DOGVILLE, UNA ROBA BRECHTIANA

Siccome qui il tempo non accenna a migliorare – anzi oggi ha pure grandinato – mi è sembrata la giornata ideale per una bella visione privata di Dogville di Lars von Trier. Chi mi conosce sa che io detesto cordialmente von Trier eppure nello stesso tempo lo ammiro. Non sopporto alcuni suoi film troppo pretenziosi e/o gratuitamente provocatori (Gli idioti, L’elemento del crimine, Europa) e amo alla follia altri film che evidentemente toccano corde profonde della mia sensibilità (Le onde del destino, Kingdom I e II, Dancer in the Dark). Mi lasciano indifferenti le sue furberie cinematografiche, extracinematografiche e metacinematografiche (il Dogma, esperimenti tipo Le cinque variazioni, che non guarderò mai per non dargli questa soddisfazione). Eppure, mi sono detto, oggi è la giornata adatta per Dogville. Le polemiche si sono assopite, tutti l’hanno dimenticato e io me lo guardo. Devo dire che pensavo fosse più "provocatorio". Il set teatrale non mi smuove nulla, tutta roba molto brechtiana. Il montaggio convulso nemmeno (molto Godard, comunque). Il tema, ovviamente è "forte", come in tutti i suoi maledettissimi film a tesi. Nonostante tutto, però, lo conto nel numero dei suoi film più riusciti. Compatto, coerente, ricco di sfumature (i "cambiamenti di luce di Dogville"). Sgradevole? Un po’. Neanche tanto, considerato che la visione dell’umanità (e dell’America) che ha von Trier si sposa perfettamente con la mia. Homo homini lupus (hehehe… gli studi classici servono)! Feroce? Molto. Probabilmente quello che serviva. Certamente meno insostenibile di altri suoi film. Nel complesso affascinante.

AMMANNITI E’ LO STEPHEN KING ITALIANO

Finito Ti prendo e ti porto via, di Niccolò Ammaniti, che non avevo ancora mai letto. Gran narratore, stile particolare, molto aderente alla psicologia dei suoi personaggi. Specialmente coi bambini, Ammaniti sa cogliere tutte le sfumature dell’animo. Lo apprezzo perché riesce a tuffarsi nella sua infanzia, che evidentemente è anche la mia, a pescare quei ricordi da horror scolastico e da violente e oscure passioni amorose. Per dire, può piacere o meno Stephen King: secondo me, per certe sue tematiche, Ammaniti è lo Stephen King italiano… Non so se andrò a vedere Il siero delle vanità, che mi dicono tutti un film fiacco, comunque sia è già apprezzabile il tentativo di (ri)costruire un cinema di genere italiano a partire dalle storie di narratori popolari e potenti. Ora vorrei buttarmi su Massimo Carlotto, che Cassiel mi ha fatto venire una notevole curiosità…

TUTTI VOGLIONO LA SPOSA

Se Kill Bill Vol. 1 era un omaggio ad alcune ossessioni di Tarantino (e del suo pubblico) come la blaxploitation, il cinema di Bruce Lee, la serie B giapponese e gli anime, Kill Bill Vol. 2 scopre definitivamente le carte ed erge a numi tutelari Sergio Leone, Sam Peckinpah, Lucio Fulci, ma anche (insospettabilmente) John Ford e tutto il noir degli anni ’40. Oltre che, sul finale, virare sul Tarantino puro, originale al 100% (lo showdown in prefinale con dialogo sul test di gravidanza!!!). Dove il Vol. 1 era eccessivo, adrenalinico, coreografico, ironico e ammiccante, il Vol. 2 è tragico, epico, più cupo e violento pur essendo meno splatter (ehm… a parte qualche piccolo dettaglio). L’ironia c’è sempre, sia nella storia che nel modo di raccontarla (non sarebbe un film di Tarantino): le situazioni però si fanno più inquietanti man mano che la Sposa alias Black Mamba, alias B***** (ma il nome vero viene rivelato a metà film) si avvicina alla sua nemesi. Alcune impressioni: l’intermezzo assolutamente geniale con il maestro Pai Mei, girato come un prodotto di serie Z cinese (da morire); diversi colpi di scena non da poco (Tarantino è ancora capace di rendersi imprevedibile); una commistione di stili che può confondere e non piacere ma che secondo me rende Kill Bill un capolavoro o comunque la summa di 50 anni di (un certo tipo di) cinema. Elle Driver, alias California Mountain Snake è in assoluto il personaggio più bastardo del film, e non a caso (anche se, è proprio il caso di dirlo, la Sposa attua la legge dell’occhio per occhio) non si è sicuri della sua effettiva morte. Fremo al pensiero di un prossimo film di Tarantino con lei come protagonista… Michael Madsen (Budd) si è sformato dai tempi di Mr. Blonde ed è diventato forse un po’ autocaricaturale, ma il suo personaggio è l’unico che dà alla Sposa quel che è della Sposa (la legittimazione della sua vendetta). Disseminate nel film, alcune inquadrature sorprendenti, come la Sposa sulla porta della chiesa che guarda il panorama di El Paso come Vera Miles in Sentieri selvaggi. Botte da orbi per tutti, sangue, ossa rotte, veleno, spade, pistole e una chicca di backstage assolutamente imperdibile alla fine dei lunghissimi titoli di coda. Lo si ama o lo si odia. Io, ovviamente, lo amo.