COSA VUOI FARE DA GRANDE

Cosa vuoi fare da grandeDa piccolo ti chiedono spesso cosa vuoi fare da grande. Io volevo fare il papa. Paolo VI aveva una certa influenza su di me. Poi ho realizzato che i sacerdoti dovevano fare voto di celibato (egli stesso aveva scritto, poco più di dieci anni prima, la nota enciclica Sacerdotalis Caelibatus che metteva una pietra sopra alla discussione). E siccome avevo appena scoperto che esisteva questa cosa nota come l’universo femminile, ho deciso che avrei risposto qualcosa di più virile e meno ieratico, come “l’idraulico” o “il cosmonauta” (ancora oggi sono ossessionato dalla figura di Jurij Gagarin, ma all’epoca credo che fosse colpa/merito di una tristissima canzone contenuta nel tristissimo concept album Solo di Claudio Baglioni, che però ragazzi aveva l’intro suonata col Theremin, mica cazzi).

Divagazioni a parte, le mie aspirazioni professionali sono rimaste in un periodo di latenza per tutta l’università. Avevo scelto Scienze della comunicazione un paio d’anni prima che diventasse un effettivo corso di laurea perché – come tutti ben sanno – quando fai Scienze della comunicazione è un po’ come fare tutto e niente, puoi diventare lavavetri, igienista dentale o presidente della repubblica indifferentemente, perché sai come comunicare. E non avendo le idee molto chiare (“il giornalista” me lo ero bruciato non appena avevo capito che era difficile poterci fare abbastanza soldi da permettermi un affitto e il frigo pieno per più di due giorni alla settimana) sembrava la scelta giusta in quel momento.

Come una stella cometa fatta di uni e di zeri, l’Internet è arrivata a salvarmi nel 1994. Ogni laureando in Scienze della comunicazione può solo sperare che il suo ultimo anno di studi coincida con una rivoluzione copernicana nel paradigma dei media, e io ho avuto la mia quando da Lynx siamo passati a Mosaic. Il resto è storia, e dopo praticamente 20 anni vissuti nella rete mi ritrovo ad aver fatto della comunicazione on line il mio lavoro. Ma non è quello che volevo fare da grande. Sempre nel 1994, andava di moda una cosa che si chiamava “il CD-Rom multimediale”. Tutti impazzivano per le potenzialità dell’ipertesto, ma io, oh, io sbavavo su software come Asymetrix Toolbook e Macromedia Director, che servivano a creare ipertesti con grafica, video, immagini ad alta definizione e tutte quelle cose che col web si sarebbero potute fare solo dal 2007 in poi (per la cronaca, questi due software sono spariti dal mio curriculum dal 1999).

È probabile che mi stia tornando in mente perché adesso sto per diventare padre, ma la mia massima aspirazione appena laureato era quella di creare ambienti di gioco e apprendimento multimediale per bambini in età prescolare. Sarà che ero un fan di Maison Ikkoku di Rumiko Takahashi (il cui protagonista Godai Yusaku era maestro d’asilo). Sarà che ho sempre avuto una fantasia un po’ infantile. Ma se scendo in cantina, ripristino in qualche modo il mio vecchio Zip Drive (gesù, ve lo ricordate lo Zip Drive?) sono sicuro che su qualche Zip Disk ci sono tutti i miei prototipi di abbecedari multimediali, storie animate della buonanotte, semplici giochi punta e clicca per riconoscere forme e colori, e via dicendo.

Perché pensare a questo adesso? Semplice: da bravo papà in attesa, sto vagliando una serie di App dedicate all’infanzia e mi sono sorpreso a pensare “Sorbole! Ma queste sono esattamente le cose che cercavo di vendere alle case editrici specializzate nel 1995!” (allora, capite, c’erano solo le case editrici cui rivolgersi). E mi è tornata la scimmia, ma veramente. Ho già controllato. Non esiste ancora su nessuno store un abbecedario serio con flash cards in italiano. Forse è il momento di tornare al lavoro (lo dico ma poi non lo faccio perché sono pigro). Solo che ho perso la mano.

Comunque sia, ho scaricato la versione trial di Kwik. Una roba che ti fa le App per gli smart-cosi a partire da Photoshop (in effetti funziona come plugin di Photoshop): l’ideale per uno come me che dopo 20 anni non ha nessuna voglia di imparare un nuovo codice di programmazione. In fondo, se c’è una cosa utile che ho imparato nell’ultimo quarto di secolo, è che l’importante è riuscire a raggiungere il massimo risultato col minimo sforzo.
Ah, e che l’amore vince su tutto.