SLAVE TO IKEA

Amo l’Ikea nei desolanti martedì mattina di novembre.
Puoi vagare distrattamente tra un letto a baldacchino e una sedia da scrivania di nuova concezione, carezzare la carta di riso dei paralumi – oh, così svedesi, assaporare una polpettina in salsa di mirtillo centellinandone il sapore artificiale. Au contraire, detesto l’Ikea negli opprimenti sabati mattina di luglio, quando hai un bisogno assoluto di faretti e luminarie, nonché di farti sostituire le ante a specchio di Godmorgon, il tuo nuovo mobile del cesso che non puoi montare perché – appunto – le ante sono spaccate a metà (e si sa che uno specchio rotto, sono cazzi per tutti).

Da quando han spostato l’Ikea a Collegno, non so. Mi sembra tutto più difficile. Arrivarci è già una conquista. Uscirne è quasi al di là dell’umano. L’Ikea del sabato mattina è il regno dei nuovi barbari: donne vistosamente incinte che proiettano il loro addome in avanti come fosse un arma, non guardano in faccia nessuno e ti spintonano come a voler provocare la rottura immediata delle acque e nel contempo incolparti di far nascere prematuramente la loro progenie. Genitori di due categorie: quelli quasi storditi dal momento di pausa (sono quelli che sono riusciti a mollare i bambini nel misterioso Smaland, la terra dei piccoli) e quelli in modalità isteria seguiti da due tre quattro figli di età variabile fra zero e sette anni che si buttano per terra, strillano, fanno skate sui carrelli, rovesciano mobili o vomitano le polpette in salsa di mirtillo. D’altra parte ben presto anche i genitori della prima categoria vanno in iperventilazione, dal momento in cui la perfida voce metallica della signora dello Smaland annuncia che i genitori di Pierfrancesco e Lavinia sono desiderati al banco informazioni.

All’Ikea ci vanno anche le coppie che mettono su casa. Da quando c’è stata la pubblicità che ha sturbato Giovanardi ci vanno tanto anche i gay. Le coppie etero e le coppie gay si studiano da lontano, cercando di evitare l’arrotamento forzato dei bambini che si buttano sotto le ruote dei carrelli. Le coppie etero soppesano un tendaggio, guardano la coppia gay che fa un cenno d’intesa come per dire no, quella no. Le coppie etero ringraziano in silenzio per la consulenza gratuita in materia di interior design e veleggiano verso il giardino d’inverno (il vivaio Ikea) dove decine di uccellini registrati fanno sentire il loro canto illudendo il consumatore di trovarsi in una foresta pluviale.

L’Ikea del sabato mattina è un luogo che stimola i miei peggiori istinti. Anche se io sono metodico, e mi faccio tutta la lista della spesa sul sito Ikea, dove per ogni cosa che vuoi comprare ti dicono anche il diametro dei pimperlini metallici reggiripiano, poi finisce che mi perdo in mezzo alle donne incinte e ai bambini delle donne non più incinte e mi vien voglia di omicidio, mi vien voglia di dire che cazzo fai ti butti sotto il mio carrello piccolo bastardo, o anche col cazzo che ti prendi l’ultimo faretto Beryll, l’ho visto prima io e mi serve per illuminare i ripiani della mia struttura Besta Tofta!

E poi diciamocelo, questa moda comunicativa dello spiegare tutto a tutti con parole semplici e amichevoli ha rotto i coglioni. Non si può neanche andare a pisciare che “da Ikea l’acqua degli sciacquoni è torbida perché ci teniamo all’ambiente”, poi “da Ikea sparecchi tu così paghiamo meno il personale e conteniamo i prezzi al pubblico”, e “caricati sti pacchi e montati i mobili a casa, così paghi meno”: basta! Lo so, non ho bisogno di vedermelo scritto ad ogni dove (un altro posto così è Eataly, dove arrivano alle vette di “chi ruba è un ladro”)… Non so come chiamare questa tendenza, forse “comunicazione a prova di idiota”, ma su di me ha lo stesso effetto di uno spray al peperoncino negli occhi.

E comunque, alla fine, dopo sei ore di girone dantesco in salsa al mirtillo, abbiamo anche i lampadari. E le ante di Godmorgon me le hanno cambiate.
Con un supplemento di soli altri 50 minuti di attesa.