somersault

Quando le facevi tu mi sembravi una palla di neve che scendeva dalla collina. Ti arrotolavi su te stessa tre, quattro volte di seguito e ti fermavi in quel mucchio di foglie secche vicino al muretto. Io ero terrorizzato che tu ti potessi rompere il collo schiantandoti su quella barriera di pietra nuda, ma quando ti rialzavi bullandoti per la riuscita della tua capriola non potevo farne a meno. Dovevo ripeterla, e farti vedere che ci riuscivo anche io. Che ci riuscivo meglio di te. Tutto il pomeriggio. Finché non ci chiamavano dai balconi, e tu mi stringevi la mano per farmi restare lì, accucciato dietro al muretto, per non farci vedere. Perché volevi stare finché faceva buio. Perché solo nel buio potevamo essere i sovrani del castello. Un mucchio di rovine invase dall’edera che chissà come avevamo scovato sull’altro versante. Stare distesi lì a tentare di distinguere Venere nella tavolozza del tramonto mi piaceva. Certo, mai quanto stare vicino a te e passare il tempo a maledirmi per non trovare il coraggio di baciarti. E quando ci pensavo, ti giravi verso di me come se capissi e mi sorridevi. Merda. Questo penso, quando torno al castello. Ci sono ancora i nostri graffiti, e c’è anche la scatola di latta dove avevamo chiuso i nostri desideri. L’ho trovata spostando la pietra più arrotondata. Incredibile che non l’abbia mai scoperta nessuno. Eravamo solo noi allora e siamo solo noi adesso, credo, a conoscere il posto. Tutti questi saliscendi, ad essere sincero, non li ricordavo. Il fisico non è più quello di una volta, ma me la cavo lo stesso. Nuvolette di fiato, come quella volta. Dove il torrente faceva la pozza. Ti sono sempre piaciute le sfide. A me no. A me piacevi tu, ma l’unico modo che trovavo per starti vicino era stare al gioco. E il bagno nella pozza era un gioco pericoloso. L’acqua non era nemmeno poi così fredda. Mi lasciava la giusta lucidità per vederti luminosa come una stella, per dirti di arrivare fino alla roccia dei tuffi. Le solite sfide. Alla roccia dei tuffi non ci sei mai arrivata, e io non ho mai capito cosa ti avesse tirato giù. Non ho voluto capirlo, anche se c’era chi me lo voleva spiegare a tutti i costi. Non ho voluto più vederti, non così. Nella scatola di latta ci sono due biglietti, un po’ ingialliti. Sul mio, la cosa più ovvia. Volevo solo che quelle sfide non finissero mai. Che fossimo per sempre i sovrani del castello. Apro il tuo con delicatezza. “Voglio arrivare su Venere con te”. Un’ultima sfida che hai vinto a metà.

2 risposte a “somersault”

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