capitolo 3

Le notizie del mattino
Traduzione: Raffaella Chiaretta

Il sole del mattino si diffondeva nel soggiorno e l’aria che penetrava attraverso la finestra aperta dello Chalet Lupin era tiepida, ma leggera e frizzante. Chalet Lupin era il nome che i genitori di Remus gli avevano dato anni prima ed in effetti sembrava proprio una capanna con tutti quei muri e pavimenti in legno. Dava un’impressione completamente diversa dai dormitori in pietra di Hogwarts e non aveva niente a che fare con la precaria e cadente comodità della Tana. Eppure sembrava tutto molto naturale, qui. A Ron piaceva. Si fermò sulle scale, contemplando sonnacchiosamente il soggiorno e sorridendo per nessuna ragione evidente.

Ron immaginava che anche il villaggio di Stagsden gli sarebbe piaciuto, sebbene non avesse ancora avuto la possibilità di verificarlo. Era lì da un giorno soltanto, dopotutto. Ma Remus aveva raccontato loro tutto su di esso durante il pranzo del giorno prima, e sembrava proprio perfetto. Non era un insediamento unicamente di maghi (Hogsmeade era l’unico in questo senso in Gran Bretagna) ma Remus aveva assicurato loro che erano abbastanza al sicuro anche usando la magia in pubblico e che potevano ordinare tranquillamente burrobirre al pub senza essere guardati male. La maggior parte dei Babbani del villaggio, di cui lui sapesse – aveva detto – erano sposati con maghi o streghe e dall’altra parte del paese c’era persino un campo che gli abitanti qualche volta utilizzavano per una partita di Quidditch improvvisata.

Il Quidditch. Ron sorrise a sé stesso un’altra volta, fece il resto delle scale e attraversò il soggiorno, dirigendosi verso la cucina. Si preannunciava come un’estate stupenda, se avesse potuto esserci anche il Quidditch. Era passato un sacco di tempo da quando aveva potuto stare su a mezz’aria e giocare senza timore di essere attaccato, o almeno senza il timore che Harry fosse attaccato. Ma ora era finita. Era tutto finito. Ci sarebbe stato tempo per le cose importanti. Come il Quidditch.

Come Hermione.

Ron si bloccò fuori dalla porta della cucina. All’interno sentì un debole mormorio ed un voltare di pagine e sorrise, sentendo un leggero rimescolamento nello stomaco. Hermione era lì, e probabilmente era sola – non aveva sentito nessuno alzarsi dal letto, ancora. Aspettò un attimo prima di entrare e si guardò: pantaloni del pigiama, t-shirt, piedi nudi; si passò una mano tra i capelli. Era un disastro. Stava già voltandosi per andare a cambiarsi ma poi realizzò, e rise con se stesso perché si era reso conto. Non era come se Hermione non l’avesse mai visto in disordine. Questo era parte del motivo che rendeva la cosa così straordinaria. A lei non importava.

Spinse la porta per aprirla e il suo sorriso si allargò. Lei stava in piedi con la schiena girata verso di lui, ancora in camicia da notte e vestaglia e i suoi capelli marroni erano un groviglio sulle sue spalle. Teneva la sua bacchetta magica sollevata e scrutava un libro di cucina magica che era aperto sul ripiano, parlando sottovoce a se stessa.

“E’ così..? No, non è così…O sì? Indice, indice…..”

Non aveva sentito la porta. Era completamente assorta – come sempre quando c’era un libro aperto davanti a lei. Ron ne approfittò per arrivare in silenzio fino a lei, fermarsi, avvicinarsi al suo orecchio.

“Ti sei alzata presto.”

Hermione strillò e ruotò su se stessa con la mano sul cuore e puntando la bacchetta.

“Ron! Non devi spaventarmi in questo modo!”

“Non c’è problema. Come vorresti che ti spaventassi, allora?”

Lei sbuffò. Lui sorrise. Questa era la cosa che gli piaceva di più al mondo; era bravo a farlo. Infastidire Hermione. Non poteva immaginare un modo migliore per incominciare la giornata, e si godeva il fatto che erano soli – non soli nella sala comune dei Grifondoro, o nella Sala Grande – ma soli soli, e ancora in pigiama. Insieme. Come prima cosa al mattino. Era incredibilmente liberatorio.

“Dai, sono serio,” disse Ron, facendo un passo avanti e mettendo la sua mano leggera sulla sua vita. Era strano fare questo e si sentì molto audace. Anche se sapeva di poterlo fare, anche se avevano questa fiducia reciproca, ed anche se lei stava mettendo il suo braccio intorno al suo collo e lo guardava negli occhi…. era una cosa molto nuova e molto sorprendente. Specialmente dal momento che aveva scoperto che era difficile scherzare con Hermione che lo guardava così intensamente. Non riusciva sempre a trovare la voce. Ed ora lei stava giocherellando con i capelli sulla sua nuca e lo aveva fatto solo una volta o due prima. Chiuse gli occhi e sperò che ci potesse essere più tempo per queste cose ora.

“Questa sarà finalmente un’estate tranquilla,” sospirò lei. “Vero?”

“Sì, lo sarà.” rispose Ron risoluto. Meritavano un’estate tranquilla. Una bella, lunga pausa da tutto. Potevano parlare di cose normali, potevano rilassarsi, finalmente. Ron guardò oltre la spalla di Hermione al libro magico. “Cosa stavi facendo?” chiese. “Cucinando?”

Hermione si accigliò un po’. “Beh, volevo preparare colazione, sono sicura che è molto facile, ma… sai Ron, è strano, io ero Pietrificata quando voi facevate applicazioni pratiche di Incantesimi Culinari a scuola, e avevo pensato di fare pratica da sola, ma non ho mai fatto l’esame… e forse è perché sono nata Babbana e non ho mai visto usare tutto ciò, ma… non so fare niente.”

“Non avrei mai pensato di sentirti dire una cosa simile.”

“Oh, smettila.”

Ron continuò a tenerla per la vita mentre lei si sollevava sulle punte dei piedi, tenendosi alle sue spalle. Lo baciò rapidamente. Lui cercò di coinvolgerla in un bacio più profondo, ma lei si scostò e guardò oltre la spalla di lui alla porta. “Non in cucina, Sirius scenderà tra poco, credo di averlo sentito alzarsi.”

“Dove, allora?” disse lui eloquentemente.

“Ron.”

“Hermione.” Lui sollevò un sopracciglio guardandola. Lei si morse il labbro e guardò di nuovo oltre la spalla di lui.

Sarebbe stata davvero una bella estate e a Ron venivano in mente ben poche cose che avrebbe voluto fare oltre a trovare un posto tranquillo con Hermione per recuperare il tempo perso. Avevano perso un sacco di tempo. E se lei era andata avanti sulla linea per cui le ragazze dormivano in una stanza e i ragazzi in un’altra… Beh, Ron non poteva darle torto a questo proposito, veramente. Anche se sarebbe stato bello stare in stanza con Hermione, sarebbe stato anche… strano. Specialmente dato che tutti l’avrebbero saputo. Per non parlare del fatto che non avrebbero dato molte possibilità a Harry e Ginny, anche se Ron aveva la strana sensazione che quei due avessero in corso molto più di quanto Harry avesse mai lasciato intendere…

Beh, riflettè, anche se fosse stato così, non c’era bisogno di saperlo proprio adesso. Era meglio lasciare la sistemazione delle stanze come stava.

Ma ciò non significava che lui dovesse stare lontano da Hermione anche tutto il giorno. Lei era ancora lì in piedi, con il labbro tra i denti, sembrava non riuscire a decidere se permettergli oppure no di baciarla in cucina. Decise lui al suo posto, piegandole la testa per baciarle teneramente il labbro morsicato. Lei fece uno buffo rumorino, un rumorino che lui adorava. Poi, come se si fosse decisa a proposito della situazione, si ritirò rapidamente e si voltò su se stessa tra le sue braccia così da avere di nuovo il libro di incantesimi davanti.

Ron sospirò rumorosamente, ma rinunciò a baciarla per il momento e rimase in piedi dietro di lei tenendola per la vita.

“Allora, è Fluos…” continuò lei dopo un attimo. “Oh, ma certo che è così, deve essere così, è ridicolo, non dovrebbe essere affatto difficile, ho fatto milioni di incantesimi più difficili di questo al primo tentativo.”

“Cosa stai cercando di fare?”

“Solo del caffè”

“Tu bevi caffè?”

“No, ma…”

Ron la sentì appoggiarsi contro di lui. La guardò abbassare la bacchetta. Quando riprese a parlare la sua voce tremava leggermente. “Sarà una cosa stupida. So che è stupido… ma credo che volessi sentirne solo l’odore. La mia casa odorava sempre di caffè al mattino, in estate…” La sua voce si era fatta sempre più debole fino a scomparire del tutto.

Ron strinse le braccia intorno a lei e mise il suo viso nei suoi capelli desiderando di poter fare qualcosa. Certo, Hermione sentiva la mancanza di casa. Sapeva quanto le mancassero i suoi genitori.

“Staranno bene” le disse con voce profonda e risoluta. Lo aveva già detto centinaia di volte, ma ancora non sapeva se uno di loro due ci credesse veramente. Grazie ad un attacco premeditato e molto particolare di Lucius Malfoy, i Granger si erano ridotti nello stesso stato dei genitori di Neville Longbottom, nell’ultimo anno e mezzo. Sin dal Natale del loro sesto anno, il signor e la signora Granger erano rimasti nell’ospedale dei maghi, incurabilmente pazzi. San Mungo non era nemmeno lontanamente più vicino a trovare un rimedio per quei danni cerebrali causati dalla maledizione Cruciatus di quanto lo fosse sedici anni prima, quando la cosa era capitata ai Longbottom.

Hermione annuì. “Lo spero,” disse piano.

“Vuoi vederli presto? So che non c’è stato molto tempo per questo negli ultimi mesi.”

“Si, certo. Lo voglio. Certo.”

Ma sebbene le parole di Hermione fossero risolute, il tono non era convincente. Ron pensò di conoscerne il motivo. Hermione, l’anno prima, gli aveva detto che nonostante avesse piacere di stare con i suoi genitori, si sentiva inutile quando li vedeva. Ciò la faceva arrabbiare. Aveva esclamato che la faceva sentire così impotente vederli agghiacciati dalla paura che non avrebbe più voluto vederli. “Certo non li abbandonerò mai,” gli aveva detto frettolosamente tra le lacrime. “Ma Ron, non voglio vederli mai più in quello stato.

E tutto ciò che lui era stato in grado di fare era stato stare lì e cullarla tra le braccia, come stava facendo ora. Stare lì e cullarla – e odiare i Malfoy con tutto il cuore.

“Appena avremo le nostre Licenze di Materializzazione ci voglio andare,” stava dicendo. “Ma non devi venire con me se non -”

“Certo che verrò con te.” Era andato con lei, avanti e indietro, dozzine di volte l’estate prima. Verso la fine dell’estate, anche Harry ci era andato. A causa della condizione dei suoi genitori, Hermione aveva passato l’intera estate alla Tana con i Weasley, dividendo la stanza con Ginny. Ron non l’aveva mai lasciata andare all’ospedale da sola allora e non aveva intenzione di farlo ora. Piangeva dopo ogni visita. “Possiamo andare giù e stare con la mamma ogni volta che vuoi. Tutte le settimane, se ti va. Tutti i giorni. Basta che tu lo dica. E non dobbiamo aspettare le licenze. Se vuoi usare la Polvere Volante possiamo andarci anche oggi.”

“Grazie,” disse lei con voce smorzata, voltandosi rapidamente verso di lui. Lui si chinò sulle sue spalle e la baciò prontamente per consolarla. Lei rispose al bacio con la stessa intenzione. “Però voglio aspettare. Non ha … non ha senso stare lì. Non sanno che ci sono. Io…. vorrei aspettare.” Si fermò e si strinse le braccia di lui attorno a sé. “E andremo insieme a visitare la pietra commemorativa, mentre siamo a sud. Possiamo andarci tutte le volte che vuoi. Basta che tu lo dica a me. Va bene?”

Ron le diede un altro bacio dolcemente, al posto del grazie, e premette il suo viso contro il collo di lei. La pietra commemorativa era per Percy. Dopo che i Mangiamorte avevano assassinato Percy a febbraio, il suo corpo non era stato ritrovato. Era ancora uno shock. Ron non era mai stato molto vicino a Percy, ma questo non aveva importanza. Percy era suo fratello. Era stato suo fratello. Ed era un compito doloroso mettere un fratello al trapassato ogni volta che pensava a lui, specialmente dato il fatto che non riusciva a pensare a Percy senza pensare al giorno in cui era morto.

Ron rabbrividì. Ne sapeva qualcosa, di cosa fosse stare con dei Mangiamorte. Sapeva di terrore e tortura. Non aveva mai detto a Harry o Hermione tutti i dettagli del suo periodo di prigionia dai Mangiamorte – avevano già abbastanza di cui preoccuparsi – ma sapeva esattamente come erano stati gli ultimi momenti di suo fratello. Forse era per questo che non riusciva a smettere di immaginarsi la scena nella sua testa. Percy, costretto e circondato. Percy, patire la maledizione Cruciatus. Percy, rendersi conto di cosa avrebbe dovuto fare e sforzarsi di farlo. E Percy aveva sopportato coraggiosamente; questo lo sapevano. Piton aveva risposto a tutte le domande frenetiche dei Weasley e aveva dato loro tutti i dettagli che volevano. Percy era morto a testa alta, cedendo solo quando un lampo di luce verde gli aveva portato via la vita.

Ron aveva maledetto Minus amaramente nella sua testa ogni giorno sin da quando era successo. Ancora lo sbalordiva che il topo che si era portato in giro in tasca per tre anni e che aveva vissuto con la sua famiglia per dodici avesse potuto tradire i genitori di Harry ed essere responsabile della morte di suo fratello. E nemmeno la soddisfazione che aveva avuto dalla morte di Minus non aveva cambiato il fatto che Percy se n’era andato. Inoltre la morte di Percy costituiva un ulteriore motivo per odiare i Malfoy. Perché c’era anche Lucius Malfoy. Piton glielo aveva detto: Minus aveva torturato e ucciso Percy mentre Lucius stava a guardare.

Rabbrividì ancora. Avrebbe potuto essere la sua stessa fine e lo sapeva, nonostante cercasse di non pensarci mai. Era già stato un inferno con una fine più fortunata di quella di Percy.

Sollevò il viso dalla pelle del collo di Hermione e posò la guancia sopra la sua testa. Poteva ringraziare Hermione per la sua fuga fortunata. Poteva ringraziare Hermione per un sacco di cose – Hermione e Harry. Doveva a loro due la vita ed era orgoglioso di poter dire che l’avrebbe data per ognuno dei due.

Ma orgoglioso o no, sperava che a nessuno di loro venisse ancora chiesto di offrire la propria vita. C’era da sperare che potessero riprendersi per un po’. Ron cullò Hermione in silenzio per un altro momento, sapendo che questa vicinanza era un sollievo per entrambi. Era grato di avere questo. Almeno conferiva una sorta di completezza al dolore.

“Spero che tua mamma stia bene”, Hermione mormorò infine, intrecciando le sue dita con quelle di Ron. “Se dobbiamo far visita a qualcuno quella dovrebbe essere lei. Lei e Penny avrebbero bisogno di un po’ di compagnia. Penny aveva una pessima cera al funerale di Percy.”

Ron sussultò un po’ e senti lo stomaco contorcersi nel senso di colpa. “Sì. Lo so.”

“Tua mamma è arrabbiata che noi quattro siamo venuti qui invece di andare alla Tana?”

“Già”

Hermione allungò un po’ il collo per guardarlo. “Ti ha detto qualcosa?”

Ron si mosse un po’ sulle spine. “Ha scritto dicendo di fare la cosa che pensavamo fosse giusta,” arrischiò. Ron non sapeva mai cosa sua madre intendesse con quella parola e l’aveva sempre fatto sentire terribilmente in colpa, qualsiasi decisione prendesse.

“E non pensi di averla fatta? Perché no?”

“Non lo so. Non so per chi è giusta.”

“Beh, penso sia giusto per noi tutti stare insieme.”

“Anch’io.”

“E penso sia giusto che stiamo con Harry in questo momento.”

“Mamma lo avrebbe voluto alla Tana.”

“Ma Sirius lo vuole qui.” Hermione si accigliò, pensierosa. “Penso sia giusto per loro più di qualunque altra cosa. Hanno aspettato così tanto per stare un po’ da soli. E suppongo che non abbiano bisogno di noi, qui. Tu, Ginny e io potremmo andare a casa tua invece, solo non voglio che ci separiamo.”

“Beh, potrebbe andarci Ginny a stare con mamma.”

Hermione lo guardò con severità. “Questo non è leale e lo sai, dopo tutto ciò che ha fatto. E sai che lei vuole stare con …”

Ron aspettò l’inevitabile conclusione della frase, ma Hermione aveva smesso di parlare e stava guardando di nuovo oltre la spalla di Ron. Quando riprese lo fece in tono più basso. “Lo sai che vuole stare con noi. Io voglio che stia con noi. E so che le mie ragioni sono egoistiche, ma questa è la nostra prima estate davvero insieme e a dirla tutta probabilmente l’ultima…”

“Cosa?” Ron fece voltare Hermione prendendola per le spalle. “Di cosa stai parlando? L’ultima?”

Hermione arrossì leggermente. “Niente,” disse rapidamente. “Volevo solo dire che tutti noi finiremo con l’avere un lavoro e cose così, per la fine dell’estate, no? E allora saremo separati per un po’.”

“Potremo Materializzarci al lavoro. Potremo stare ancora tutti insieme quando l’estate sarà finita. Non stiamo veramente andando da nessuna parte.”

Hermione alzò le spalle e si voltò di nuovo con la faccia verso il libro di incantesimi. “Sai,” disse bruscamente, “Non sono tanto dell’umore di imparare incantesimi. Credo che se non riesco a fare il caffè, farò solo del tè. Almeno conosco l’Incantesimo Bollitore.”

Ron sollevò un sopracciglio. Qualunque cosa lei stesse pensando di nascondere stava facendo un ottimo lavoro. I suoi repentini cambi di discorso erano vecchi come le colline e c’era sempre qualcosa dietro. Ma la conosceva troppo bene per insistere sull’argomento in quel momento. Doveva tirarglielo fuori successivamente. E comunque ora lei era molto impegnata a richiamare il tè dallo scaffale lontano, mentre quello che voleva veramente era il caffè.

Estrasse la bacchetta dalla cintura “No, lascia stare. A meno che tu non voglia veramente del tè… Fluos Fabas” disse, tenendo la bacchetta sul bricco e sul caffè che Hermione aveva già preparato. Il caffè cominciò a salire, e Ron dovette ammettere che il profumo era paradisiaco. Pensò persino che poteva averne un assaggio.

“Ron! Tu bevi caffè? Non ti ho mai visto bere caffè a scuola.”

“Non l’ho mai fatto.”

“Allora quando hai imparato a farlo?”

“Se sapessi quante volte ho sentito mia mamma fare quell’incantesimo” rispose ridendo. “Probabilmente so anche cucinare un sacco di cose, sebbene mi secchi ammetterlo.”

“Non ci credo!”

“Okay, certo, non è vero. Ha un bell’aspetto il caffè, vero?” Sogghignò e sollevò le sopracciglia guardandola. “Sembra che tu abbia bisogno di un pizzico d’aiuto, però. Forse tu dovresti andare a stare con mamma. Imparare una cosetta o due.”

Hermione allora si liberò dall’abbraccio, si avvolse nella vestaglia con un tono d’importanza e marciò ostentatamente attraverso la cucina fino alla scatola del pane. “Ah, ah, ah. Sono sicura di poter cucinare senza problemi, con un po’ di pratica!”

“Sono sicuro di sì. Allora, cosa ne fai di quel pane?” Si appoggiò oziosamente al ripiano e la osservò.

“Lo faccio tostare, ovviamente.”

“Come?”

Hermione guardò il pane e poi di nuovo Ron, chiaramente sconsolata. “Beh, se tu volessi darmi il libro degli incantesimi, sono sicura che potrei…”

Ma Ron lo teneva sopra la testa. Questo era un altro gioco che amava parecchio. Lei non ci arrivava. “Certo, vieni a prenderlo, è qui.”

Hermione lasciò il pane sul ripiano, si avvicinò a Ron e cercò di tirargli giù il braccio manualmente, ma senza successo. Lui era decisamente più forte. Dopo aver lottato per qualche secondo in questa maniera fece un passo indietro, alzò la bacchetta e la puntò al libro.

“Accio!” Il libro volò nelle sue mani esperte. “Ah! Preso.”

“Cosa sta succedendo qui?” La voce dalla porta era molto divertita. Ron guardò oltre la testa di Hermione per vedere Sirius là in piedi, scuotere la testa e sogghignare. Ron gli sorrise in risposta, chiedendosi quanto Sirius avesse visto o sentito della loro discussione. Scoprì che non gliene importava poi molto, comunque.

“Niente. Hermione stava per tostare del pane. Vieni a vedere.”

“Ron, giuro che…” ora stava scorrendo furiosamente il libro, trovando infine la pagina che cercava. Puntò la bacchetta alle due fette di pane posate sul ripiano e bisbigliò qualcosa. Non successe niente.

“Sei sicura che sia un vero incantesimo?” chiese Ron innocentemente.

Hermione lo fissò. “Vediamo come lo fai tu, allora, che sei tanto furbo,” tuonò in risposta.

Ron sapeva che il sorriso sulla sua faccia probabilmente era insopportabile, ma era un’opportunità troppo ghiotta per perderla. Con un colpo di bacchetta il pane fu perfettamente tostato ma la cosa più perfetta ancora, per Ron, era lo sguardo sul viso di Hermione. Era sconvolta. Era probabilmente il primo incantesimo in cui lui l’aveva battuta da quando si conoscevano.

“Tieni Ron,” Sirius gli passò il resto del pane attraverso la cucina e Ron lo prese con facilità. “Vuoi tostare anche il resto? Ho sentito dei rumori di sopra; probabilmente fra poco avremo tutti qui sotto affamati.”

“Certo, faccio subito, nessun problema e… Hermione, ecco qualcosa che puoi fare tu mentre impari: apparecchia la tavola.”

Sapeva che lei lo avrebbe prontamente ignorato e non fu deluso. “Buon giorno, Sirius,” disse graziosamente. “Gradisci una tazza di caffè?”

“Se lo gradisco?” rise Sirius, “Ne ho bisogno! Ma non disturbarti a prepararlo.”

“Oh, non preoccuparti. Non l’ha preparato lei,” non si trattenne dal dire Ron, mentre tostava il pane e lo impilava su un piatto. Hermione aveva lo sguardo di chi sta per lanciare una maledizione, mentre con attenzione portava una tazza di caffè al tavolo.

Sirius la prese. “Sarà così? Voi tutti che cucinate e pulite e vi prendete cura di noi vecchietti?”

Ron sbuffò e lo guardò in tralice. Sirius non era neanche grande come i suoi genitori. “Quanti anni hai? Cinquanta?”

Sirius sputò il sorso di caffè che stava bevendo. “Non ne ho neanche quaranta!” farfugliò. “Sembro così vecchio?” Si riprese e bevve un altro sorso di caffè, poi annuì a Ron, un sorriso ironico a piegare la sua bocca. “Sarai anche un moccioso maleducato, ma almeno fai il caffè bello forte. Grazie. Remus lo fa che sembra tè, è disgustoso.”

“Ricordami, per cortesia, di non farti mai più niente.” Remus si avvicinò al tavolo, gli occhi annebbiati. “Buongiorno Hermione. Ron.”

“‘Giorno” risposero loro in coro. Ancora ridendo per le lamentele di Sirius, Ron fece un sorriso a Hermione. Lei ricambiò. Fece volare il pane tostato attraverso le porte della cucina fino al tavolo e si sedette accanto a lei, tenendo la propria tazza di caffè. Lo assaggiò, decidendo che il caffè non era troppo male, anche se un po’ amaro. Aggiunse un po’ di latte e provò ancora. Trovandolo di maggiore gradimento, pigliò una fetta di pane tostato e poi si appoggiò lo schienale e guardò fuori dalla finestra.

“Giornata perfetta.”

“Per farci cosa?” Remus guardò Ron e poi Hermione. “Avete dei progetti, per l’estate?”

Ron scrollò la testa. “No. Niente progetti, niente problemi, niente di niente. Cioè, mi cercherò un lavoro, cercherò di raggranellare qualche soldo, ma questo è tutto.”

“Che tipo di lavoro?” Chiese Sirius, prendendo un toast.

Ron scrollò le spalle. “Non so. Non ho avuto molto tempo per pensare a questo genere di cose.” Guardò Hermione. “So che tu il tempo l’hai trovato, in qualche modo, ma tu sei completamente matta, perciò è diverso.”

“Hai presentato delle domande, Hermione?” Remus pareva interessato. “Sai cosa ti piacerebbe provare a fare?”

Hermione guardò Ron – in qualche maniera timidamente, pensò lui, e quando rispose lo fece molto lentamente. “Beh… ci sono un sacco di cose che mi interessano…”

Ron le diede una piccola gomitata. “Dài, di’ loro per quanti lavori hai fatto domanda.”

“Ron, no… io non…” protestò Hermione, facendo uno dei suoi modesti tentativi per non sembrare lusingata.

“Per quanti?” chiese Sirius con interesse.

“Oh, non così tanti, davvero, non è….”

“Ventisette.” Ron scosse la testa e fece una smorfia. “Ci credereste? Lottare contro Voldemort, fare enormi incantesimi sacrificali, acquisire circa centomila MAGO, e ha trovato anche il tempo per ventisette domande di lavoro. “Sospirò e le diede un colpetto affettuoso sulla schiena. “Un giorno riusciremo a farle fare un po’ di vacanza.”

“Sei orgoglioso di lei, vero?”

La testa di Ron scattò su. Ginny era in cucina, già vestita, che si versava una spremuta d’arancia. Gli sorrise maliziosamente e lui sentì le proprie orecchie infiammarsi un po’. La verità era che lui era orgoglioso di Hermione. Come poteva non esserlo? Non aveva mai capito come facesse a trovare il tempo per tutte le cose che desiderava portare a termine; la sua intelligenza e la sua costanza continuavano ad impressionarlo. Ma non desiderava certo fare un gran discorso a questo proposito davanti a qualcun altro, specialmente davanti a Remus e Sirius che ora si stavano scambiando uno sguardo d’intesa che faceva sentire Ron un po’ stupido.

Hermione, comunque, lo stava guardando con un sorrisino timido sul volto. Un attimo dopo, sotto il tavolo, Ron sentì la sua mano sfiorare il suo ginocchio. Non le dispiaceva se lui era orgoglioso di lei, pareva.

Fece scivolare la mano sotto il tavolo e la mise su quella di lei, intrecciando le loro dita. Lei guardò di nuovo giù verso il suo toast per nascondere il rossore, e il cuore di Ron ebbe un tuffo nel vedere questo. Forse il commento di Ginny non era stato un’idea poi così tremenda, dopotutto.

Comunque, ricambiare non era sleale.

“Dov’è Harry?” chiese un po’ troppo casualmente, sollevando un sopracciglio in direzione di sua sorella. Sotto il tavolo, Hermione gli strizzò le dita. Non le andava che lui stuzzicasse Ginny a proposito di Harry e anche se Ron lo sapeva di solito ignorava i suoi consigli in proposito. Hermione poteva conoscere un sacco di cose, ma le scaramucce tra fratelli non erano tra queste.

“Dorme, immagino.” Fu la fredda risposta di Ginny. “Qualcuno vuole della spremuta?”

Prima che Ron avesse il tempo di pensare a una buona rimbeccata, ci fu un fruscio e un movimento indistinto di penne grigie davanti ai suoi occhi. Un gufo era entrato dalla finestra e ora stava saltellando su e giù vicino al tovagliolo di Hermione.

Rapidamente liberò la mano da quella di Ron, slegò la lettera e la lesse. Quando alzò di nuovo lo sguardo, era radiosa.

“Da uno dei posti dove ho fatto domanda,” disse, con la voce che le tremava un po’. “L’ho avuto.”

“Un lavoro? Hai avuto un lavoro?” strillò Ginny, correndo per leggere da sopra le sue spalle. Ron si sporse per fare la stessa cosa.

“Al Ministero?” chiese un po’ intimorito nel vedere l’intestazione della lettera. “Cazzo, Hermione.”

Lei si voltò a guardarlo, l’eccitazione scritta in volto. Ron silenziosamente aggiunse una tacca al conto che stava tenendo di parolacce che poteva far passare senza che Hermione lo criticasse, mentre lei cominciava a parlare velocemente. “Non ci posso credere. Non avrei mai pensato di riuscire ad avere questo. Non avrei dovuto averlo, non ho l’esperienza per farlo, non ho praticamente mai viaggiato e io….”

“Come, Francia e Bulgaria non contano?”

Hermione diede a Ron uno sguardo d’impazienza. “L’Assistente dell’Ambasciatore Britannico della Magia deve essere una persona con molta esperienza. Non uno che conosce il mondo solo dai libri.” Sospirò guardando il foglio. “Ma io l’ho avuto.”

“Certo che l’hai avuto!” Ginny saltò sulla sedia di Hermione dal lato libero e la guardò radiosa. “Se c’è qualcuno esperto del mondo, quella sei tu, Hermione. Pensa a tutte le cose che hai fatto! Pensi che lo prenderai?”

Ma Hermione stava scuotendo la testa “Io … non so,” disse assennatamente. “Non saprei dire.”

Ron la fissò, incredulo. “Non lo sai? Il Ministero ti vuole a lavorare per loro e tu non sai?”

“Beh, non è neanche più il Ministero, in questo momento, no? È in rovina,” rispose lei, posando la lettera con uno sguardo molto pensieroso.

“Ha bisogno di gente come te,” disse Sirius, immediatamente, appoggiandosi in avanti su tavolo. “In quale altro modo potrà essere ricostruito?”

Hermione si voltò verso Ron. “E tuo padre è praticamente il Ministro della Magia adesso. Dovrei lavorare per lui, in definitiva, se accettassi.”

Ron si sentì gonfio di orgoglio. Non riusciva ad abituarsi all’idea che suo padre – suo padre – fosse finalmente dove meritava di stare.

“Papà non ti lascerebbe andare via neanche morto,” commentò Ginny, dall’altro lato di Hermione. “Potresti mettere creature magiche in ufficio, se lavorassi per lui. Potresti far diventare il C.R.E.P.A. un’organizzazione nazionale.”

Ron gemette. “Oh bene, ci mancava solo questo. Non darle altre idee o tempo un anno festeggeremo tutti il Giorno della Consapevolezza Elfica.”

Remus e Sirius risero a quelle parole. Anche Hermione rise, ma diede una gomitata nel fianco a Ron.

Ron gliela restituì. “Dài Hermione ti piacerà lavorare lì. Chi è l’Ambasciatore in questo momento, comunque?”

“Credo la mamma di Calì.”

“I Patil? Oh, bene. Beh, vedete? È grandioso, saresti pure con gente che conosci.”

Ma Hermione non sembrava convinta. In effetti sembrava che fosse in qualche modo combattuta. “È tutto vero e io so che dovrei fare i salti di gioia per l’occasione, ma… i miei genitori.”

Non aveva bisogno di dire altro. Tutti tacquero ed annuirono. Si trattava di una considerazione precisa e Ron non poteva credere di non averci pensato da solo. Certamente un lavoro da diplomatico l’avrebbe allontanata dall’Inghilterra e dai suoi genitori.

E da lui. Ron inspirò in silenzio mentre si rendeva conto di aver appena incoraggiato Hermione ad allontanarsi per settimane. Strinse la stretta alla sua mano. Separarsi da lei adesso era la cosa che meno desiderava in assoluto.

Ci fu un breve silenzio che fu rotto da Sirius. “Beh, ovunque tu decida di andare, Hermione, sono sicuro che costituirai una risorsa. Il Ministero potrebbe utilizzare il tuo cervello, ma altrettanto potrebbero fare un sacco di altri posti, ne sono sicuro. Abbiamo tutti il compito di essere d’aiuto da qualche parte.” Sollevò la sua tazza di caffè e lanciò uno sguardo a Remus, il quale, Ron notò, all’improvviso sembrava provato. Sirius continuò. “Comincerò a lavorare al Ministero questa mattina. Arthur ha bisogno di tutto l’aiuto che può avere. Sembrava stremato.”

“Davvero?” Ron alzò lo sguardo. “Ci credo. Hai ancora parlato con lui oggi?”

“No, ma vado da lui dopo colazione.” Sirius sorseggiò altro caffè.

“Dove?” chiese Ron. “Ad Azkaban?”

“No.” Fu Remus a rispondere. La sua voce era mite ma assolutamente risoluta e Ron non fu sorpreso di vedere Sirius lanciargli un’altra occhiata. Sirius sembrava un po’ irritato.

“Andrò ovunque Arthur abbia bisogno di me,” fu la brusca risposta di Sirius. “Dobbiamo ricollocare tutti quei prigionieri. Ora. E poi dobbiamo dividere i colpevoli dagli innocenti.”

Hermione ora era accigliata. “Ma io pensavo che gli Auror, i Maghi Tiratori Scelti e voialtri aveste portato dentro solo prigionieri in fuga e Mangiamorte. Come possono esserci degli innocenti?”

“E’ esattamente la stessa cosa che è successa l’altra volta,” disse Sirius, scuro in volto.

“Non diranno tutti di essere stati sotto la Maledizione Imperius?” chiese Ron, incredulo. Nella conversazione con Sirius al pranzo del giorno prima, egli aveva detto solo che i Dissennatori stavano cercando di scappare da Azkaban, e poi aveva cambiato discorso molto in fretta. Non l’aveva neanche sfiorato l’idea che la colpevolezza dei Mangiamorte fosse in discussione. “Non penseranno di poter uscire di nuovo in questo modo!”

Sirius scrollò il capo con fermezza. “Il problema, Ron, è che l’altra volta c’era una manciata di persone che dicevano la verità, su questo e su altre cose. Io dovrei saperlo,” disse sottovoce, e sorrise. Ma Ron notò che non era proprio un vero sorriso. Esisteva solo superficialmente.

“In ogni caso,” Sirius continuò, “dobbiamo stabilire un posto per i prigionieri attuali e poi trovare un modo per confinarli finchè potremo processarli come si deve. Poi dovremo raccogliere prove, indagare sulle richieste di risarcimento, provare le bacchette, tenere le udienze, e tutto il resto. Uno per uno. Sarà…” le parole gli morirono in bocca e guardò Remus. “Difficile. Per usare un eufemismo.”

Ron alzò un sopracciglio poco convinto. Sembrava ben più che difficile – sembrava impossibile. Ricordava gli anni dell’infanzia, nei quali suo padre aveva cercato di aiutare a dividere gli innocenti dai colpevoli dopo la prima venuta di Voldemort. Era stato una specie di incubo. Nessuno era stato in grado di determinare cosa fosse veramente vero, e Ron aveva qualche dubbio sul fatto che Sirius fosse realmente in grado di fare le cose di cui parlava. Ma non avrebbe dato voce a questi dubbi.

“Buona fortuna, Sirius,” disse Ginny. Ma anche nella sua voce si sentiva il dubbio.

La tavolata fu silenziosa per un po’ dopo questo. Appena il silenzio cominciava a farsi pesante, ci fu un altro improvviso vortice d’aria e piume davanti alla faccia di Ron – e un altro – e un altro…

In pochi minuti ci furono una dozzina di gufi che facevano a gara per l’attenzione di Hermione – tutto quello che lei poteva fare era slegare le lettere prima che coprissero tutta la tavola di piume.

“Un tempismo degno di Hogwarts.”

Harry era comparso sulla porta e Ron si voltò a guardarlo. Era vestito, ma malamente, come se non gli fosse importato affatto cosa mettersi addosso, e indicava distrattamente i gufi, un sorriso forzato sulla faccia. Era proprio come il sorriso che Sirius aveva fatto poco prima. Più in profondità, Harry sembrava distante, disinteressato.

Ginny fece un cenno di assenso ad Harry. Ron la osservò. Si era comportata con Harry questa settimana come se lui apparisse assolutamente normale e gli aveva sempre parlato come se lui stesse ascoltando, anche quando era evidente che non era così.

“Beh, ma questi sono i gufi di Hogwarts, Harry,” disse lei.

“Davvero?” chiese Harry con aria assente. Si sedette e fissò gli uccelli, che stavano lottando per arrivare nelle mani di Hermione. Lei ne spinse uno verso Ron.

“Mi daresti una mano, per favore?”

“Sì, sono i nostri vecchi gufi di scuola.” continuò Ginny, prendendo un gufo insieme a Ron per dare aiuto a Hermione. “Molti dei gufi del Ministero e delle poste di Londra sono stati feriti o uccisi, sai, nell’esplosione di Diagon Alley. Appena prima che i Mangiamorte forzassero la Gringott.” Si fermò per carezzare l’ala del gufo che stava tenendo. “Poverini. Così la scorsa settimana, la professoressa McGranitt ha fatto mandare un sacco di gufi della scuola a papà. Dopotutto, Hogwarts non ne avrà bisogno quest’anno.”

Harry appoggiò il mento sulla mano e cominciò a piluccare un pezzo di toast senza mangiarne. “Non riesco a credere veramente che Hogwarts chiuderà.”

“Solo per un anno, Harry.”

“Però doveva essere il tuo settimo anno. Non sei arrabbiata? Io lo sarei.”

Ginny alzò le spalle. “Forse è solo che non ho più voglia di essere arrabbiata,” disse, passando a Hermione il messaggio che aveva slegato e prendendo un altro gufetto. “Hermione, quante lettere sono con questa?”

Un’altra manciata di gufi erano entrati mentre parlavano. Hermione finì di raccogliere le risposte, mandò via tutti i gufi e contò i pezzi di pergamena che aveva in mano. “Quindici,” disse incredula. “Sono più della metà delle domande che ho fatto.”

“E cosa dicono?”

Ron si allungò e prese le lettere, leggendole una ad una. “Ecco qui – ‘Gentile Signorina Granger, siamo felici di informarla che’… beh, questo l’hai avuto. ‘Signorina Hermione Granger, grazie per il suo interessamento alla nostra Ditta, per favore contatti il seguente ufficio per un colloquio, in modo che possiamo stabilire quale possa essere la sua posizione nel nostro organico. Prenderà servizio a settembre’… hai avuto anche questo. Vediamo. Sì … sì … sì… sì…” Ron passò tutte le lettere. Erano tutte risposte positive. La faccia di Hermione si faceva più rossa e scioccata ad ogni lettera.

“Non li ho davvero avuti tutti, Ron – mi stai prendendo in giro.”

“Non ti sto prendendo in giro. ‘Cara signorina Granger, siamo così favorevolmente colpiti dal suo lavoro che non riusciamo a esprimere l’entusiasmo in una lettera’…”

“L’hai inventata tu!”

“Leggila.”

Hermione la lesse e sgranò gli occhi. “Bene,” fu tutto quello che disse quando ebbe finito di leggere il luminoso resoconto delle sue abilità. “Bene. Suppongo che questo significhi che ho… varie opzioni.”

Remus rise. “Non stupisce, vero? Sei una brillante giovane donna, Hermione. È meraviglioso vedere che la gente lo apprezza.”

Ron guardò Hermione arrossire ancora di più e si sentì nuovamente gonfiare di orgoglio nei suoi confronti. Era brava, era davvero brava. Quando un gufo ritardatario entrò dalla finestra un attimo dopo, lui gli fece segno con la mano. “Da questa parte, questa è la ragazza che cerchi,” disse facendo avvicinare il gufo.

Questo gufo, però, aveva dei programmi diversi. Atterrò dritto dritto davanti a Harry, i cui occhi si allargarono un pochino.

“Cosa?” Guardò il messaggio e si accigliò. “È per me. Non so perché. Tutti quelli che mi hanno mai scritto sono seduti qui.” Si fermò. “Eccetto Hagrid.”

Tutti tacquero mentre Harry slegava il messaggio e lo leggeva. Hermione guardò preoccupata Ron, che scosse la testa. Il tono di Harry nella settimana passata era stato piatto e impenetrabile. E ora il commento su Hagrid – beh, era stato semplicemente macabro.

Ginny lasciò che il gufo bevesse un goccio della sua spremuta, apparentemente per nulla sconvolta dal tono di Harry. “Cosa dice?” chiese subito, quando il gufo se ne fu volato via.

Harry finì la lettera, rise duramente, alzò gli occhi e guardò Ron invece. “Guarda tu stesso.”

Ron prese la lettera. La guardò insieme ad Hermione. Era un invito dagli Auror perché Harry andasse a fare pratica con loro. Ron la lesse forte per tutti, poi cercò di nuovo gli occhi di Harry il cui viso aveva un’espressione grave. Non si muoveva.

“Wow, Harry, è….” Ma a causa dello sguardo furioso negli occhi del suo migliore amico, non seppe cosa dire. “Voglio dire, ovviamente è un onore, ma, beh,” e si impapocchiò, fermandosi.

“Accidenti, ma non è un po’ … presto per questo genere di cose?” Disse Hermione esitante. “Ovviamente a meno che tu non sia interessato a farlo, Harry?”

“Un onore?” La voce di Harry era acuta. “Se sono interessato a farlo?” Li guardava uno per uno come se fossero matti. “Cosa pensate? Se desidero andare a Londra e aiutare Malocchio con i Mangiamorte? Usare tutti quegli incantesimi? Essere in costante vigilanza?” Rise amaramente. Ron sentì freddo a quel suono. Harry era talmente chiuso in se stesso, ultimamente, che era quasi impossibile dire da dove venisse.

Ginny allungò una mano verso di lui, ma Harry si appoggiò indietro per evitare il contatto. “Penso di poter dire con sufficiente sicurezza,” disse, stropicciando la lettera e buttandola al centro del tavolo, “che non farò mai più niente del genere finchè vivo.”

Altro silenzio seguì questa dichiarazione, e quella calma frustrava Ron. Sembrava che tutti gli altri momenti dalla fine della guerra fossero stati muti e tesi e lui era stanco di quella tensione. Guardò Harry fissare lo sguardo di nuovo nel suo piatto e continuare la distruzione sistematica del toast, e si sentì empatico verso il suo amico così vistosamente distrutto, e contemporaneamente irritato che Harry potesse così insensibilmente rifiutare un’offerta che avrebbe mandato al settimo cielo la maggior parte delle persone. Ma del resto non c’era niente di nuovo: Harry era sempre stato così. Ron guardò Hermione, sperando che lei potesse fare qualche commento che rompesse quella scomoda calma. Ma Hermione guardava Harry con occhi ansiosi e non pareva avere idea di cosa dire più di Ron.

Fu Ginny a rompere il silenzio. Sollevò la bacchetta e la puntò verso il tavolino per accendere la radio, poi si risedette e riportò l’attenzione alla spremuta e al toast. Dopo qualche rumorino, dalla radio una voce femminile cominciò a ronzare in un tono impostato di preoccupazione professionale.

“E’ sintonizzata sulle notizie di RSN,” commentò Remus alzando la bacchetta. “Ma sicuramente preferite della musica?”

“Aspetta!” Ron alzò la mano. Aveva sentito l’annunciatrice pronunciare il nome di suo padre. Tutti nella stanza si immobilizzarono ad ascoltare, mentre il notiziario continuava.

…che Arthur Weasley, Ministro della Magia non ufficiale e apparentemente incompetente…

“Come si permettono!” urlò Ginny, spingendo via la sedia dal tavolo. Ron agitò la mano per farla tacere: voleva sentire il resto.

…ha dichiarato ieri di avere la questione Dissennatori in mano. Ma vi informiamo che non è così. Ieri sera, la Auror in pensione Ida Dunnes dell’Isola di Lewis, è stata costretta a cacciare un Disennatore da una zona residenziale densamente popolata di Stornaway.

Sirius si alzò in piedi. Andò minacciosamente al tavolino, la bacchetta sfoderata davanti a sé, come se mandare un Patronus alla radio fosse l’unica sua esigenza attuale.

Tragicamente, la Dunnes ha ricevuto notizia della presenza del Dissennatore alcuni istanti troppo tardi.

Ron guardò Sirius aggrappato al tavolino con entrambe le mani. “Maledizione, Arthur,” mormorò, “perché non mi hai detto che avevi bisogno di aiuto.” Era bianco come uno straccio e Ron vide che ora anche Remus aveva spinto indietro la sedia e guardava Sirius con attenzione.

La Dunnes è giunta alla residenza di John e Kitty Douglas in tempo per salvare l’unico figlio della coppia, Ewan, sul quale stava per gettarsi il Dissennatore. Nonostante la Dunnes sia riuscita a cacciarlo, era troppo tardi per la madre del bambino. Kitty Douglas era già stata Baciata e non potrà essere salvata: ora si trova al reparto di Terapia Post Terminazione dell’anima da Dissennatore del S. Mungo. Il piccolo Ewan di sei anni ha perso la mamma e sarà cresciuto dal padre, un Babbano, che ha tutte le intenzioni di chiudere con la società dei maghi e di portare suo figlio con sé.

Tutti i presenti guardarono Harry contemporaneamente.

Ha inoltre annunciato l’intenzione di spargere la voce sul Dissennatore tra la popolazione. A questo punto è stato necessario praticare un Incantesimo di Memoria…

Il notiziario si spense improvvisamente. Harry era scattato in piedi con la bacchetta sfoderata. Gli tremava la mano e scuoteva la testa lentamente da una parte all’altra, aprendo la bocca per parlare, ma non usciva niente.

Poi uscì dalla cucina. Un attimo dopo, attraverso la finestra della cucina, Ron potè vedere Harry oltrepassare la casa di gran carriera, la Firebolt in mano. Ron sospirò pesantemente e guardò Remus.

“Ci vorrà del tempo, giusto?”

Remus annuì, anche se la sua attenzione era ancora su Sirius che continuava a fissare la radio come se fosse sotto shock. “Lascialo solo sbollire, Ron” consigliò con tono assente. “Ha bisogno di tempo. Lascialo andare.”

Ron aveva intenzione di mettere in pratica il consiglio di Remus, semplicemente perché non sapeva più cosa fosse meglio fare per Harry. Ginny, al contrario, non pareva volergli dar retta. Si era già alzata in fretta e aveva portato il suo piatto nel lavandino ed ora stava facendo del suo meglio per uscire dalla cucina senza farsi notare.

Ron la fermò. “Ginny, io non penso che…”

“Non gli parlerò,” lo interruppe lei risoluta. “Non dirò niente. Ma devo andare.”

E poi anche lei era andata, fuori dalla casa e oltrepassata la finestra, dove tutti potevano vederla camminare determinatamente dietro ad Harry, con la coda dei capelli che dondolava.

“Anch’io vado,” disse brevemente Sirius, passandosi una mano tra i capelli. “Tornerò appena posso.”

“Felpato…” attaccò Remus, ma si fermò al suono di leggero ‘pop’. Sirius si era Smaterializzato.

I tre rimasti si scambiarono sguardi preoccupati. Non aiutava Ron il fatto che anche Hermione e Remus fossero chiaramente altrettanto persi. Era preoccupato per Harry e nauseato all’idea che suo padre fosse incolpato per quanto era successo a quella donna.

“Immagino che papà stia peggio di quanto pensassimo” azzardò e poi sentì un’ondata di rabbia. “Incompetente,” mormorò a se stesso. “Che montagna di cazzate.”

“Certo che lo è,” disse di botto Hermione. “Non è colpa di tuo padre, quello che è successo a quella povera donna. Danno la colpa a lui solo perché è quello in carica.”

“Passerà,” convenne Remus. “E la gente saprà che non è vero. Stiamo tutti cercando di aiutarlo come sappiamo.”

Ron guardò Remus. “Vai anche tu al Ministero con Sirius, allora?”

Vide Remus irrigidirsi e sentì la mano di Hermione toccargli la gamba sotto il tavolo.

“C’è una legge,” gli ricordò sottovoce lei.

Ron si agitò. Certo che c’era una legge, e lo sapeva: vietava che ‘bestie’ registrate fossero impiegate al Ministero della Magia. Scrollò le spalle goffamente e stava cercando un modo per tentare di chiedere scusa a Remus quando fu interrotto da una voce forte e molto familiare dal soggiorno.

“RON? GINNY? C’E’ NESSUNO IN CASA?”

Era suo padre, e sembrava avere una certa urgenza. Dimenticandosi momentaneamente le scuse, Ron corse verso il soggiorno con Hermione dietro di lui. Si fermarono in scivolata di fronte al caminetto.

“Ron” Arthur gli fece un cenno di saluto, il viso stanco. “Hermione. Dov’è Ginny?”

“E’ già uscita – ma papà,” esplose Ron senza pensarci, “di cosa diavolo parlavano? Cosa sta succedendo con i Dissennatori?”

“Stavamo sentendo la RSN,” disse Hermione calma, facendo un passo di fianco a lui. “Sta bene, Signor Weasley?”

Arthur sospirò con rabbia. “Volevo raggiungervi prima del notiziario, ma sono stato trattenuto dai giornalisti. Di nuovo.”

“Dicono che è colpa tua… di cosa parlano?” chiese Ron.

“Lo è, in un certo senso, rispose Arthur pacatamente.

“Non è vero.” Remus era entrato nella stanza. “Non prenderti la colpa. Sirius si è appena Smaterializzato, dovrebbe essere nel tuo ufficio entro qualche secondo. Immagino che stia forzando la sicurezza proprio in questo momento.”

Arthur rise, un pochino. “Beh, posso certamente utilizzarlo.” Si volse a Ron. “È meglio che vada. Volevo solo dirvi di non preoccuparvi di questo. Parleranno spesso di me ai notiziari, e non ne parleranno bene, e voi vi dovrete abituare. Non voglio che vi rovini l’estate.”

“Ma papà…” Ron cominciò a protestare, sentendo che avrebbe davvero dovuto in qualche modo essere d’aiuto.

“Uscite, su.” Arthur insistè. “Sarò più contento se vi riposate. E bada a tua sorella.”

Ron annuì e con la coda dell’occhio vide il suo vecchio professore squadrarlo.

“C’è qualcosa che posso fare per te, Arthur?” chiese Remus tranquillamente.

“Ancora niente. Ma Remus, appena abbiamo sistemato Azkaban, la mia successiva priorità è liberarmi di alcune ridicole restrizioni che ci sono qui. Va bene?”

Remus annuì “Capisco. E niente che posso fare da qui…”

“Ti farò sapere.” Arthur incrociò gli occhi di Ron, sorrise e la sua testa scomparve dal fuoco.

Ron restò fermo un momento, in piedi a fissare il caminetto, cercando di elaborare gli eventi del mattino. Lanciò un’occhiata a Hermione per valutare la sua reazione. Lei stava guardando molto seriamente nel fuoco, le spalle incurvate dalla preoccupazione – e sebbene anche lui si sentisse molto serio, Ron sentì un bisogno urgente di sollevare il suo umore. A prescindere da quello che stava succedendo, era estate e loro erano insieme. C’era stata abbastanza tensione quel mattino. Se suo padre voleva che uscissero a divertirsi per un giorno… beh non avrebbe fatto discussioni.

Allungò la mano e prese quella di Hermione, tirandola un pochino più vicino a sé per rompere la sua concentrazione. “Allora usciamo, vuoi?” chiese piano.

“Lei si riscosse e lo guardò, poi sorrise. “Si, va bene.”

“Cosa vorresti fare?”

“Beh…” Hermione piegò la testa. “Veramente avevo sperato di studiare per gli esami di Materializzazione. Sono la prossima settimana, e dobbiamo prepararci.”

“Oh, eddài… non è niente, no?” chiese Ron senza pensarci. “Possiamo giusto dare un’occhiata al manuale tra qualche giorno.”

“Sarà meglio che studi. Non voglio che tu ti Spacchi, o …”

“Hermione, non mi Spaccherò!”

“Lei scrollò le spalle. “Dico solo che dovresti studiare, tutto qui.”

Ron la tirò ancora più vicino, deciso a distoglierle la mente da esami, o qualsiasi altro argomento serio. Appoggiò la sua fronte a quella di lei e parlò dolcemente. “E’ il primo giorno d’estate. Non osare dire che vuoi studiare per quell’esame o io ti farò un Incantesimo delle Pastoie total body” la minacciò allusivamente. “E poi che farai?”

Lei arrossì un po’. “Ron, ehm…”

Ron seguì lo sguardo di Hermione fino a Remus, che stava ancora silenziosamente nella stanza, guardandoli. Ron aveva quasi dimenticato che lui fosse lì. Ora, comunque, Remus li oltrepassò, chiaramente lottando per non sorridere, e scosse la testa. Ron lo guardò andare.

“Sei tremendo,” gli sussurrò Hermione, respingendolo leggermente e togliendosi i riccioli dal viso.

A Ron non importava veramente. Lasciò andare la sua mano e le mise un braccio intorno. “Cosa vuoi fare?” chiese di nuovo, stringendole le spalle. “Vuoi leggerti le tue lettere di lavoro? Scendere al villaggio e vedere cosa c’è da fare qui intorno?”

“No. Io in realtà avevo pensato di …”

“Studiare?” Sospirò. “Mi vuoi prendere in giro – guarda il cielo fuori!”

Lei però non guardò fuori – guardava ancora lui, mordendosi un labbro. “Beh… e se studiassimo fuori? Potremmo superare gli esami e anche prendere il sole. Remus non ha detto ieri sera a cena che c’è un laghetto qua vicino, giù per il sentiero della foresta dietro casa?”

Ron la fissò. Voleva dire quello che lui sperava volesse dire? “Cioè tu vuoi… andare a… studiare … giù vicino al lago?” azzardò, non osando elaborare di più.

“Beh, potremmo portarci una coperta e sdraiarci mentre… studiamo. E potremmo sempre fare una nuotata sei ci stufiamo di studiare, no?”

Ora non lo stava guardando. Aveva fissato lo sguardo sulle proprie unghie che improvvisamente dovevano essere diventate eccezionalmente interessanti. Ron non riusciva a credere alla propria fortuna.

“Già,” rispose cercando di mantenere la voce neutra. “Già, potremmo – fare così. Va bene, allora tu, ehm, vai a prendere il libro e il tuo asciugamano e, sai, tutto ciò di cui puoi aver bisogno…”

“Più di tutto credo che avrò bisogno di un costume da bagno.”

“Ah.” Ron sentì le proprie orecchie diventare rosse. “Giusto. E io vado su e … beh… ci vediamo di nuovo qui tra cinque minuti, va bene?”

Hermione si voltò verso di lui e lo baciò prima che lui potesse pensarci. “Cinque minuti, allora,” disse un po’ senza fiato, prima di scappare nell’entrata e su per le scale, con Ron che la seguiva da vicino, parzialmente sotto shock. Per una volta, pensò lui, studiare per un esame poteva diventare seriamente divertente.

~*~

Ginny era seduta a gambe incrociate sull’erba alla fine della strada, intenta a pizzicare il ginocchio dei suoi jeans. Hermione glieli aveva dati l’estate scorsa; ora erano i suoi pantaloni preferiti e aveva intenzione di consumarli. Non le importava se avessero dovuto tutti indossare abiti e cappelli e comportarsi da adulti, ora che avevano chiuso con Hogwarts. Voleva indossare cose Babbane. Era estate, dopotutto, e i top senza maniche erano molti più comodi delle pesanti divise con le maniche lunghe, questo almeno quando il sole si disturbava a splendere.

Oggi splendeva piuttosto caldo. Ginny strizzò gli occhi contro il sole e vide una piccola ombra volare avanti e indietro nella luce abbagliante. Harry, sulla sua Firebolt. Lei sapeva quanto lui amasse ancora la sua scopa. E come Remus aveva detto, Harry adesso era qui fuori a usare la sua Firebolt per scaricare: stava scaricando la tensione di sette anni passati ad aspettare di venire ucciso, stava scaricando il senso di colpa per tutte le persone che avevano perso la vita, mentre lui era vivo.

Decisamente ci voleva tempo.

Ma il tempo non era un problema, pensò Ginny, stendendosi sulla schiena e chiudendo gli occhi. Ne aveva di tempo. Ne aveva un sacco. Un anno intero si stendeva davanti a lei, non pianificato e confuso. Non ci sarebbe stato un ultimo anno a Hogwarts, per lei. Grazie alla distruzione causata l’ultimo giorno di guerra, quel settimo anno, che avrebbe dovuto essere il più bello per lei, le era stato rubato. Ma non aveva mentito a Harry prima: davvero non stava così male rispetto a questo. Era solo la scuola dopotutto. Aveva perso di peggio. Aveva perso un fratello, nella guerra.

Percy non sarebbe più tornato. Era estremamente difficile da credere e Ginny non sapeva se avrebbe mai realmente sentito il colpo. A volte ripeteva a se stessa Percy è morto. Percy è morto. Aspettava che questo la facesse piangere, o collassare. Ma non l’aveva mai colpita pienamente – nemmeno alla funzione funebre, che era stata così bella e triste. Aveva pianto allora, ma solo brevemente. Non riusciva a liberarsi di quella strana, stupida sensazione che Percy fosse solo in vacanza, che sarebbe stato a casa per Natale, che fossero ancora in sette. Si chiedeva come stesse Penelope. Penelope, ne era piuttosto sicura, aveva sentito il colpo subito. Sembrava una relitto al servizio funebre. Aprì gli occhi velocemente, sbattendo le palpebre contro il sole e si ritenne fortunata che Harry fosse ancora vivo.

Ginny era solita chiedersi cosa avrebbe fatto se fosse successo qualcosa ad Harry, durante lo svolgersi di tutta la battaglia. Era stata seduta nel dormitorio dei Grifondoro per centinaia di notti, dicendo a se stessa con calma che, sebbene ogni cosa per scongiurare la sua morte fosse stata fatta, certamente la verità era che Harry correva gravi pericoli – più gravi che chiunque altro. E poi, all’idea di un mondo senza Harry, Ginny scoppiava a piangere con la testa nel cuscino. Solo all’idea.

La richiesta di Hermione, ad aprile, era arrivata ad alleviarla. Una sorpresa e un sollievo. Ginny aveva tanto desiderato poter fare qualcosa per Harry e l’incantesimo Expecto Sacrificum gliene aveva dato finalmente l’opportunità.

Devo chiederti una cosa. Riguarda Harry.”

Ginny ricordava come si era seduta immediatamente, sulla difensiva, aspettandosi di essere interrogata sui suoi sentimenti personali. Ma quello non era affatto l’obiettivo di Hermione.

Non so nemmeno come chiedertelo. C’è un incantesimo. Beh, non c’è ancora, ma lo costruiremo, in Harry. Ho fatto delle ricerche, e in termini di Aritmanzia… beh, sai dove questi incantesimi traggono i loro elementi. Vorrei basare questo sul Patronus, e per quanto ne so perché funzioni davvero abbiamo bisogno di quattro angoli. Quattro elementi. Mi sono spiegata?

Ginny aveva scosso la testa. Per una volta Hermione non si era spiegata affatto, ma non importava. Qualsiasi cosa fosse, Ginny sapeva che era necessaria – si era sporta in avanti con attenzione.

Va’ avanti.

È un… incantesimo sacrificale. Ogni persona coinvolta fornirà gli elementi del sacrificio – come Ron e me. Noi diamo ad Harry il primo angolo: è l’amicizia. Il secondo elemento viene da un mentore – probabilmente sarebbe stato Silente se fosse ancora vivo, ma lo farà il professor Lupin. E abbiamo bisogno di un guardiano – sarà Sirius, ovviamente.

Hermione aveva esitato, poi, e Ginny aveva trattenuto il fiato in attesa.

E il quarto elemento è il vero amore. Ma Ginny, pensaci bene prima di rispondere – voglio che tu sappia a cosa vai incontro…

Sì. Ci sto.”

Non c’era stata alcuna pausa, nessuna domanda nella sua mente. Hermione sembrava esserselo aspettato: aveva preso la mano di Ginny e l’aveva guardata con gravità.

Potrebbe significare dare la tua vita.

Non ha importanza.” Fece una pausa. “Harry sa che me lo stai chiedendo?

Sì, lo sa.

E ha detto che posso…?

Ginny.” Hermione le aveva stretto dolcemente la mano. “Chi altri potrebbe essere?

Ginny riguardò il cielo e osservò Harry fare un tuffo vertiginoso e spericolato che avrebbe disarcionato dalla scopa un volatore professionista. Ma Harry semplicemente si tirò fuori all’ultimo secondo, salì di nuovo nel cielo in spirali e si tuffò un’altra volta. Neanche sapeva che lei era seduta là a guardarlo.

Sì. Chi altri avrebbe potuto essere? Erano arrivati a lei per completare l’incantesimo perché il suo amore non era mai stata una cosa nascosta. Ginny fece una risatina risentita. Poteva anche essere una cosa nascosta. Harry era tanto loquace ora come lo era stato tutte quelle volte che era stato da loro alla Tana. Le parlava, era sempre educato e premuroso – o almeno lo era stato allora. Ma aveva sempre rifiutato di aprirsi a lei, rifiutato di darle qualsiasi indicazione del fatto che sapeva e accettava i suoi sentimenti. Aveva sperato che il fatto di permetterle di partecipare all’incantesimo significasse qualcosa. Sapeva qual’era il ruolo di lei.

Ginny si volto sulla pancia e guardò l’erba. Non voleva guardare Harry in questo momento. Forse era passata solo una settimana dalla fine della guerra, e forse lei avrebbe dovuto essere paziente. Ma non poteva fare a meno di chiedersi perché continuava a seguirlo ovunque andasse, e non poteva fare a meno di disprezzare un minimo sé stessa nel farlo. Forse avrebbe dovuto andarsene a casa alla Tana per stare con sua madre. Era inutile cercare di forzare Harry adesso. Ma sapeva, in qualche modo, che lui era consapevole della sua presenza. Aveva bisogno della sua compagnia – la voleva lì – lei non sapeva come faceva a saperlo, ma lo sapeva. Le era chiaro come qualunque altra cosa detta a voce alta. Se non le fosse stato chiaro non l’avrebbe seguito. Era tremendamente doloroso vederlo passare attraverso tutto ciò.

Ma se lui aveva bisogno di lei, non sarebbe andata da nessun’altra parte. Questo era sicuro.

Passarono almeno tre ore prima che Harry atterrasse e andasse verso di lei. Non sembrava essersi accorto di quanto ci avesse messo, e francamente a Ginny non potevano dispiacere tre ore di sole dopo un anno di guerra – tutto quel nascondersi e la segretezza e il terrore avevano trattenuto tutti nelle case e a lei era mancata la luce e l’aria aperta. Sebbene, pensò guardandosi le braccia scoperte, dovevano essersi terribilmente riempite di lentiggini ormai. Era troppo chiara di pelle per tre ore di sole estivo senza protezione.

Alzò lo sguardo dalle proprie braccia quando un’ombra cadde sul posto dove stava seduta. Harry era lì in piedi, sudato, esausto, con i capelli dappertutto, che stringeva la sua scopa. Non disse niente.

“Penso che sarà ora di pranzo,” mormorò Ginny, non volendo farlo parlare se lui non ne aveva voglia.

Harry annuì.

“Beh,” continuò lei “penso che potrei rifarmi la strada del ritorno, poi – possiamo mangiare da Remus, o andare nel villaggio a vedere cosa c’è. Preferenze?”

Harry fece spallucce.

Ginny cercò di sorridergli. “Torniamo semplicemente indietro, allora, e vediamo che succede.”

Harry annuì di nuovo. Ginny si alzò in piedi e stette a fianco a lui chiedendosi per quanto Harry sarebbe potuto andare avanti senza dire una sola parola. Se il suo umore attuale fosse stato indicativo, sarebbe passato probabilmente un bel po’ di tempo prima di parlare. Voleva parlare a gesti? Andava bene. A Ginny non importava di camminare con Harry in silenzio.

Erano a metà strada quando Ginny realizzò, con la coda dell’occhio, che lui la stava guardando. Gli lanciò un’occhiata ma non disse niente. Per un altro po’ camminarono in silenzio – poi, inaspettatamente, fu Harry a romperlo.

“Ti sei scottata le braccia.”

Ginny rabbrividì nel calore di giugno. Perché qualunque cosa lui dicesse era così importante per lei? Non lo aveva mai capito.

“Sì, sono sicura che mi sono scottata. Anche il naso, probabilmente, e sono sicura che le mie lentiggini sono uscite tutte.”

“Il naso sta bene.”

Ginny non poteva fare a meno di essere compiaciuta. “Comunque dovrei mettermi un cappello,” disse. “Staremo fuori al sole parecchio, spero, quest’estate.”

“Ho io un cappello che puoi mettere. Te lo porto giù a pranzo.”

Le si strinse lo stomaco. “Grazie.”

Rientrarono nello Chalet Lupin, ed Harry andò di sopra a farsi una doccia, lasciando Ginny seduta nel soggiorno ad aspettare. Lo fece volentieri come al solito, toccandosi il naso attentamente per vedere se veramente fosse bruciato oppure no. Era commossa dal fatto che Harry volesse darle il suo cappello, ma, ricordò a se stessa, doveva cercare di non dare troppo significato a questo gesto. Incrociò le gambe sul sofà e prese di nuovo a pizzicare il ginocchio dei jeans, tirando i filini bianchi sfilacciati quasi meditativamente, mentre ascoltava la doccia scorrere, di sopra.

Non avrebbe mai capito come poteva amare così tanto Harry, avendo così poco per andare avanti.

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