1978 – LA CARICA DEI SARDI

1978. Tutti in riga. L’interno cupo e desolante di un fabbricato di periferia fa da sfondo al rito. Spogliati, i nostri vestiti raccolti in sacchi di plastica che verranno restituiti solo alla fine del soggiorno. Qualcuno trema. I più piccoli piangono già. Quello davanti l’hanno già strillato. Non ha il cognome ricamato sulle mutande. Ci restano solo quelle, del resto. In fila, con i piedi gelati per il contatto sulle mattonelle fredde. Ci controllano i capelli, per vedere se ci sono pidocchi. Ci spingono in un corridoio illuminato da un neon bluastro e abbagliante. Ci spruzzano di polvere bianca. Ci danno la divisa. Siamo pronti per le colonie FIAT. A Marina di Massa si può solo correre su e giù per i corridoi a spirale della torre littoria. In divisa, i maschi da una parte e le femmine dall’altra. Per vederle devi sporgerti in bilico sulla parete divisoria dei bagni. La notte, le luci spente. Mentre le responsabili di camerata passano cantando canzoni tristi, i più piccoli piangono sommessamente. Io mi difendo leggendo Stevenson con una pila, sotto le coperte. Non sono qui, sono sull’isola del tesoro. La mattina, svegliati dal fischietto, tutti al mare con lo stesso costume da bagno. Tutti in acqua nello stesso momento, nello stesso luogo. Passati dieci minuti, ancora il fischietto: fuori dall’acqua. In spiaggia, gli aghi di pino marittimo si mescolano con la sabbia bollente. Il gruppo dei sardi passa il tempo facendo acrobazie e capriole a mezz’aria poco più in là. Mi vedono. Mi accerchiano. Io li osservo in silenzio. Uno di loro si buca una guancia con un ago di pino, per dimostrare la sua insensibilità al dolore. Vuole che io faccia lo stesso. Ma io ho paura. Partono i calci e i pugni. Prima, però, mi tolgono gli occhiali e li calpestano. Perché uno con gli occhiali non lo picchi. Quando finisce, è una liberazione. Si aprono i cancelli e una macchina ti aspetta. Loro non sanno, non potranno mai sapere. Anche la posta è censurata. Il segreto te lo puoi solo portare dentro.

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DONNA ANSIOSA CON BAMBINO, INCIDENTE IN MOTORINO

Che gioia! Che gaudio! Sono qui che devo prendere la patente per la moto e medito di acquistare un 500 per viaggiare un po’ più comodo (è il motivo per cui devo prendere la patente) e cosa ti va a succedere, tanto per affrettare l’acquisto? Un bell’incidente in motorino, di quelli classici miei. Scena uno, via Madama Cristina. Donna ansiosa con bambino piccolo si butta da una traversa senza guardare mentre pietroizzo arriva a manetta. Donna ansiosa guarda paralizzata mentre pietroizzo non riesce a frenare e le piomba direttamente dentro la portiera. Bambino piange mentre donna ansiosa si ferma e guarda pietroizzo che è riuscito a non cadere e sta borbottando una sfilza di bestemmie. Scena due, parcheggiati pochi metri più in là. Donna ansiosa e pietroizzo osservano i rispettivi veicoli constatando che miracolosamente non c’è alcun danno né alla portiera né al motorino. Pietroizzo fa per reclamare comunque qualcosa, ma poi pensa: "Corbezzoli! Le ultime volte che ho tamponato ho preteso di aver ragione e ho costretto i co-incidentati a fare un CID quando poi avevo torto io! Questa donna ansiosa con bambino veniva da destra. Vuoi vedere che ha ancora ragione lei? Stai calmo, pietroizzo, non alzare la cresta. E’ andata bene così, nessuno si è fatto nulla". Donna ansiosa e il bambino guardano pietroizzo con aria interrogativa. "E’ andata bene così, nessuno si è fatto nulla", dice pietroizzo. Scena tre, sulla via di casa. Rimasto solo sul suo motorino, pietroizzo comincia a notare che la ruota davanti va zigzagando e che il motorino tira alternativamente verso destra o verso sinistra. Fortunatamente Iorda il meccanico è a pochi metri. "Ti è rientrata la forcella, non val la pena cambiarla. Ti si è storto il manubrio, fai così, metti la ruota vicino ad un palo e dalle delle botte nel senso opposto a quello dove tira". Sicuro? Sicuro. Sto ancora picchiando i pali adesso. Stefi non mi dà fiducia. Oltretutto pare che avessi comunque ragione (e precedenza) io. Mi demoralizza. Sostiene che non prenderò mai la patente. E se fosse vero?

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VAFFANCOUVER 2010

OK, alla fine anche se la maggior parte di noi torinesi sfigati lavora durante le Olimpiadi mentre la città è presa d’assalto da ragazzini e pensionati che si godono la vita e stranieri che fanno "oooh" e "aaah" di fronte ad ogni chiesa ogni palazzo ogni negozio ogni caffè, la kermesse olimpica ha portato qualcosa di buono anche a noi. In termini di scambio culturale, intendo. A due giorni dalla fine io, Teo e Paola abbiamo incontrato Robert e Kris, due canadesi che stanno documentando le loro avventure torinesi su Flickr. Un po’ difficile non notarli, dato che impazzano con obiettivi smisurati proprio sotto il nostro naso, qui alla Canada House davanti alla Camera di commercio. Bastardi: loro vanno in giro e si divertono e io qui, a lavorare, che li vedo attraverso il vetro mentre fotografano di tutto e si ammazzano a forza di street hockey. Da Robert e Kris apprendiamo che l’erba del vicino è veramente sempre più verde. Che Torino è bellissima e vitale. Che Vancouver è "come Torino solo che là piove sempre". Che, come in una vecchia canzone di Dalla, i due riescono a perdersi nel centro di Torino che notoriamente è una scacchiera poggiata in riva al Po. A me vengono in mente i canadesi dei film di Michael Moore, poi mi viene in mente "Blame Canada" da South Park: Bigger, Longer, Uncut. Li invidio sempre più. Glielo dico. Loro mi confermano che soprattutto in questo momento sono odiati da quelli come me e dai loro connazionali rimasti a casa. "Quando mando i miei scatti su Flickr per farli vedere ai miei amici di solito ottengo un bel ‘fuck you!‘ come risposta", dice Kris. Robert e Kris piantano i loro obiettivi in faccia a passanti, negozianti, baristi e poliziotti, con educata sfacciataggine. Gli spiego che noi torinesi in genere siamo un po’ "shy" e che manteniamo preferibilmente un "low profile" e che io non mi sognerei mai di mettere il mio "cannone" a due centimetri dal naso di un civich e forse mi irriterei se qualcuno lo facesse a me. Loro mi spiegano increduli che la gente è quasi sempre contenta di farsi ritrarre da loro, ma io sono certo che se ci provassi anch’io otterrei una bella manganellata sui denti. Intanto scopro mentre scrivo che i due pazzoidi hanno postato un buon numero di foto che ritraggono il sottoscritto in tutte le sue espressioni più belluine. Comunque Robert e Kris vogliono comprare una casa a Torino. Hanno scoperto che i prezzi sono equiparabili a quelli di Vancouver. Io, da bravo non-americano, ho un certo riserbo a chiedergli quanto guadagnano. Ma di certo abbastanza per pensare di acquistare tranquillamente un appartamento. Perciò, forse, è ora di trasferirsi a Vancouver. Pioverà sempre, ma almeno c’è l’Oceano Pacifico. E invece di stare a due ore da Milano stai a due ore da Seattle. E da Kelly Osborne.

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