SPREMUTA DI REALITY

Perché, perché il trash televisivo non ha mai fine? E soprattutto perché mi lascio sempre attirare dall’abisso? Che povertà di idee, poi… Hanno deciso che il reality è il tipo di show che va sfruttato fino a spremerne l’ultima goccia e ci devono propinare anche La Fattoria. Il reality era già vecchio dopo il primo Grande Fratello. Morto un esperimento, perché ripeterlo? Come sempre, pseudo vip in cerca di notorietà, ambiente ostile, sfide, premi in termini di comodità, eccetera. L’unico motivo per guardare La Fattoria è il ritorno di Daria Bignardi, per la quale ho un debole smisurato!!! La partecipazione di intellettuali di calibro come La Pina, infine, mi convince che La Fattoria non è un programma come gli altri. Da un lato, gli spettatori più anestetizzati hanno potuto vedere la nascita di un vitellino, cosa che purtroppo potrebbe non capitare mai dal vivo. Dall’altro, La Fattoria soddisfa i desideri più bassi del popolino che lamenta a gran voce "A lavorare nei campi, dovrebbero andare, questi vip"! Temo che durante la prossima stagione televisiva arriveremo a "La Fabbrica", con Cristiano Malgioglio, Otelma e Paolo Crepet costretti a lavorare in catena di montaggio

IL SAPORE DELICATO DEL WASABI

Mangiare giapponese con il nastrino che passa tra i tavoli e i piattini di sushi da prendere è deleterio per la mia ventrazza e per il mio portafogli. Mi sono strafocato abbestia di pallotte di gambero crudo, tonno crudo, salmone, polipo, cazzilli di pollo e boccette di riso. Indubbiamente è un modo di mangiare divertente, soprattutto perché puoi assillare gli amici più vicini al nastro trasportatore urlandogli frasi inarticolate tipo "Dai, dai, presto prendi il wasabi!!!" oppure prendere di nascosto una ciocca di capelli lunghi della tua vicina e infilarla nel nastro trasportatore… per vedere di nascosto l’effetto che fa! 🙂

RESTA LA MAGLIA DEGLI AFRICA UNITE

Sono mesi che volevo farlo. Eppure rimandavo. Il mio armadio, i miei cassetti, straripano di indumenti risalenti a 10 anni e 20 chili fa. Dalla giacca spruzzata di candeggina alla maglia dei Sonic Youth, dalle improbabili t-shirt stile "Italians do it better" alle camiciole semitrasparenti stile indiano. Dal maglione stile "Mark Darcy al party di Natale di Geoffrey e Una" all’ultimo calzino bucato di spugna bianca (mai più messi, ma testimoniano la gloriosa epoca del calzino bianco). Dalle striminzite giacche a vento primaverili agli spolverini neri usati in un’unica occasione (travestimento da Corvo, miglior maschera di Halloween nel 1994). Fino ad arrivare al fedele e stracciato giacchetto di jeans e al maglione nero sformato (risalenti circa a 18-20 anni fa). Il valore sentimentale ha lasciato vivere qualche maglietta di quelle "da mettere in casa quando fai i lavori". Nulla di più. Del resto, si tratta di cose che non guardo mai, non metto mai (ci mancherebbe – non ci sto dentro). Eppure fanno una certa impressione quei quattro o cinque borsoni accumulati vicino alla porta d’ingresso, pronti per finire nel limbo dei cassonetti degli indumenti usati. Si potrebbe definire questo repulisti come un voltare pagina. Eppure non è così. Purtroppo, o per fortuna, a casa mia si volta pagina ogni giorno. Svuotare armadi e cassetti è stato un ottimo diversivo, ma in fondo simile a quando stai leggendo un romanzo lunghissimo e torni per curiosità al capitolo iniziale. La coloratissima maglia degli Africa Unite (A.D. 1991), però, resta. Appiattita in fondo ad un cassetto. Come una piega fatta sull’angolo della pagina, per non dimenticare.