sceneggiatura in 3 minuti

Scrivere una sceneggiatura non è semplice come si potrebbe pensare. La sceneggiatura non si limita alla trascrizione ideale dei dialoghi del tuo film. È un vero e proprio genere letterario, che ha le sue regole di scrittura. Ovviamente non è nello spazio di questo manuale che possiamo pensare di fornirti tutte le competenze in materia. Ti suggeriamo, per questo, di leggere qualche testo dedicato (ne esistono di ottimi anche in italiano) o – ancora meglio – di studiare “dal vivo” qualche sceneggiatura famosa, magari di un film che ha una tematica simile a quella che vorresti sviluppare. In questa sede, cercheremo di stabilire qualche regola di base e soprattutto di dare dei suggerimenti “creativi” che possano portarti alla realizzazione di una storia che funziona.

Prima di tutto tre “comandamenti”: 1) non ti aspettare di scrivere un capolavoro. Il primo obiettivo è che la storia deve semplicemente funzionare; 2) non cominciare a scrivere se non sai dove vuoi andare a parare. Una storia va pianificata partendo da un soggetto molto elementare e poi andando a risolvere tutti i nodi uno per uno; 3) devi assolutamente finire la storia che stai scrivendo, anche se ti sembra che stia venendo male! È importante confrontarti con le tue capacità per migliorare. Molto meglio che continuare per anni a scrivere inizi di storie senza essere mai soddisfatto…

E ora, passiamo agli ingredienti principali per ideare una storia: il personaggio e l’azione. Cominciamo dal personaggio. Chi è il tuo protagonista? Come si chiama, quanti anni ha, qual è il suo carattere, che aspetto ha? Sono tutte cose che devi avere in mente per poter mandare avanti la tua storia in modo coerente. Questo non significa che nella tua sceneggiatura tu debba scrivere frasi come “il protagonista, che di carattere è una persona impulsiva e poco portato a riflettere sulle conseguenze delle sue azioni, sferra un pugno all’ispettore di polizia”. Non funziona così. Quello che ti può aiutare è buttare giù le caratteristiche del personaggio su una scheda – una sorta di carta d’identità “allargata”.

Troppo spesso ci dimentichiamo di approfondire i personaggi: il risultato è che lo spettatore del corto si dimostrerà poco interessato alla sua storia. Una volta che hai in mente tutto quello che devi sapere del tuo protagonista, potrai farlo agire di conseguenza. Hai messo il tuo protagonista sul cornicione di un palazzo altissimo? Chiediti che cosa farebbe in questa situazione. Devi saperlo, in base alle caratteristiche che gli hai dato. È grasso? Avrà difficoltà a muoversi. È coraggioso? Non avrà problemi a tentare un salto pericoloso. È uno che socializza facilmente? Potrebbe spaccare un vetro ed entrare nella finestra della bella vicina di casa… Le sue azioni devono comunque derivare dalla sua psicologia – senza che questa venga spiegata nella sceneggiatura.

Un concetto interessante, nel costruire questo tipo di “schede”, è quello di backstory. Si tratta della storia precedente di un personaggio – tutto quello che gli è capitato fino al minuto prima che cominciassimo a vederlo nel film. Un personaggio potrebbe essere parecchio furioso perché magari, l’anno prima, qualcuno ha fatto fuori la sua famiglia. Lo spettatore non lo verrà a sapere se non più avanti, grazie ad un flashback o ad un accenno in un dialogo. Tu però lo sai già, perché conosci la storia (l’hai inventata tu)! Ecco quindi uno dei potenti mezzi per catturare l’attenzione dello spettatore ed avere, in definitiva, il “coltello narrativo” dalla parte del manico.

Ora che hai costruito il personaggio principale con il metodo della “scheda”, dovrai fare lo stesso per tutti gli altri personaggi, tenendo a mente che sarebbe opportuno diversificarli il più possibile per carattere, tipo fisico, etc. Naturalmente, ad un certo punto puoi anche fermarti. Nemmeno il più preciso degli sceneggiatori si mette a costruire una scheda per una comparsa seduta al banco di un bar. Ma tutti i personaggi parlanti (in inglese: speaking roles) devono avere una loro scheda, completa di caratteristiche fisiche, psicologiche e backstory. E i personaggi parlanti, secondo la maggior parte degli sceneggiatori più esperti, possono essere divisi, in un certo senso, in categorie.

I PERSONAGGI
L’eroe: è il vettore dell’azione, il personaggio principale. Quello le cui motivazioni vanno evidenziate in modo chiaro. Perché fa quello che fa? Qual è il suo scopo? Ovviamente, in una storia che si rispetti, l’eroe può trionfare o meno – deve però comunque cambiare. Il senso ultimo di una storia è l’evoluzione da una situazione di un certo tipo ad un altra.
L’antieroe: non è precisamente il “cattivo”. Diciamo che si tratta di una tipologia particolare di eroe: quello che “non vuole fare l’eroe”. Il perdente, o peggio ancora il criminale, che si trova a dover gestire una situazione scottante. Scrivere una storia con un eroe di questo genere è molto più difficile (riuscirà il pubblico ad amarlo?) ma anche più appagante…
L’antagonista: la grandezza di un eroe si misura dalla pericolosità dei suoi nemici. La classica storia tutta azione prevede necessariamente un antagonista. Anche lui, ovviamente, deve avere le sue motivazioni, che devono essere in contrasto con quelle dell’eroe. Se poi ritieni che il tuo eroe abbia un antagonista sufficientemente pericoloso in sé stesso… Beh, è tutto un altro paio di maniche!
L’interesse romantico: è la donna (o l’uomo) del protagonista. Certi tipi di storia non possono fare a meno di questo personaggio. Nelle commedie romantiche, ad esempio, l’interesse romantico è un po’ anche l’obbiettivo finale dell’eroe… L’importante è che non risulti un personaggio passivo e poco interessante: anche lui (o lei) deve avere un suo percorso.
Il mentore: è il saggio aiutante dell’eroe. Nei film di Walt Disney in genere canta, balla e fa da spalla comica. Il classico mentore è Obi-Wan Kenobi (ma anche Yoda, per carità) in Guerre Stellari. Spesso si sa poco dei personaggi-mentore. L’importante è che forniscano all’eroe gli strumenti per portare avanti il suo “viaggio” (un po’ come Q nella serie di James Bond)…

Delineare l’azione è in un certo senso più semplice: tutto ciò che ti occorre è una serie di schede (ancora!) su cui annotare i punti salienti di ciò che capita ai tuoi personaggi nel corso del cortometraggio. In questo modo ti troverai con un piccolo mazzo di carte che potrai rimescolare come ti pare, spostando gli eventi e narrandoli in modo originale (ricordi il successo di Tarantino quando presentò Pulp Fiction? Il 90% della sua originalità stava proprio nella sceneggiatura).

Ricorda sempre di partire da una situazione iniziale che deve venire in qualche modo stravolta: devi creare un problema al tuo eroe. La storia consiste nelle azioni e nelle decisioni che il tuo eroe intraprenderà per rimettere le cose a posto. Più tensione crei, più la storia si fa interessante. Alla fine, la situazione potrebbe tornare normale. Oppure potrebbe risolversi in modo diverso e sorprendente, creando un nuovo “stato di normalità” prima imprevedibile.

MODELLI DI SCENEGGIATURA
Puoi andare a frequentare un qualsiasi corso di sceneggiatura: prima o poi verranno fuori i due modelli principali, conosciuti in tutto il mondo, di costruzione del testo. Si tratta del modello in tre atti e del modello del viaggio dell’eroe. In sintesi, il modello dei tre atti si concentra sui “tempi” interni della sceneggiatura, e deriva da concezioni radicate fin dai tempi di Aristotele… La storia narrata dovrebbe avere appunto tre atti: esposizione, svolgimento ed epilogo. In una sceneggiatura di 120 pagine (corrisponde all’incirca a due ore di film), il primo atto occuperà 30 pagine, il secondo atto 60, il terzo atto le ultime 30. Tra un atto e l’altro, saranno presenti i cosiddetti plot point (in pratica i “rilanci” della storia, che costituiscono un punto di non ritorno per il personaggio). Il primo plot point fa entrare nell’avventura vera e propria (la dinamica di azione-reazione delle peripezie del secondo atto); il secondo alza la posta in gioco dopo che l’avventura sembrava finita ed entra nell’atto finale. Il modello del viaggio dell’eroe si concentra piuttosto sulle funzioni mitiche della sceneggiatura cinematografica e identifica un tipo di “trama originaria” da cui si sviluppano tutte le possibili storie che uno scrittore potrebbe ideare. Da questo modello deriva ad esempio la classificazione dei personaggi che abbiamo riportato più sopra. Il viaggio in questione, che può essere oggettivo o simbolico, prevede un punto di partenza (il mondo conosciuto dell’eroe), una “chiamata” che dà il via al viaggio, una serie di tappe molto ben codificate nel “paese dell’ignoto” (incontro col mentore, sfida con l’antagonista e morte apparente, resurrezione) e un ritorno al mondo tradizionale con un carico di conoscenza in più: un classico percorso di formazione. A ben vedere, in pratica, tutti i film hollywoodiani più recenti si basano su un mix di questi due modelli, che possono ovviamente essere sovrapposti prendendo il meglio da ognuno. I due modelli sono complementari: uno ti aiuta a testare i ritmi del racconto, l’altro a costruire la storia.

Insomma: quello che ti si richiede è di saper dipingere in pochi tratti un intera situazione. Perché è evidente che in un cortometraggio non si spendono molte parole, e se prendiamo per buona la tradizionale equivalenza “una pagina di sceneggiatura = un minuto di film”, la sceneggiatura di un corto non sarà più lunga di cinque, dieci, quindici pagine (a patto che sia formattata secondo le regole).

Bisogna ricordarsi che non si sta scrivendo un libro: scrivere una sceneggiatura vuol dire descrivere ciò che vediamo nelle inquadrature del film. Il problema è che il film non c’è ancora. Per questo devi “vedere” il più possibile le scene con l’occhio della mente, per poi limitarti a rendere l’essenziale: quello che si vedrà sullo schermo e niente di più.

Per quanto riguarda i dialoghi, il discorso è simile. Essenzialità è la parola d’ordine (a meno che non ti chiami Quentin Tarantino). Ci vuole esercizio, e bisogna esserci portati. Il nostro consiglio è quello di aderire il più possibile al linguaggio quotidiano – quello che parli tu e che parlano i tuoi spettatori – ma soprattutto al linguaggio che parlerebbero i tuoi personaggi. Nessuno vuole sentire dialoghi letterari, tanto meno in un cortometraggio. Le battute di spirito sono una buona idea, se sai scriverle, altrimenti rischiano di affossare ulteriormente la pagina. Paradossalmente, è meglio vedere un film senza dialogo che un film con un brutto dialogo!

LA FORMATTAZIONE
Scarica dal web una qualsiasi sceneggiatura. Come vedi, le pagine sono formattate in un modo ben preciso. Esistono macro di Word e software specifici per formattare il testo in quel modo. Oppure esiste la santa pazienza dello scrittore. In sintesi, possiamo dire che la sceneggiatura è divisa in scene (di solito iniziano con indicazioni tipo INT. O EXT. – cioè interno o esterno – e seguono con indicazioni di tempo e luogo). All’interno di ogni scena si descrive l’azione, mentre quando si deve scrivere il dialogo occorre portarsi in una sorta di colonna centrale larga all’incirca 30 caratteri. Qui si scriverà il dialogo preceduto dal nome del personaggio parlante. Allineati a destra, al fondo di ogni scena, possono esserci indicazioni di montaggio del tipo FADE OUT (dissolvi) o CUT (taglia). Al di là delle regole di formattazione, che potrebbero occupare (e occupano) interi manuali a sé, può esserti utile scaricare un software come Sophocles [www.sophocles.net] o Final Draft [www.finaldraft.com], e studiare gli esempi proposti per imparare a scrivere sceneggiature “di ferro”!

Un modo decisamente efficace di ottenere un effetto sorpresa, o comunque di riuscire a costruire una storia che funziona è quello di affidarsi al metodo del Setup/Payoff – in una parola, “semina e raccogli”. Facciamo un semplice esempio: se ad un personaggio cade un fazzoletto, sarebbe folle descrivere questa situazione in una sceneggiatura, a meno che il fazzoletto non abbia – probabilmente nel terzo atto della storia – una funzione risolutiva! Le sceneggiature si nutrono di questi particolari, indizi che si seminano per poi raccoglierli a sorpresa, in modo più o meno prevedibile. Film come Il sesto senso di M. Night Shyamalan o I soliti sospetti di Bryan Singer si basano completamente su questo tipo di meccanismo (e la “raccolta” finale è veramente sorprendente).

Se il minutaggio te lo consente, puoi anche arricchire l’intreccio con ulteriori sottotrame. Ad esempio, storie parallele di personaggi di contorno: purché abbiano un senso ai fini della trama principale. Tutti i fili della narrazione si devono infine risolvere nel terzo atto. Lasciare le storie intraprese in sospeso è precisamente quello che può determinare l’insuccesso di un film. La tua sceneggiatura deve funzionare come un piccolo meccanismo ad orologeria, in cui tutto ciò che viene descritto ha una ragione ben precisa, e tutto ciò che viene detto dai personaggi ha una funzione chiara nell’ottica della storia. Non sono ammessi, specialmente in un cortometraggio, azioni o dialoghi inutili, che “non portano avanti la storia”.

Se riuscirai a ottenere questi risultati (una buona storia, personaggi interessanti, dialoghi non banali né prolissi e struttura degli eventi funzionale all’intreccio), la sceneggiatura si scriverà praticamente da sé. Potrebbero essere necessarie delle revisioni, ma il nucleo è pronto e potrà restare “blindato”.

Attenersi alle regole di base è una buona idea, ma sappiamo tutti che le regole sono fatte per essere infrante. Perciò, nulla vieta di rischiare pensando ad un cortometraggio in cui succede poco o nulla e in cui il personaggio principale non è per niente interessante, e costruendo la storia di conseguenza. L’importante è comunque ottenere un risultato, che potrebbe essere espresso in termini di sospensione dell’incredulità.

Hai presente quando guardi un film e ti agiti sulla poltrona esclamando “No, questa è troppo grossa!” mentre l’eroe attraversa un campo pieno di nemici armati di kalashnikov e non si fa nemmeno un graffio? Quel film ha in un certo senso fallito: non è riuscito a provocare nello spettatore la sospensione dell’incredulità, cioè quella piacevole disposizione d’animo che ci fa dire “ma sì, immergiamoci per un paio d’ore in questo mondo di fantasia e non mettiamo in discussione le scelte del regista”.

Si può provocare con astuzia la sospensione dell’incredulità in due modi: facendo in modo che la propria storia aderisca piattamente alla realtà (film “basati su una storia vera”, mai del tutto sinceri, comunque). O inserendosi nel filone ben codificato di un genere cinematografico. Ogni genere ha le sue regole precise, e se sei anche solo un po’ cinefilo le conoscerai come e quanto il migliore degli sceneggiatori. Basta rifletterci su. E poi, può essere molto divertente partire da un genere per poi scardinarlo dall’interno, contraddicendo le regole e stupendo lo spettatore…

DOCUMENTARSI SUI GENERI
I generi sono categorie, tipi identificabili di film che sono accomunati da convenzioni, tecniche e struttura narrativa simili. Ad esempio film che condividono un certo tipo di ambientazione, di soggetto, di tema, di periodo, stile, situazioni e/o personaggi. A Hollywood convenzionalmente si riconoscono dieci generi principali (azione/avventura, commedia, crime/gangster, dramma, epico/storico, horror, musical, fantascienza, guerra e western). Ovviamente non è detto che un film appartenga del tutto ad un genere. E poi ci sono sempre i sottogeneri, alcuni dei quali altrettanto codificati, come il noir, il film sentimentale, il melodramma, il buddy movie, il giallo, il film catastrofico, il film di spionaggio, il fantasy, il legal thriller, il film di arti marziali, il poliziesco, l’erotico, il road movie, etc. Non farai fatica a trovare un esempio calzante per ogni genere. Quello che conta di più, in termini di sceneggiatura, è studiare le storie migliori per capirne i meccanismi, che di solito sono molto evidenti eppure scivolano alla perfezione nella trama. Per l’action movie, la sceneggiatura da studiare è, in assoluto, Die Hard di Jeb Stuart. Per il film sentimentale, Insonnia d’amore di Nora Ephron. Per l’avventura, niente di meglio di I predatori dell’arca perduta, di Lawrence Kasdan. Sono tre esempi abbastanza noti, studiati in ogni scuola di sceneggiatura. Altri ne potrai trovare in qualsiasi sito o pubblicazione specializzata…

Quando scrivi una sceneggiatura per il tuo cortometraggio in DV, a meno che tu non voglia cercare dei finanziamenti per realizzarlo con una vera e propria produzione, non sei costretto a fare quella distinzione che, usando termini americani, passa tra il reading script (o spec script, la sceneggiatura “da leggere”) e lo shooting script – cioè la sceneggiatura con indicazioni relative ai movimenti di macchina, ai numeri di inquadratura e alle angolazioni, le luci, etc. Semplicemente, visto che scrivi per il tuo film, puoi passare direttamente allo shooting script.

Se però la sceneggiatura è destinata ad un concorso, o magari la stai scrivendo per un altro regista – in tutti i casi in cui non sarai tu a girare il video, insomma – conviene attenersi alle regole di base che abbiamo visto più sopra e cercare di rendere il più accattivante possibile le pagine scritte in funzione della lettura (reading script).

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