodi omicidi più creativi. A parte che Sinister fa venire le contrazioni anche a chi non ha l’utero, anche in questo caso abbiamo la morale educativa da SOS Tata: non permettete ai vostri bambini di disegnare sulle pareti di casa, altrimenti poi è chiaro che evocano entità demoniache difficilmente contrastabili.

BROOD LA COVATA MALEFICA
Uno dei film sulle gravidanze  più allucinanti mai concepiti, grazie alla maestria visionaria di David Cronenbergh. La protagonista in realtà non è incinta, ma semplicemente matta come un cavallo. Lo psichiatra decide di sperimentare su di lei la teoria della “psicoplasmia” che fa sì che la donna abbia una serie di gravidanze mostruose proiettando uteri pulsanti al di fuori del suo corpo. Ovviamente i bambini sono deformi prodotti della mente vestiti con piumini Moncler che vanno in giro a uccidere tutti quelli che vogliono male a mammina. Inadatto a gestanti dal carattere vendicativo.

SING IT OUT LOUD

Quando la realtà fa rivoltare lo stomaco e il PD fa di tutto per autofagocitarsi rendendosi altresì inviso alla sua base di elettori, c’è chi si suicida, chi vota M5S, chi si droga e chi come me evade in un mondo totalmente di fantasia. Preso dal disgusto, così sui due piedi, ho imparato col tempo ad andare nel mio “posto felice”, che è un angolo del mio cervello in cui i sensi sono bloccati e dove con battito lento e respiro profondo mi trovo in una sorta di scenario alla Blue Lagoon con cascatelle, sole, boschetti ameni e frinir di cicale. Quando però ne ho l’occasione, mi rifugio in un genere cinematografico che è il più implausibile, il più antirealistico e il più rassicurante di tutti: il musical.

Ora, io quando dico che sono appassionato di musical la gente mi guarda come se fossi pazzo e cambia discorso. D’accordo, il musical lo odi o lo ami, non è da tutti sopportare gente che all’improvviso si mette a cantare senza apparente motivazione. Ma chi lo ama ha anche le sue piccole preferenze di parte e qui vi voglio spingere alla visione con mente aperta e orecchie tese dei dieci musical della mia vita. Fare questa “classifica” è stato molto difficile, anche perché ho deciso di lasciar fuori i musical usciti mentre non ero ancora nato, che poi sono in assoluto tra i miei film preferiti di ogni tempo (parlo in particolare di Cantando sotto la pioggia e comunque di tutti quei meravigliosi film con Gene Kelly). Ma andiamo a incominciare…

1. The Rocky Horror Picture Show
Il fatto che questo sia stato il primo film che ho visto al cinema da piccolo (il secondo è stato The Blues Brothers) può dirvi qualcosa sulla mia personalità. Sul RHPS potete interrogarmi in qualsiasi momento, l’ho visto svariate volte al cinema e/o a teatro, una trentina di volte in VHS, DVD o Blu-Ray, ho il vinile da collezione picture-disc, il libretto degli spartiti dell’edizione teatrale originale e via dicendo. Il mio pezzo preferito? Qualunque brano in cui ci sia Frank-n-Furter (come Sweet Transvestite).

2. Little Shop of Horrors
Questo è montato negli anni, al momento della sua uscita l’avevo apprezzato più come film comico, ma riascoltandolo è un capolavoro di Alan Menken e Howard Ashman, futuri responsabili della rinascita Disney come sfornatori di musical animati a go-go (La Sirenetta, La Bella e la Bestia, Aladdin, Il gobbo di Notre Dame, etc).  La follia dell’abbinamento musical + horror (i due generi più antirealistici per eccellenza) mi ha sempre conquistato, e qui i pezzi di bravura sono tanti, da Skid Row a Suddenly Seymour a Feed Me, il pezzone blues con la pianta carnivora. Ma il mio preferito resta sempre Dentist! con l’immenso Steve Martin in giubbotto di pelle…!

3. Hairspray
Grasso è bello! Ci può essere un musical più adatto a me? Ovviamente no! Tratto da un copione di John Waters, il re mondiale del trash, Hairspray racconta una storia di tutti i giorni nella Baltimora degli anni ’60: la rivincita di una studentessa sovrappeso la cui unica e più grande aspirazione è quella di ballare in un programma televisivo e sconfiggere al tempo stesso la cultura dominante razzista e benpensante. La protagonista Nikki Blonsky è una bomba assoluta, ma purtroppo se ne sono perse le tracce. Vedere Good Morning Baltimore per credere.

4. The Blues Brothers
La mia ridente infanzia è segnata da film come questi, dove mille macchine della polizia di Chicago si spatasciano gioiosamente le une contro le altre, dove le pinguine bacchettano Jake e Elwood sulle nocche e dove la “Cadi” viene venduta per pagare una cauzione. Chi non sa a memoria le battute di The Blues Brothers non è degno di continuare a leggere questo post. Nel frattempo, diamo una ripassata all’esibizione più esilarante della band, nel locale di cowboy a fare i finti honky-tonk con Rawhide!

5. Jesus Christ Superstar
I bambini della mia generazione avevano due punti di riferimento religiosi: il Gesù di Nazareth di Zeffirelli (ancora adesso mia madre ama raccontare che, annoiato dalla visione troppo tirata in lungo io avrei esclamato “Mamma, ma quando lo ammazzano?!?”) e Jesus Christ Superstar, che nel mio animo di giovane hippy faceva molta più presa. Giuda negro, messaggio politico sulla Palestina e decine di canzoni culto tra cui una delle mie preferite: What’s the buzz, featuring il Cristo, S. Pietro e Giuda.

6. Moulin Rouge!
Chi non ha pianto vedendo Moulin Rouge! è un senza cuore. Qui si rischia l’effetto zucchero candito, per il vezzo di trasporre una manciata di pezzi pop conosciutissimi nel contesto di una storia al tempo stesso belle époque e postmoderna. Ma Baz Luhrmann si mantiene sempre sul filo del rasoio, offrendo numeri e performance incredibili, come il tango su Roxanne o la dichiarazione-patchwork di canzoni sul tetto del locale. Qui sono di parte, e il mio pezzo preferito è Your Song cantata stupendamente da Ewan McGregor sullo sfondo di una luna alla Méliès.

7. Hair
L’ho visto per la prima volta già un po’ cresciutello, a una retrospettiva su Forman. Ma non c’è dubbio che Hair rientra nei primi dieci, non foss’altro per il look scalcagnato dei protagonisti, per il messaggio antimilitarista, per le coreografie deliranti di Twyla Tharp e soprattutto per pezzoni indimenticabili che ancora oggi fanno parte del mio repertorio da “cantando sotto la doccia” come Aquarius… Ricordiamo che l’era dell’Acquario è appena cominciata, il 21 dicembre 2012.

8. Grease
Gli amanti del musical della mia età non possono prescindere da ripetute visioni di Grease, di cui ogni sequenza è stata analizzata, vista e rivista, in italiano e in inglese, in avanti e a rovescio. Peccato purtroppo che, a causa della sua enorme diffusione, Grease sia anche il musical più rappresentato dalle compagnie improvvisate da villaggio vacanze, ma tant’è. Riguardiamoci una delle chicche più sottovalutate del film: There are worst things I could do della mitica Rizzo (che ha una pagnotta nel forno).

9. Rent
Anche questo è un musical che mi ha contagiato tardi. Troppa Bohème, troppo AIDS, troppo dramma, e io in genere preferisco l’allegria. Però c’è Rosario Dawson in tutto il suo splendore, c’è New York bella come e più che in West Side Story e poi ci sono dei pezzoni clamorosi come Seasons of Love, Tango: Maureen o la supersexy Light My Candle che è una delle metafore per trombare più deliziose mai viste in un musical (e poi rimarchiamolo, c’è Rosario Dawson on all fours)…

10. Cabaret
Ci starebbe anche All That Jazz, che è il più felliniano dei musical (dimentichiamo l’orribile orribile “9”). Ma Cabaret è un altro di quei film che hanno segnato il mio immaginario, soprattutto per quel che riguarda la figura femminile. Da piccolo non capivo la storia (non a caso era definito il primo “musical adulto”), ma sapevo farfugliare tranquillamente tutte le canzoni gigioneggiando come Joel Grey nel ruolo del maestro di cerimonie del Kit-Kat. Il mio pezzo preferito resta Mein Herr, per il famoso balletto sexy con la sedia…

Fuori classifica ci sono i guilty pleasures: quei musical che nessuno ammetterebbe mai di aver visto, mentre io vi dico con malcelato orgoglio trash che non solo li vedo e li rivedo periodicamente, ma ne conosco a memoria la maggior parte dei brani e sono in grado di cantarveli senza particolari problemi. Come ad esempio Tutti insieme appassionatamente o Mamma Mia.

In ogni caso, so già quale sarà la vostra risposta. Alcuni (pochi) canticchieranno tra sé e sé canzoni reinterpretate molte volte. Altri diranno “mai e poi mai mi piegherò a vedere film dove cantano guardandosi negli occhi” (ma sono sicuro che almeno Grease e i Blues Brothers li avete visti tutti). Sappiate solo che se il film “di genere” è per l’adulto rassicurante tanto quanto il cartone animato oggetto di ripetute e sfinenti visioni da parte del bambino, il musical è il genere più rassicurante di tutti.

E poi nella vita c’è sempre una buona occasione per prorompere in un tristissimo blues o per farsi un balletto improvvisato. Se no che gusto c’è?

LE TEMPS DE L’AMOUR

I love you, but...C’è da dire che quando proclamo in giro anche a chi non ha il minimo interesse ad ascoltarmi che Moonrise Kingdom è il film dell’anno (ma per me, oserei dire, di brutto anche uno dei cult della vita) ottengo reazioni contrastanti. Chi lo ha amato tantissimo e chi l’ha trovato una cagata pazzesca. Ora, io vi voglio bene lo stesso, anche se sputate su Wes Anderson e sulle sue piccole manie. Ma se avete amato il film sapete di cosa sto parlando.

Piccoli accumuli di oggetti, situazioni, frasi, contesti. Frammenti di un limbo surreale tra infanzia e età adulta che alcuni di noi condividono, e che ci è rimasto un po’ appiccicato dentro.

Un film come Moonrise Kingdom non fa altro che dirci “Ehi, ti ricordi di noi? Siamo i tuoi frammenti appiccicosi! Forse la prima rata del mutuo ti ha costretto a relegarci lì, in un angolino buio, ma noi siamo sempre qui, e segretamente governiamo ogni tua emozione”. Io, per dire, se dovessi fare un film wesandersoniano, lo ambienterei a cavallo tra il 1980 e il 1981 e ci metterei dentro questi frammenti qua (cliccare per approfondire, magari ascoltando questo pezzo in sottofondo):

  • una collezione di view-master e dischi cartonati per view master
  • un mangiadischi a 45 giri che preveda in dotazione almeno “Amoureux Solitaires” e “Paradise
  • una collezione di riproduzioni di monete antiche romane, ellenistiche e persiane
  • una serie di libri di Peter Kolosimo (il Giacobbo di noi settantini)
  • pantaloni di panno pied-de poule e gilet smanicati di lana
  • una serie di adesivi promozionali del brand Sinclair (ZX80, ZX81 e Spectrum)
  • gli adesivi fustellati dell’Editoriale Corno o di Alan Ford
  • poltrone in velluto color vinaccia
  • una soffitta in cui passare il tempo a toccarsi con compagni e compagne di scuola (*)
  • una cantina labirintica in cui perdersi
  • risse epocali con le bande da cortile
  • un certo numero di pallonate in faccia prese stando in porta dopo essere stato scelto per ultimo in squadra
  • pericolosi ragazzini sardi che si avvicinano minacciosamente al protagonista
  • fascicoli ciclostilati di inni sacri da imparare a memoria per il catechismo del mercoledì pomeriggio
  • una pila di vecchie riviste pornografiche nascosta nella sede AGESCI di zona
  • una collezione di granchi vivi di dimensioni da minuscolo a ommioddio
  • capelli sempre incrostati di sale
  • ghiaccioli a 200 lire gusto anice e tamarindo
  • cabine da spiaggia in cui passare il tempo a toccarsi con gli amici e le amiche del mare (*)
  • costumi a slippino, un tot
  • libri polverosi con illustrazioni risalenti al secolo precedente
  • un diario talmente pieno di bigliettini, commenti e chiose altrui da sembrare un Facebook ante litteram
  • una serie di bambole di pezza dall’innocuo all’inquietante
  • una serie di Big Jim e GI Joe impiccati
  • snack inusuali come le pesche nel barbera o il rosso d’uovo nel caffé nero
  • tirare i sacchetti della spazzatura nel fiume (antiecologico, lo so, ma non esistevano i cassonetti)
  • una radura nei boschi in cui passare il tempo a toccarsi con le cuginette e i cuginetti (*)
  • un certo numero di proto-videogames come questo
  • almeno un’apparizione di Carlo Massarini vestito di bianco
  • album di figurine di ogni tipo compreso almeno un esemplare dove le figurine profumano se grattate
  • una collezione di calendarietti profumati con le donne nude (il barbiere te li regalava se non facevi casino)
  • gli occhialini 3D quelli immortali blu e rossi
  • sigarette trovate per strada e fumate di nascosto fino a vomitare
  • qualche sequenza animata di Hiroshi Sasagawa o di Leiji Matsumoto
  • i film di Mario Bava, Umberto Lenzi, Antonio Margheriti visti di nascosto (Fulci è arrivato un po’ dopo)
  • gabinetti alla turca, vespasiani o gabinetti comunque fuori casa, freddi e scomodi
  • magliette con pubblicità di medicinali
  • occhiali finto tartaruga con montatura “per la crescita”
  • un tubetto di caramelle PEZ
  • una collezione di caleidoscopi
  • un quaderno dove annotare le collezioni di qualunque cosa
  • un quaderno dove annotare i sogni e gli incubi
  • una serie di paurosi armadi in legno scuro
  • un certo numero di scatole in cui accumulare oggetti che non fanno parte di nessuna collezione ma vanno comunque conservati

Alcune di queste cose le conservo ancora con me, altre restano solo in memoria…
E mi fermo qui, non per mancanza di frammenti, di oggetti, di situazioni, ma perché rischierebbero di prendere il sopravvento.
Potrei pensare di calcarmi un cappello di pelliccia sulla testa e darmi alla fuga.

(*) Nel 1981 in effetti passavamo la maggior parte dei pomeriggi in questo tipo di attività, ma non temete: dovendo mostrare queste situazioni, proprio come nel film di Wes Anderson, ci sarebbe un’ellissi temporale e/o uno stacco di montaggio per evitare di incorrere nella censura. Anche se mi domando cosa i censori pensano che possa escogitare un gruppo di preadolescenti lasciati a sé stessi per passare il tempo, se non quello.