Per due volte di seguito mi è capitato di andare al Romano, uno dei più vecchi cinema di Torino. Ricordo ad esempio di averci visto Ed Wood e qualche altro film di richiamo ma sempre indiscutibilmente "autoriale" (il Romano non si abbassa al nazionalpopolare, di solito). Prima ancora, di sicuro, ci avevo visto qualche Disney della mia infanzia (Robin Hood, Il libro della giungla). Recentemente ci ho visto due film diversissimi ed entrambi mi hanno colpito per motivi vari. Looney Tunes Back in Action, ad esempio. Non è il pacco preconfezionato per bambini (nel senso deteriore del termine "bambini") che molti pensano. Intanto è un film di Joe Dante, e solo lui poteva ereditare il delirio visivo e animato di Chuck Jones e compagni. Al contrario di Spielberg e Lucas, Dante è anche lui uno che di intrattenimento se ne intende, ma non per questo rinuncia ad essere – per quanto gli è concesso – politicamente scorretto (penso a Small Soldiers, Matinée, La seconda guerra civile americana). Di solito gli tappano la bocca, ma in questo caso la scelta non poteva che cadere su di lui. Se poi si amano i personaggi delle Looney Tunes – a questo punto è certo che il film va visto, loro ci sono tutti, da Wile E. Coyote a Marvin il Marziano. Trama inconsistente da cartoon ma gag irresistibili: in fondo è questo che si chiede a questo tipo di film. Io ho sghignazzato scompostamente dall’inizio alla fine. La scena-citazione dei mostri della fantascienza anni ’50 è uno sfogo di nostalgia per il regista e per il suo pubblico. Steve Martin, tra gli attori in carne ed ossa, è impareggiabile. Così come Bill Murray in Lost in Translation, un altro piccolo capolavoro che ho visto ieri, diretto da Sofia Coppola (God, how I love that woman). Inizio geniale sulle mutandine rosa di Scarlett Johansson, finale ancora più geniale con l’amore "non detto" e i Jesus and Mary Chain (chi, chi ha mai concluso un film con i Jesus and Mary Chain?). In mezzo, carrellate su Tokyo – protagonista del film assieme ai due personaggi fuori posto e fuori fase dell’attore in crisi di mezza età e della giovane sposa filosofa. Tra un karaoke e un po’ di sesso alla giapponese, una serie di piccole prese in giro forse un po’ troppo "mai dire banzai" ma in definitiva sommesse e sempre molto divertenti. Dalle gag di Murray al romanticismo, alla lacrimuccia. Incredibile Murray che canta More than this di Bryan Ferry, sconvolgente Scarlett Johansson che da sola è più gnocca di tutte le sorelle Lisbon del Giardino delle vergini suicide…
CHI SONO QUESTE PERSONE CHE MI SALUTANO?
Giorni bastardi. Volevo fare ancora qualche considerazione sul cadavere tenuto in vita del cinema hollywoodiano (yep! E’ morto il 20/06/1975) ma non ho proprio avuto tempo. Troppo da imparare, troppo da fare. In compenso mi accade una cosa stranissima. Da qualche giorno, segnatamente dopo le feste, mi capita di incontrare persone che sono convinto di conoscere ma che non ricollego a nessun nome e/o situazione. Eppure devo conoscerle per forza, perché queste persone mi salutano. Io saluto loro, sorrido, e fatti due passi mi chiedo dove mai potrei averle viste prima. E’ parecchio inquietante, sul serio. Ho anche pensato di essermi bruciato gli ultimi neuroni durante le festività, ma riesco ancora ad organizzarmi e a non dissolvermi in un numero imprecisato di rivoli di coscienza, quindi sono ancora sano. O no? Comunque mi fischiano le orecchie, ogni volta che penso a questi volti che mi salutano e che io non riconosco. Comincio a sentirmi come Edward Norton insonne in Fight Club…
FREE VOICES GOSPEL CHOIR
Io sopporto poco il gospel. Lo dico perché sono partito prevenuto da questa idiosincrasia. Siamo andati a vedere la Raffa che cantava. Io più che altro per controllarla e vedere se si muoveva bene in mezzo alle altre 70 persone del coro. Invece, è stato piacevole. Mi spiego, io odio il gospel stile Sister Act, quello dei melensi Oh, Happy Day – insomma, il gospel da pubblicità televisiva tirato fuori dal cappello nazional popolare del Natale allegro e scintillante. Però mi rendo conto della bravura e della fatica, e dell’impegno delle persone. Al concerto c’era il coro dove canta Raffa (il Free Voices Gospel Choir) e un altro coro di Firenze (il Joyful Singers Gospel Choir). I primi vestiti con i classici tuniconi scintillanti (un particolare che non mi va molto giù, ma fa folklore), parecchio trascinanti e diretti molto bene. I secondi più contenuti come numero, tecnicamente più bravi. Entrambi i cori hanno un ottimo stile, fanno pezzi non troppo conosciuti (e se li fanno li arrangiano in modo originale) e tutto sommato si fanno applaudire alla grande. Lo dico nel caso venissero in concerto nella vostra città. Meritano. Unico scivolone il finale proprio con Oh, Happy Day, che di tutti i pezzi gospel è quello che sopporto di meno (lo supera forse solo Chariot, che mi ricorda il faccione inquietante di Whoopi Goldberg). La Raffa però non ha ancora imparato a fare i gesti tipici del gospel, quella maniera un po’ esagerata di portarsi la mano al cuore, di agitare le dita in aria e in sostanza di fare la scena di quello che "ha visto la luce" – in questo è ancora troppo piemontese, e quindi sottotono. Gliel’ho detto mentre lei ci spingeva ad imbucarci alla festa con rinfresco finale dei cori uniti… saremo anche stati in molti, ad essere imbucati, ma ho avuto la netta sensazione che la direttrice dei Free Voices mi guardasse con sospetto mentre mi ingozzavo di panini al salame e torta di ricotta…