GLACIAZIONE

GLACIAZIONEEcco, un po’ come sotto una lastra di ghiaccio. Ma non in modo orribile eh, niente botte da sotto o urla con bolle d’aria che divampano nell’acqua. Sotto una lastra ma tranquillo, come un’Ofelia con la barba nel banco surgelati. Come Capitan Findus. Quello originale, non il modello di biancheria intima vestito da capo baleniere.

Settato il mood del momento, ora posso articolare meglio. Fa più di un mese ormai che è autunno. A me l’autunno ha sempre fatto un baffo, poi si sa che le mezze stagioni non esistono da decenni. Però l’autunno stanca. L’autunno, che sia pieno di belle speranze o ricco di merda nel ventilatore (e questo autunno è stato entrambe le cose per me) causa problemi di schiena. La mia maestra di yoga diceva sempre che è perché tendiamo a buttarci alle spalle tutto quel che ci causa stress, e le spalle dopo un po’ si ribellano.

Comunque sia, io questo autunno un po’ lo sto patendo, ma ho anche ottenuto molte cose.

Dal punto di vista lavorativo penso di aver chiuso mediamente bene il progetto di cambiamento più grosso con cui abbia mai avuto a che fare. Mentre ci sei dentro non lo vedi, ma cambiare dopo 15 anni il sito di una pubblica amministrazione non è solo “cambiare un sito”. Lo capisci solo mentre stai già avvistando il traguardo, che nel frattempo si allontana e ti fa marameo: vuol dire cambiare modo di pensare e di lavorare tuo, dei colleghi, di tutti gli uffici. Vuol dire avere la pazienza di spiegare, evangelizzare, rassicurare. Vuol dire spremere le ultime gocce di energia che hai per farti venire un’idea il più semplice possibile per risolvere quel problema che – è ovvio – viene fuori a poche ore dalla pubblicazione definitiva. Soprattutto vuol dire, tuo malgrado, essere messo al centro di un vortice organizzativo che devi riuscire a sostenere con il massimo dell’attitudine zen (che per fortuna non ho ancora perso, nonostante l’occasionale bestemmia).

Questo mi ha portato via tempo, energia, pensiero. Ho dovuto ritirarmi in me stesso come i paguri per cercare ristoro, non ho più frequentato i soliti luoghi reali o virtuali, non ho più letto, non ho più scritto, non ho più ascoltato, non c’era spazio. Tuttavia qualcosa sono riuscito a fare con gli amici e/o per gli amici. Ho scritto un’introduzione per Railroads di Matteo Aversano, che è stato presentato a Lucca Comics: mi domando ancora cosa abbia visto in me per commissionarmi una presentazione, a parte la passione per l’arte sequenziale. Intanto ora aspetto la mia copia autografata. Con Bamboo Productions abbiamo realizzato con le solite tattiche guerrigliere un videoclip a zero budget per Sembra un film di Moreno Moretti (futuro singolo di lancio di un album autoprodotto): la ruota del karma gira, quindici anni fa lui ha scritto le musiche del nostro primo corto. Soprattutto, dopo un po’ di mesi oziosamente in giro per il web, il nostro documentario su Mastorna è finito al festival InVideo di Milano, ed è anche stato parecchio applaudito (c’è poco da fare, con il vocione del narratore inglese fa tutto un altro effetto). Che altro di bello, ho preso ferie e permessi estemporanei per andare al bagno turco e/o per vedere mostre d’arte. Ho anche fatto un’apericena, che non ne facevo uno dal 1998. E sono sopravvissuto allo spezzatino con patate freddo.

Sono risultati notevoli per un uomo pigro come me. Il prezzo da pagare: ritrovarsi con le pile completamente scariche. L’impressione è quella di aver smesso di pensare e di “lasciarmi pensare”, piuttosto. La mia maestra di yoga plaudirebbe a questa considerazione. Il filosofo e fisico indiano Amit Goswami pure (egli direbbe – e cito a memoria – “lasciar fondere la coscienza individuale nella coscienza universale, che è coscienza creativa e che a volte noi chiamiamo Dio”).

Intanto nuoto placidamente sotto il ghiaccio, lunghe bracciate a dorso. Vi guardo da sotto mentre pattinate. Sono l’Ofelia con la barba, non disturbatemi ancora.
Lasciatemi sognare i miei bastoncini di pesce.