CRUISING, CAPOLAVORO DISTURBANTE

Cruising di Friedkin. Vi siete mai chiesti perché non passa mai in televisione? Adesso l’ho capito. Vedere Al Pacino che rimorchia vestito come un personaggio di Tom of Finland è sconvolgente. Vedere la pelle, le borchie, il fist fucking i pompini e i corpi sudati di un certo sottobosco gay anche – soprattutto per chi non è abituato (in un certo senso è più "forte" di Irréversible). Friedkin assicura che i 40 minuti che è stato costretto a tagliare erano molto più forti. A questo punto non riesco ad immaginarli. Friedkin racconta che quando portò il film al presidente della commissione censura per una "visione privata preventiva" dopo una bella cenetta costui non facesse altro che gemere e ed escalamre "oh, no… oh, NO!!!". Questo posso immaginarlo. Ma al di là del folklore BDSM c’è tutto il male che Friedkin riesce a mettere in scena nella storia del killer gay che adesca e uccide in un contesto urbano sporco, squallido, popolato di marchette e uomini muscolosi in giubbotto di pelle, canottiera nera e sospensorio. C’è l’urlo della città nella musica dei Germs e dei New York Dolls, c’è il mondo di Lou Reed in cui Al Pacino si muove all’inizio spaesato e alla fine, probabilmente, affascinato. Il gioco di sguardi finale con la moglie travestita come il poliziotto dei Village People è emblematico. Solo che i Village People erano allegri e ironici mentre in Cruising c’è solo sangue, sperma e odore di marcio. Quaranta minuti di tagli non hanno certo giovato a questo film bandito un po’ da tutti i media – sinceramente il finale è un po’ confuso. Ma come tutti i film di Friedkin è un pugno nello stomaco, senza pietà. Adesso capisco perché non è facile per lui lavorare e avere visibilità in un mondo del cinema edulcorato fino alla nausea.